Con «Il teatro comico» Roberto Latini monta uno spettacolo per ripercorrere la storia del teatro, o meglio la storia di molti suoi riferimenti teatrali. Ma manca un po’ di concretezza
Comincia, anzi ricomincia dalla mosca dell’Arlecchino di Strehler Il teatro comico diretto e interpretato – fino al 25 marzo al Grassi – da Roberto Latini. Perché è proprio la citazione, letterale e iconoclasta, ossequiosa e irriverente, la chiave del regista romano per il suo primo spettacolo prodotto dal Piccolo.
Senz’altro un omaggio a tante illustri apparizioni, goldoniane e non, che in via Rovello hanno reso grande il teatro italiano, per esempio La tempesta, per non parlare dei riferimenti non casuali a Leo de Berardinis: sia perché Latini, come lo era il regista campano, è un abilissimo performer, sia per la presenza di Elena Bucci, Marco Sgrosso e Marco Manchisi, che rievocano Il ritorno di Scaramouche.
Ma si celebra anche il capolavoro del polacco Tadeusz Kantor, La classe morta, con gli attori in “seduta drammatica” tra i manichini ad alzare la mano come a scuola.
Insomma Latini, con la t-shirt sporca di sangue, monta uno spettacolo per ripercorrere la storia del teatro, o meglio la storia di molti suoi riferimenti teatrali, che riprende e riutilizza come ingredienti del cambiamento.
La mutazione genetica sulla scena è una strategia suggerita dalla commedia stessa di Goldoni. Che non è proprio una commedia, ma un testo teorico scritto nel 1750 quando si avverte il presentimento di una nuova epoca: finita la commedia dell’arte, il teatro ha bisogno di avventurarsi tra le sfumature della commedia di carattere.
Solo che Goldoni affida la sua poetica al palcoscenico: quindi trionfo del metateatro con attori in cerca di autore, autore in cerca di personaggi, personaggi in cerca di se stessi e Pirandello che prende appunti da dietro le quinte.
È questo il passaggio che Latini vuole mettere in scena, con tutto il disorientamento che ne consegue per attori e pubblico. Niente più posto per le maschere: al teatro moderno servono autore, regia e psicologie da mostrare e dimostrare.
Così la prova ha inizio e gli attori si aggirano fra colpi di pistola su un palco instabile, tutti carichi di un passato ingombrante e gravidi di un futuro incerto e minaccioso, su una pedana in bilico al centro del palco come una barca di comici alla deriva.
Ognuno è personaggio in quanto funzione di questo messaggio e la commedia, nei suoi due tempi, diviene una danza di fantasmi sul modello delle follie organizzate di Antonio Latella, riferimento non casuale dato che Latini, in quel Servitore di due padroni, faceva proprio Arlecchino.
Quello che però sembra mancare allo spettacolo, senz’altro efficace nei richiami espliciti e impliciti, nella drammaturgia di luci, colori, musica e suoni, nel virtuosismo di alcune interpretazioni – la cantatrice di Marco Sgrosso –, è un po’ di concretezza.
Dopo che Arlecchino viene letteralmente smembrato sul palco e ridistribuito tra gli attori, tutti a poco a poco “arlecchinizzati”, è come se la ricomposizione dell’intero fosse rimandata.
Così questo strano interludio teatrale si disperde in un labirinto di sottotesti fatto di tante immagini suggestive ma evanescenti, proprio come avviene nel telefono senza fili degli attori in proscenio, che non riescono a mettersi d’accordo su quando la prova ricomincerà.
Il teatro comico, di Carlo Goldoni, al Piccolo Teatro Grassi fino al 25 marzo
Immagine di copertina: Il teatro comico di Carlo Goldoni © Masiar Pasquali