Illudersi a Bologna, l’eterno fascino della percezione visiva

In Arte

All’interno dello storico palazzo bolognese Belloni, noto anche come “Casa Cantelli”, è possibile visitare fino al 21 Luglio la mostra itinerante “Museo illusioni tra arte e scienza”: un ricco percorso che, attraverso settanta tra installazioni, oggetti, immagini e ambienti virtuali, introduce ai paradossi e inganni percettivi più noti, capaci quindi di mettere in difficoltà la nostra capacità di interpretare il mondo. Ce ne parla Angelo Adamo, Musicista, Divulgatore scientifico, Illustratore e Fumettista, mente poliedrica che nell’ottica del rapporto tra arte e scienza inaugura qui la sua collaborazione con Cultweek.


Organizzata dal gruppo internazionale “Exhibition of Illusions” operante da decenni in questo particolare ambito museale, il Museo delle Illusioni di Bologna è una collezione di classici dell’illusione visiva, percettiva e cognitiva come, giusto per citare alcuni tra i più famosi, la Stanza di Ames, la griglia di Hartmann, il Cubo di Necker, il Vaso di Rubin, il Diapason del diavolo, l’Illusione di Ponzo, la figura di Boring (conosciuta anche col nome di La moglie e la suocera), l’illusione anatra-coniglio, il Triangolo di Kanizsa. Dai nomi riportati, si può facilmente evincere che si tratta di immagini e situazioni elaborate, o semplicemente scoperte e studiate da psicologi cognitivi e dediti in generale alla decodificazione e analisi dei complessi processi di percezione umana.


I meccanismi che inducono simili “imbarazzi e inganni visivi”, se non dipendenti da qualcosa di esterno al nostro corpo – in questo caso particolare, e solo in questo, si parla di illusioni ottiche –, hanno a che fare con la complessa interazione esistente tra l’ occhio che cattura le immagini – e responsabile quindi di alcune illusioni percettive – e il cervello che quegli stimoli visivi li elabora per creare comprensione e conoscenza – e nel quale possono dunque nascere illusioni di tipo cognitivo. Molte delle figure esposte, per definizione statiche e bidimensionali, grazie a un’opportuna sovrimposizione di griglie di linee o allo stretto accostamento con altre figure complanari diversamente colorate, appaiono quando in movimento – a volte si ha l’impressione che ruotino, in altre che si contraggano o che si espandano -, quando semplicemente non interpretabili in modo canonico. Seguendo il percorso della mostra, che prima di approdare nel capoluogo emiliano è già passata per Napoli e Torino, ci si imbatte di frequente in composizioni grafiche nelle quali lo strano intrecciarsi sulla superficie piana dei loro supporti di linee e tinte è capace di suggerisce alla nostra mente una fittizia, impossibile tridimensionalità.


Altre volte ci si trova di fronte ad altre figure nelle quali, complice l’insieme grafico, segmenti chiaramente paralleli sembrano volersi incontrare a brevissima distanza quasi a voler apertamente contraddire il quinto postulato di Euclide. In altri casi ancora, invece, a creare lo spaesamento interpretativo sono segmenti e figure che, di sicuro uguali tra loro, una volta accostati ad altre linee e immagini colorate, appaiono essere rispettivamente di lunghezze e aree differenti. Se la bidimensionalità può generare una illusoria e spiazzante tridimensionalità, vi sono pure casi in cui avviene esattamente il contrario: collezioni di oggetti eterogenei la cui strana sistemazione nello spazio risulta impossibile da interpretare se li si osserva lateralmente, divengono di colpo leggibili per il nostro cervello quando ci si pone in un particolare punto di osservazione dal quale la mente perde la cognizione della reciproca distanza tra essi facendo letteralmente “collassare” la loro sistemazione spaziale su di una unica, illusoria, ma stavolta leggibile e significante immagine bidimensionale.


Un capitolo a parte, poi, è costituito da interessanti ambienti nei quali la sistemazione delle pareti e dei pavimenti è tale da forzare la nostra percezione prospettica fino a ingigantire ciò che è decisamente piccolo rispetto a ciò che è di sicuro più grande: forse tra gli exhibit più divertenti per le famiglie (e, per questo, più gettonati), in simili punti del percorso museale il genitore, stazionando su un lato della parete, diventerà di colpo di dimensioni minori rispetto al figlioletto posto in quello opposto.
Di sicuro adatta a un pubblico eterogeneo per età e cultura, prevede una interessante opzione per gli avventori più giovani: è infatti possibile chiedere che a parlare con i bambini sia un animatore dal nome simpatico e autoironico (“Lesperto”, senza apostrofo); inoltre, a fine percorso si può scegliere l’opzione di un’ulteriore esperienza da compiere servendosi di visori per la realtà virtuale che, tramite due intriganti ambientazioni, fanno culminare l’intera esperienza percettiva con quanto le moderne e coinvolgenti “magie” elettroniche, frutto della programmazione digitale di ambienti virtuali, hanno reso in qualche misura “reale”.


A mente fredda, viene da chiedersi come mai ancora simili cose sorprendano. In fondo, più che di “casi artistici”, la cui dimensione estetica è spesso lasciata al solo uso di tante tinte accese delle immagini usate che così risultano di sicuro capaci di intrigare lo spettatore, si tratta a parere di chi scrive di stranezze da tempo note e interessanti più che altro da un punto di vista strettamente scientifico.
La domanda, comunque, perde subito valore se si pensa che anche i musei della scienza, come pure quelli dell’arte, continuano a entusiasmare il pubblico nonostante espongano esperimenti già compiuti in passato e opere create nei secoli precedenti. Per eventualmente rendere una mostra su questo specifico tema dell’illusione più avvincente e formativo, si potrebbe forse trasformarla in un percorso che, a ogni illusione “disvelata”, fa sempre seguire il riferimento a un caso eclatante della storia dell’arte (l’arte di Ersher in testa) o dell’attualità che “vede” quell’inganno visivo come protagonista.

Museo Illusioni tra arte e scienza, Bologna, Palazzo Belloni, fino al 21 luglio 2024

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