In Fuga con Bach

In Musica

András Schiff e la sua giovane ex allieva Schaghajegh Nosrati (che eseguirà col Maestro gli ultimi due contrappunti dell’opera) affronteranno il 3 dicembre al Conservatorio di Milano “L’Arte della Fuga”, capolavoro assoluto del sommo compositore tedesco

Metti una sera con uno dei più grandi pianisti di sempre, una giovane promessa della tastiera e l’eccelso compositore tedesco e avrai la ricetta del concerto del 3 dicembre della Società del Quartetto (che ha celebrato 160 anni di vita) sul palco della Sala Verdi del Conservatorio di Milano.

A portare nella metropoli lombarda L’Arte della Fuga, capolavoro del genio di Eisenach, ci saranno appunto due musicisti che ben conoscono la musica di Bach: Sir András Schiff, pianista di indiscussa fama e vecchia conoscenza del pubblico del Quartetto, e la giovane Schaghajegh Nosrati, laureata alla Barenboim-Said Akademie (dove è assistente dello stesso Schiff), che ha ottenuto consensi internazionali per le sue esecuzioni della musica di Bach. La svolta internazionale per Nosrati è arrivata con il premio al Concorso Bach di Lipsia nel 2014, ma soprattutto attraverso la sua crescente collaborazione musicale con Sir András Schiff, che ha elogiato la “sorprendente chiarezza, purezza e maturità” del suo modo di suonare Bach.

Come talvolta capita, il destino ci ha messo lo zampino per metterla sulla strada del successo: ha debuttato alla Pierre Boulez Saal di Berlino nel 2019, sostituendo Radu Lupu, che all’epoca era malato. È stata invitata di nuovo nel 2022, questa volta per eseguire il primo libro di Das Wohltemperierte Clavier di J.S. Bach, che la pianista aveva già registrato l’anno precedente (premiato con il German Record Critics’ Award).

Andras Schiff (foto @ Nicolas Brodard)

“Bach è l’inizio e la fine di tutta la musica”, come avrebbe sintetizzato Max Reger nel suo tributo al grande compositore barocco, potrebbe ben rappresentare il concerto del 3 dicembre, che riporta all’attenzione uno dei più grandi capolavori della musica occidentale, L’Arte della Fuga, sintesi perfetta della maturità del compositore e forse persino della sua estetica settecentesca teutonica. 

“I risultati del nostro Bach… mi sembrano raggiungere ciò che non molti Orfei, né venti Arioni, avrebbero potuto realizzare”, scrisse lo studioso classico Johann Matthias Gesner nel 1738. Nominato rettore della Thomasschule di Lipsia, Gesner fornì una valutazione di Johann Sebastian Bach alla tastiera che sarebbe stata poi ripresa nel famoso necrologio preparato dal figlio Carl Philipp Emanuel Bach insieme a Johann Friedrich Agricola, un ex studente del grande maestro: “Bach è stato l’organista e tastierista più prodigioso che ci sia mai stato”. Ci sono voluti secoli ai posteri per tentare di comprendere la portata dell’eredità di Bach e della sua creatività e forse, ancora oggi cerchiamo di addentrarci nel suo mistero. 

Suonare Bach, ancora nel 2024, pone una serie di domande e questioni legate al tipo di tastiera che Bach potrebbe aver utilizzato. Nelle partiture autografe (in nostro possesso) e nelle edizioni originali da lui supervisionate è ben chiara una certa sensibilità, pensata, elaborata e legata a una sonorità intesa per una particolare composizione, nonostante la diffusa pratica barocca della trascrizione, che ha favorito l’impressione (specialmente tra il pubblico moderno) che il mezzo organologico sia intercambiabile. Rispetto agli altri lavori per tastiera, L’Arte della fuga si colloca in una categoria a sé stante, al netto delle riflessioni estetiche, poiché il compositore ha scelto di non specificare alcuna strumentazione.

Come ricorda lo studioso Robert L. Marshall nel pensare lo strumento più adatto ad eseguire la musica di Bach: “La tastiera più appropriata, paradossalmente, non era affatto uno strumento particolare, ma piuttosto il clavicembalo [generico], con le sue ‘caratteristiche universali’: un singolo manuale con un’estensione da Do a Do, indipendentemente dal fatto che fosse attaccato a tubi o a un set di corde”.

Schaghajegh Nosrati

Tuttavia, ci sono forti argomenti per eseguire queste opere sul pianoforte moderno, come Sir András Schiff (e altri prima di lui, tra cui Glenn Gould) ha scelto di fare per il suo ciclo in sette parti delle opere di Bach per tastiera alla Boulez-Saal, per esempio: il pianoforte consente a un esecutore di far fronte ai diversi requisiti di questo repertorio in modo più efficace utilizzando un singolo strumento. La scelta dello strumento moderno (il pianoforte, al posto del clavicembalo dell’epoca di Bach) certamente non rappresenta più un elemento di così forte opposizione come nei decenni passati, quando si faceva strada il movimento dell’Early Music Revival, e con esso la necessità di una ricerca di maggiore autenticità nei confronti della musica e della sua storia. Come ci hanno insegnato gli esempi di Glenn Gould, ma anche quello italiano di Enrico Pieranunzi – con le sue esecuzioni delle Sonate di Domenico Scarlatti – l’interpretazione di un grande artista nella sua rilettura del passato è quanto mai necessaria e vitale nell’eterno vagare della musica.

In copertina: András Schiff (foto @ Nadja Sjöstrõm)

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