De Capitani dirige “In piedi nel caos”: al centro l’incognita della guerra, i suoi silenzi, l’energia e la speranza che scatena in chi è costretto a viverla
Entrando nella sala Fassbinder del Teatro Elfo Puccini in questi giorni c’è il rischio di trovarsi catapultati in una cucina, ma non una cucina qualsiasi, la cucina di una “kommunalka” russa.
Focolare è il luogo attorno a cui ruota tutta la casa, in cui gli abitanti delle diverse stanze si ritrovano o si isolano, unico spazio che hanno in comune. La cucina nello stesso modo in cui risulta essere il centro della casa, è anche il centro del dramma che ci racconta Elio De Capitani insieme a una squadra di attori ben consolidata, Angelo di Genio, Carolina Cametti, Cristina Crippa e Marco Bonadei.
In questo luogo vediamo vivere e affrontare giorno dopo giorno una fortissima disperazione, che è alimentata da quella personale di ognuno degli abitanti della casa. Quella di Yuri (Angelo di Genio) è quella di chi torna dal fronte con una gamba in cancrena e si getta nell’alcol perché “Nessuno parlerà di noi”, perché “tutte le guerre si somigliano ma ognuna è terribile a modo suo”.
Quella di Katja (Carolina Cametti) è quella dell’amore che non riesce a riportare alla vita l’oggetto dell’inarrestabile sentimento.
Quella di Babuska (Cristina Crippa), erede dei precedenti proprietari, è quella di chi è costretto a vivere sotto lo stesso tetto con l’uomo che ha portato via i suoi affetti più importanti ed è costretto a vendere ciò che le rimane di più caro.
Quella di Grisha (Marco Bonadei), un punk dai traffici illeciti, è quella di chi è incapace di vivere una vita normale, e poi quella dei personaggi che ci sono, ma che non vedremo mai, il vecchio padre di Yuri, grazie alla pensione del quale i due giovani riescono a sopravvivere in una crudissima Mosca, e infine una coppia di guardiani notturni.
In questo spazio, che evoca quasi un set cinematografico per l’attenzione ai dettagli, lo scenografo Carlo Sala è stato in grado di riportare lo spettatore in un batter d’occhio in teatro, seguendo le metamorfosi che compiono i sentimenti dei personaggi anche con l’aiuto delle luci di Nando Frigerio che riescono a racchiudere l’intero spettacolo in un affresco che ricorda la vita.
Il testo di Veronique Olmi, autrice francese di origini slave, racconta come la guerra (nello specifico, quella in Cecenia) non rimane al fronte ma viene trascinata da chi l’ha vissuta, ovunque vada. Che sia stato al fronte, che sia rimasto a casa ad avere paura per chi combatte. È così che traspare contemporaneamente la forza che è in grado di creare amore, che sostiene tutti i personaggi, ognuno nel suo microcosmo personale, poi nel macrocosmo del mondo.
L’intera vicenda è coperta da un pesante strato di disperazione, devastazione psicologica e fisica, disgregazione, degradazione, esasperazione, in cui però emerge come una luce bianca e pulita, la speranza, per ognuno diversa, perché vivere non ha alcun senso ma non è una buona ragione per crepare.
Fotografie: In piedi nel caos © Luca Del Pia