Prodotto dallo stesso team di “Quasi amici”, il secondo film di Mohamed Hamidi, regista francese di origini nordafricane, è stato un campione d’incassi in Francia. Racconta la divertente, tenera storia di un contadino algerino che parte, a piedi, per la fiera agricola della capitale, deciso a vincere, grazie al suo amato animale, una gara prestigiosa per quadrupedi. Il viaggio sarà pieno di incontri e sorprese, e soprattutto trasformerà il protagonista in un eroe dei media, stregati dalla sua simpatia e semplicità
Era dai tempi dei chiassosi pennuti condotti a Londra, oltre 30 anni fa, da Ian Holm nel polemico e delizioso In viaggio con le oche di Richard Eyre, o in tempi assai più recenti dalle pecore shock condotte in Piazza Duomo a Milano dall’Ultimo pastore nel documentario del 2011 di Marco Bonfanti uno dei più bei film indie italiani recenti, che non si vedeva un animale protagonista assoluto sullo schermo come nel divertente e delicato In viaggio con Jacqueline del francese, ma di evidente origine maghrebina, Mohamed Hamidi, che per questo film lo scorso anno ha concorso all’Oscar europeo.
Ma mentre in tanti analoghi, precedenti casi, come i due sopracitati, gli animali, spesso, presi in gruppo, assumono un ruolo un po’ metaforico e alludono a concetti altri, siano il fascino di una vita arcaica ma forse felice o la riscossa di una natura che bistrattiamo fino all’autolesionismo, o l’esistenza, anche oggi, nella società liquida e digitale, di un sostrato molto materiale di cui ogni giorno ci nutriamo e di cui qualcuno (uomo o bestia) dovrà pur farsi carico in qualche modo, qui Jacqueline assume invece proprio un ruolo da protagonista, da attrice. È lei, infatti, forse la presenza vivente (moglie e figli compresi, ma a fine storia forse le cose un poco cambieranno) più cara a Fatah, contadino di uno sperduto villaggio d’Algeria.
Ed è proprio per portare lei, la sua Jacqueline, il cui nome viene dalla sostanziale francofilia del suo padrone, tanto sfottuta dai concittadini più o meno islamisti, che viene invitato, dopo decenni di suppliche inefficaci, dagli organizzatori della Fiera Agricola di Parigi, per partecipare al concorso riservato al miglior capo di bestiame della sua categoria. Ovviamente privo dei soldi necessari per garantirsi un percorso rapido e confortevole, Fatah (interpretato dal simpatico e intelligente Fatsah Bouyahmed) attraversa il Mediterraneo su un traghetto e da Marsiglia si dirige a piedi, mucca al fianco, quasi more uxorio, lungo le strade di campagna dell’intera Francia. Che lo accoglierà nel complesso affettuosamente, con poca grinta alla Le Pen e più spirito di solidarietà contadino.
Il nostro viandante incapperà in una protesta sindacale che degenera in scontri (finendo anche una notte in carcere) e in un’avventura sentimentale, mancata ma che comunque susciterà l’ira funesta della consorte, già normalmente piuttosto ostile a lui, e dei suoi parenti. Farà amicizia con uno spiantato latifondista (Lambert Wilson) che finisce per sfoggiare un vero cuor d’oro, scendendo in campo accanto a lui, e ritroverà un nipote prima assai riottoso ad aiutarlo ma poi stregato dal suo incredibile successo. Si, perché con il suo viaggio un po’ assurdo e fuori dagli schemi, Fatah diventa un eroe dei social media, che ne fanno il loro imprevedibile favorito alla gara parigina, mentre la tv se ne impossessa per trasformarlo in un eroe moderno e commovente, un paladino degli ultimi, un mix di Forrest Gump e Chance il giardiniere.
In viaggio con Jacqueline, opera degli stessi produttori di un altro campione d’incassi in Francia, Quasi amici, ha portato nei cinema transalpini oltre un milione di spettatori e paga dichiaratamente e subito il suo debito verso un’analoga, celebre pellicola francese con Fernandel, La vacca e il prigioniero, 1959, di Henry Verneuil, e viene in mente anche Una storia vera di David Lynch, film amato da Hamidi: è una commedia on the road, una storia semplice, un film da famiglie, come si dice, “per tutti”: ma stavolta l’accezione un po’ snob e schifiltosa che questa dicitura porta con sé sarebbe fuori luogo.
Perché, al netto di ottimi interpreti e di una trama che tiene, e in fondo spesso appassiona e pure diverte, grazie ai suoi detour comici nella gran parte dei casi riusciti, il film ci parla anche di un mondo che al cinema (e sui media tutti, vecchi e nuovi) si vede assai poco e quando c’è non ha comunque la vivida forza di vivere che il regista gli trasmette. Fatah sta al gioco della fascia più basic della società dello spettacolo, certo, ma più avanti va la storia e sempre meno appare come un sprovveduto, un grullo. Anzi, rincarna la maschera tradizionale del villico furbo, che sfrutta a suo vantaggio le circostanze della vita e la necessità degli altri a farsi perdonarsi il cinismo di tutti i giorni commuovendosi davanti alla tv per un povero contadino algerino sperduto nella grande France, nella grande Paris in cui sembra capitato per caso, da un altro tempo. Ma che invece sa astutamente mostrarsi, per farsi amare e vincere la sua piccola grande gara, anche più “terra-terra” (è il caso di dirlo) di quanto non sia davvero.
In viaggio con Jacqueline, di Mohamed Hamidi, con Fatsah Bouyahmed, Jamel Debbouze, Lambert Wilson, Julia Piaton, Hajar Masdouki, Patrice Thibaud