«Ciao»: dal romanzo di Walter Veltroni, Piero Maccarinelli dirige uno strepitoso duo d’attori in uno spettacolo sul vuoto di un sentimento mai nato fisicamente. «Ciao« è forse troppo improntato alla memoria e all’elogio, facendo però emergere uno spaccato nostalgico di un Paese che (forse) non esiste più
Ciao è, per Walter Veltroni, il resoconto sentimentale di un sogno. Alle molteplici declinazioni che lo accompagnano (politico, cinefilo, regista…) ce ne sono altre due che si intrecciano senza soluzione di continuità, perlomeno apparente: quella di scrittore, e quella di uomo.
Ce ne sarebbe un’altra, ben più strutturata, da sviscerare: quella di figlio. Ciao, prima di diventare lo spettacolo in scena al Parenti e diretto da Piero Maccarinelli, è un romanzo che mister Veltroni ha pubblicato per Rizzoli nell’ottobre del 2015. Un libro in cui, immerso nei suoi pensieri, l’autore incontra in forma più o meno onirica il padre Vittorio, capocronista RAI, scomparso nel 1956, quando il nostro Walter non ha neppure due anni.
Le colpe dei padri ricadono sui figli, come diceva qualcuno di autorevole, ma non è questo il caso: nello spettacolo diretto da Maccarinelli, che si riconferma regista garbato e soprattutto formidabile direttore d’attori, ad andare in scena è soprattutto un confronto tra generazioni.
Oggi, come sessant’anni fa, è tutta questione di ideali: vincenti o inesistenti, polverosi oppure ancora pulsanti, sono loro a regolare i meccanismi culturali di una civiltà come la nostra. Ci piaccia o meno, sono gli ideali a forgiare i caratteri, a massacrare o difendere le paure, a creare le ambizioni.
Ci sono gli ideali di un padre (Francesco Bonomo), che vive la Guerra, che la anticipa, che è protagonista di un mondo al confine tra cambiamento, rivoluzione e terrore; e c’è un figlio (Massimo Ghini, perfetto nella parte), un eterno ragazzo di sessant’anni che di quei sentimenti recepisce le reazioni per “creare” un nuovo sostrato, senza sacrificare la bellezza della memoria. Le parole scatenano un flusso di ricordi: da Coppi a Bartali, dai cinegiornali zeppi di retorica ai funerali del Grande Torino, passando per Alberto Sordi, l’Italia dei dolori torna in scena…
È Ferragosto, un solitario giorno d’estate in cui Roma, svuotata d’ogni psicosi, è stupenda. E silente.
I due si incontrano in un sogno, quando ormai è troppo tardi, o forse no, all’ombra di una grande libreria bianca.
«Sono arrivato nel momento giusto», proclama il padre.
«Nel momento giusto per te o per me?», replica il figlio.
Sono uomini con un nome e un cognome, ma come Maccarinelli – e lo stesso Veltroni – fanno trasparire, più o meno pubblicamente, questi signori potrebbero essere un padre e un figlio di qualsiasi pezzo d’Italia dal dopoguerra a oggi.
La dolcezza del testo originario di Veltroni incontra, anche sulla scena, la pragmatica attenzione alla realtà che si trasforma, ai mutamenti sociali di un paese, filtrati dal “linguaggio dei sentimenti”: alla riflessione legittimante e politica si uniscono vuoti emotivi incolmabili, che tuttavia trovano la forma della credibilità proprio grazie al sogno. Questa dimensione giocosamente paradossale rievoca un amarcord agrodolce, molto meno “amabile” di quanto Veltroni sia apparso negli ultimi anni, sia sulla scena pubblica che su quella culturale.
C’è molto di Walter V.: dall’attitudine gentile all’esistenza allo spassionato amore per il cinema – vengono citati Capra e La signora scompare di Hitchcock, tanto per dirne due – anche se, in certi passaggi, l’elogio (auto)biografico prende troppo la mano, e per svariati minuti si assiste esclusivamente alla disamina dei numerosi traguardi professionali raggiunti in RAI da papà Vittorio.
L’Italia delle contraddizioni, dei no-sense e delle invadenze sentimentali è la terza protagonista dell’opera, che Maccarinelli dirige con estrema sicurezza: questo incontro metafisico (nel senso letterale del termine) piomba sul capo del protagonista nel momento giusto, quando i suoi ideali di sessantenne si confrontano con lo scorrere degli anni.
Ed è in questo momento che ci si riunisce alla forza del padre: conosciuto, sconosciuto, ma da sempre esistente. Forse in un ricordo, in una traccia del passato che non è nitida, ma che c’è. O forse, semplicemente in un sogno.
Foto di Filippo Manzini
Video di Teatro della Pergola
Ciao, di Walter Veltroni, al Teatro Franco Parenti fino al 30 aprile