Vecchi e, soprattutto, tanti e giovani. Funamboli in bilico tra due appartenenze. Sono gli italiani a Londra raccontati in maniera sfaccettata dal documentario di Luca Vullo, che ci dice non solo del senso di futuro, delle energie e delle contraddizioni messe in campo e vissute da loro, ma anche del presente e del futuro del nostro paese
Influx è un documentario che racconta un pezzo delle nostre vite, dei molti italiani che hanno scelto di trasferirsi a Londra alla ricerca di un’alternativa, pratica, lavorativa e psicologica. E’ il racconto dell’immigrazione a Londra (ne abbiamo parlato anche qui), più che nel resto di UK, e proprio per questo ne racconta l’apertura, la capacità di accogliere, l’assenza di pregiudizi, e la libertà degli stili di vita che secondo molti degli intervistati ancora manca nel nostro paese. Niente di più lontano dalla Gran Bretagna profonda, quella della Brexit, della mancanza di speranze e della paura del diverso e dello straniero, figlie di una politica populista e della marginalizzazione economica, sociale e culturale che dagli anni della Thatcher in poi ha fortemente colpito la working class inglese.
Londra rappresenta oggi, e speriamo continuerà a rappresentare, la meta eletta dei giovani italiani, e non solo, che cercano di inventarsi e reinventarsi; andare all’estero, e a Londra in particolare, è diventato un passaggio necessario, anche un po’ a prescindere da cosa si vada poi a fare in questo estero tanto agognato. Ma una ragione c’è e, come alcuni degli intervistati ricordano, ha a che fare con il senso di futuro, con il senso di possibilità che si respira da queste parti. Si percepisce immediatamente, appena sbarcati a Londra: la gente, e i giovani in particolare, sente di avere delle opportunità e di conseguenza agisce in modo che ai nostri occhi può sembrare addirittura un po’ cialtrone, dai gap years in viaggio in giro per il mondo agli svariati, e a volte un po’ subitanei, cambi di studi e di carriera. Quello che si avverte arrivati qui è l’assenza di quello che uno degli intervistati chiama la cappa sull’immaginazione, quel senso d’ansia e di oppressione, d’incertezza sul proprio futuro che rende difficile persino sognare e immaginare cosa si vuole fare da grandi.
Ciò detto però il quadro non è così idilliaco come può sembrare: Londra è per certi versi una città faticosa, troppo grande, costosa, a volte quasi ostile, e che non sempre favorisce la creazione di reti e di comunità. Allo stesso tempo il mercato del lavoro è, come ricorda un’altra intervistata, molto competitivo, a volte spietato, e lascia indietro chi non ce la fa. E per quanto il confronto con l’Italia porti molte voci del documentario a elogiare alcuni aspetti della società inglese, dall’assenza di nepotismo alla maggiore agilità e rapidità della burocrazia, l’Inghilterra rimane un paese estremamente diseguale e classista, dove le diseguaglianze sono ulteriormente aumentate negli ultimi anni di governi tories e politiche di austerity.
Influx, che è diretto da Luca Vullo e che è un progetto realizzato da un team che con Londra ha o ha avuto a che fare, mette molto bene in luce la condizione dell’emigrante attraverso la metafora visiva del funambolo. Se da una parte emigrare vuol dire fare esperienza della ricchezza dei due contesti, vuole dire anche sentirsi sospesi tra due mondi, avvertire una certa incertezza riguardo alla propria identità, non appartenere, ancora, o forse mai, alla nuova realtà, ma ogni volta che si torna percepire chiaramente una distanza da coloro che sono rimasti. Anche da questo derivano le emozioni difficili descritte dagli intervistati, ansia, preoccupazione di non farcela da soli e mancanza di autostima, e le contraddizioni, incluse quelle in relazione alle famiglie d’origine, che da una parte incoraggiano ad andare e dall’altra mantengono relazione così strette da rendere complicato un allontanamento psicologico forse in parte necessario.
Influx è un documentario che parla molto dei giovani a Londra, che anche statisticamente sono la maggioranza, tanto da diventare un tema del racconto sociale del nostro paese, ma ha anche il merito di intervistare e raccontare altre generazioni, a partire dalla curiosa e piuttosto lirica sequenza, quasi in apertura, su un gruppo di anziani, vecchi emigrati italiani a Londra, che si ritrovano a Casa San Vincenzo Pallotti a giocare a carte. Permette così di raccogliere le testimonianze di coloro che conoscono bene la capitale britannica e il contesto inglese e di comparare la vecchia e la nuova emigrazione. Nel tentativo di rappresentare la diversità dell’esperienze, poi, Influx racconta storie molto disparate in termine di età, occupazione e riuscita, comprese quelle degli italiani che non ce l’hanno fatta, e sono finiti a vivere per strada, e vengono aiutati grazie al St Peter’s project, luogo di incontro e supporto per gli italiani di Londra. Non uno spaccato univoco, quindi, ma un racconto che ha molto da dirci non solo sull’esperienza italiana nella capitale inglese, ma sul presente e sul futuro del nostro paese.