Un rude soldato e le ragazze del collegio: è (fin troppo) perfetto il remake di Sofia Coppola

In Cinema

A 45 anni di distanza da “La notte brava del soldato Jonathan” di Don Siegel, protagonista un conturbante Clint Eastwood, la regista americana ripropone in “L’inganno” le torbide, drammatiche vicende del militare nordista ferito, soccorso in un collegio per signorine del profondo Sud (siamo nel 1864, in piena Guerra Civile). La vita in un universo femminile chiuso e sempre più morboso, scatenerà tradimenti e passioni in tutti, fino al catastrofico finale. Un film, nonostante la trama e la povertà del momento e del contesto, di grande eleganza, arricchito da scenografie e costumi squisiti, diretto con sapiente lentezza e raccontato con una giusta, equilibrata distanza. Cast di lusso, da Colin Farrell (un po’ sotto tono) a Nicole Kidman, Kristine Dunst e Elle Fenning, tutte scintillanti.

Virginia, 1864. La guerra civile infuria e il soldato nordista John McBurney (Colin Farrell) si ritrova gravemente ferito e disperso dietro le linee nemiche. Una ragazzina in cerca di funghi lo soccorre e lo porta nel collegio per signorine di Martha Fansworth (Nicole Kidman), dove vive. Il soldato viene accolto per carità cristiana, ma anche immediatamente concupito, all’interno di un gruppo di giovani donne isolate e infelici, curiose e al tempo stesso immensamente spaventate, in prima fila la timida insegnante interpretata da Kirsten Dunst e l’adolescente ambigua con il volto bello e febbrile di Elle Fanning. L’improvvisa presenza di un maschio, per di più giovane e aitante, benché azzoppato, funziona all’interno di un universo chiuso ed esclusivamente femminile come una sorta di catalizzatore di sentimenti e desideri. Portando inevitabilmente a esiti tragici.

Qualcuno si è chiesto perché Sofia Coppola, vincitrice per il film della Palma alla miglior regia al Festival di Cannes 2017 abbia deciso di raccontare proprio questa storia in L’inganno, remake di un film del 1971 uscito in Italia con il titolo La notte brava del soldato Jonathan, firmato da Don Siegel che l’aveva tratto da un romanzo di Thomas Culligan e aveva scelto come protagonista un giovane, conturbante Clint Eastwood. A me pare che la risposta sia evidente: questa storia di sguardi e desideri femminili, incroci perversi di aspettative e paure, è perfettamente nelle corde della regista del Giardino delle vergini suicide e di Marie Antoinette. Come in molti dei suoi film, Sofia Coppola esplora un microcosmo femminile con partecipazione e distacco, collocandosi a una distanza intermedia che le consente di vedere bene, mettere a fuoco tensioni e disagi, e al tempo stesso in qualche modo di sospendere il giudizio.

Rispetto all’originale la regista ha deciso alcune modifiche, niente affatto irrilevanti, che sembrano in qualche modo riflettere la scelta di edulcorare alcuni aspetti, in particolare il bacio decisamente inquietante che proprio all’inizio del film si scambiavano la bambina e il soldato. Anche la domestica di colore (una schiava, vista l’epoca) viene eliminata, e con essa un bel po’ di implicazioni politiche: risultato, il gineceo in cui si trova intrappolato il protagonista maschile finisce forse con l’essere esageratamente wasp, bianco, biondo e diafano, senza sfumature estranee.

In generale, quello che nel film di Don Siegel era sanguigno e feroce, perverso eppure sottilmente fascinoso, qui diventa delicato, sospeso, sempre in qualche misura fiabesco, anche quando le pulsioni si fanno ingovernabili e crudeli. I movimenti di macchina sono lenti, la fotografia è morbida, la messinscena sontuosa nonostante gli accenni all’inevitabile penuria di guerra. I costumi sono impeccabili, meravigliosi, un vero e proprio guardaroba da favola. Sì comincia coi bianchi verginali delle prime scene per esplorare poco a poco una gamma infinita di tinte pastello, dal rosa cipria al verde salvia, dal ciclamino al giallo paglierino, per arrivare alle tinte cupe dell’ultimo scorcio di film, quello dove i nodi vengono al pettine e la violenza esplode, inconsulta e selvaggia: in una sorta di ritorno alla natura, a uno stato primigenio di ferinità che riduce a brandelli ogni residuo di buona educazione, forse addirittura di civiltà.

Come sempre davanti a un remake non si può fare a meno di tirare qualche somma e tentare un raffronto, per quanto rapido. Forse quello che ne esce peggio è Colin Farrell, sulla carta perfetto nel ruolo di protagonista ma in realtà un po’ insoddisfacente, privo di vero nerbo, come se nel suo personaggio non riuscisse a credere fino in fondo. Torna in mente il ben più efficace soldato Jonathan di Clint Eastwood, torbido e sensuale, ma anche debole, crudele, viscido, un concentrato perfetto di ciò che può risultare attraente e al tempo stesso ripugnante in un uomo. Perfette, invece, le protagoniste femminili. Forse fin troppo perfette nella loro bellezza eterea, preziosa e intangibile. Un po’ come il film, bello e compiuto, incline al perfezionismo ma incapace di colpire il cuore, e ancor meno le viscere.

L’ingannodi Sofia Coppola, con Colin Farrell, Nicole Kidman, Kirsten Dunst, Elle Fanning

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