A Palazzo Reale, la prima mostra monografica italiana dedicata a Jean-Auguste-Dominique Ingres
Montauban, città sorta nel XII secolo e situata in Occitania, regione del sud-ovest della Francia, si segnala nella storia artistica e letteraria per aver dato i natali in particolare a due individui. Oltre che per essere connessa al nome di Renaut (Rinaldo, in italiano), personaggio immaginario delle chanson de geste medievali e che comparirà anche nei poemi di Boiardo e Ariosto, la città è al giorno d’oggi nota perché legata maggiormente a Jean-Auguste-Dominique Ingres (1780-1867), alla cui opera è dedicato in loco un museo commemorativo.
Proprio da una contingenza riguardante il Musée Ingres di Montauban, ossia la sua chiusura per ristrutturazioni fino al termine del 2019, prende le mosse la mostra Jean Auguste Dominique Ingres e la vita artistica al tempo di Napoleone. L’esposizione al Palazzo Reale di Milano, che ospita quindi una parte delle opere inviate ‘in tournée’ dal museo francese, costituisce la prima personale dedicata ad Ingres in Italia, ed è curata appositamente da Florence Viguier-Dutheil, Conservatore Capo del Patrimonio e Direttrice del Museo Ingres. Agli importanti lavori arrivati da Montauban se ne aggiungono anche altri, provenienti per la maggior parte sempre dalla Francia; su un totale di oltre 150 opere, si segnala la presenza di più di 60 fra dipinti e disegni di Ingres. Ma soffermiamoci dunque sulle peculiarità della mostra in questione.
Si sono voluti approfondire, ci pare, due aspetti: innanzitutto l’esposizione si concentra certamente su determinati lati dell’iter artistico di Ingres, e in secondo luogo su alcune connessioni che due culture, rispettivamente quella italiana e quella francese, ebbero con la politica di Napoleone Bonaparte, specialmente (nel caso della prima) a seguito del trattato di Campoformio del 1797, evento che comportò l’ingerenza napoleonica su parte dell’Italia settentrionale.
Migliore allievo di Jacques-Louis David (1748-1825), attento studioso dell’arte italiana quattro-cinquecentesca (soggiornò in totale circa 25 anni in Italia, ed espresse sempre un culto verso l’opera di Raffaello), formatosi in una temperie culturale e artistica erede dei dettami del razionalismo illuministico, il pittore di Montauban visse in un periodo storico di cambiamenti radicali per la Francia. Ingres fu infatti prima testimone dalla Rivoluzione, poi vide succedersi in un lasso congestionato di anni l’egemonia napoleonica, il tentativo di Restaurazione della monarchia borbonica, seguito dai due fallimentari governi repubblicani, e morì infine negli ultimi anni del Secondo Impero di Napoleone III. Una riduzione del suo operato a quello di mero epigono dei dettami neoclassici ci pare eccessiva, così come suggerisce anche la curatrice della mostra, dal momento che egli presenta nelle proprie tele un carattere di peculiare individualità, non limitandosi a riproporre uno sterile manierismo accademico.
Lo stile ingresiano risulta connotato sì per certi aspetti verso questa direzione a causa di una marcata attenzione per il disegno e le linee delle figure, piuttosto che per la profondità e il volume delle forme, ma il pittore di Montauban oltrepassa tale paradigma espressivo raggiungendo una cifra personale, che si sostanzia nella rinuncia del tutto tondo davidiano in favore di una resa prettamente bidimensionale dei soggetti, i volumi dei quali sono come solo suggeriti dalla stesura del colore, sempre di secondaria importanza rispetto alla rigorosa architettura portante del disegno. In attenta analisi può essere affermato che la sua identità artistica, a tratti anche controversa, sia stata resa ancora più celebre dal fatto che egli si ritroverà a difendere, negli anni della maturità, proprio le posizioni di questo stilema pittorico più ‘conservatore’, prescrivente il menzionato primato del disegno sul colore, in opposizione alla tesi contrastante di Delacroix (invitiamo chi volesse informarsi meglio sulla questione alla lettura della Storia dell’impressionismo di John Rewald, un classico della storia dell’arte).
Il visitatore dell’evento a Palazzo Reale diviene dapprima testimone degli esiti della produzione contemporanea alla formazione di Ingres, che frequentò a partire dal 1797 il rinomato atelier di David – di grande suggestione è l’apertura della mostra con il Nudo maschile detto Patroclo (1780) del maestro. Nell’esposizione si distinguono quindi nelle sezioni iniziali in particolare le opere, ascrivibili ai dettami della cultura accademica, di alcuni dei più validi allievi di David (‘colleghi’ di studio, a loro tempo, di Ingres): il più presente è François-Xavier Fabre, a cui si affianca Anne-Louis Girodet. Nelle sezioni centrali trovano invece spazio i soggetti ancorati al contesto sociopolitico influenzato da Napoleone: oltre al ritratto di quest’ultimo, dipinto da Ingres (che merita un discorso a parte), si evidenziano a tal riguardo le presenze previste, ma in un certo senso quasi d’obbligo, dei due più importanti artisti italiani in contatto con Bonaparte: Andrea Appiani (1754-1817) e Antonio Canova (1757-1822). Da segnalare anche la presenza del Ritratto di Giovanni Battista Sommariva (proveniente da Brera, dipinto nel 1813 da Pierre-Paul Prud’hon), politico e influente collezionista d’arte, il cui operato al governo della Seconda Repubblica Cisalpina fu criticato duramente in maniera allusiva dal giovane Manzoni nel suo poemetto Del trionfo della libertà (1801-1802 circa). All’eterogeneità dei primi due terzi circa delle opere in mostra, fa da contraltare l’ultima parte dell’esposizione, dedicata esclusivamente alle produzioni di Ingres, che compaiono sì nelle sezioni iniziali, ma non in maniera esclusiva, come si è detto.
La figura del maestro francese risulta senza dubbio valorizzata dalla rassegna di opere ospitata a Palazzo Reale, nella quale si riscontrano alcune fra le sue tele più famose; ne citeremo solo alcune, per non privare il lettore di una globale scoperta personale durante la visita. Impossibile non menzionare il noto Napoleone I sul trono imperiale (1806), già sulla locandina della mostra, al quale è dedicata una sala a parte, dove si può osservare in aggiunta una serie di schizzi e disegni preparatori che riguardano questa grande tela di propaganda politica. Oltre all’attenzione per la capacità di resa espressiva dimostrata da Ingres in una serie di ritratti, due sono poi i principali nuclei tematici su cui ci si sofferma: quello dei nudi femminili e quello della pittura di soggetto storico-commemorativo.
Significativa per il primo gruppo citato è l’esposizione di una copia del 1830 circa, realizzata con la tecnica del chiaroscuro, della Grande odalisca del 1814; da segnalare poi uno studio di figura (la Donna con tre braccia, 1815-1863) che Ingres recupererà per la sua ultima memorabile tela, Il bagno turco, conservato oggi al Louvre, terminato nella forma definitiva 1863 a più di ottant’anni, e che venne rispedito l’anno precedente al pittore dall’iniziale committente Napoleone III, a causa della presunta eccessiva lascivia del soggetto. All’interno del secondo gruppo merita invece una menzione d’onore la presenza della piccola ma suggestiva tela La morte di Leonardo da Vinci (1818), in mostra proprio durante il cinquecentenario della scomparsa dell’uomo universale.
Ora, qual è dunque l’impressione d’insieme suscitata dall’esposizione dedicata ad Ingres e al periodo napoleonico? Ci pare che, al di là di un giudizio sull’allestimento in sé, per gli appassionati d’arte sia da sfruttare su tutto l’occasione di osservare alcune opere, fra le più note della storia artistica europea, altrimenti visionabili in gruppo solo a Montauban. Lodevole a riguardo è anche il proposito di esporre un corposo gruppo di disegni di Ingres, che permettono di essere testimoni del suo ragionamento nelle fasi prepittoriche. Al di là di scelte ‘di riempimento’, costituite dalla presenza di alcune tele contemporanee a quelle del protagonista dell’esposizione, ma di valore inferiore rispetto ad esse, nel complesso quindi l’allestimento ci pare riuscito. Ciò che sembra rimanere aperto però, durante la visita, è in un certo senso il modo con il quale concepire l’opera di Ingres. Sulla scorta delle premesse esposte all’inizio della mostra, si è portati a interrogarsi su quanto il suo sia stato un percorso emancipativo dallo stile neoclassico, considerato secondo la sua componente puramente imitativa della tradizione nel senso deteriore del termine.
Al di là di un’interpretazione dell’opera di Ingres che consideri quest’ultimo come più o meno distante dal dettame figurativo neoclassico, il contatto con le sue tele suscita ammirazione verso la caratteristica del suo stile che era maggiormente deprecata dall’avversario Delacroix. Ci si riferisce al valore della capacità di figurazione di Ingres, che è sufficiente per inserire a buon diritto il suo nome fra quelli dei maestri più apprezzati per le abilità disegnative all’interno della storia dell’arte (non a caso a lui guarderanno Degas, Matisse e Picasso). Il vertice della sua dote pittorica matura è riscontrabile nel ritratto di Napoleone in mostra: la tela merita assolutamente di essere osservata dal vivo, ed in essa è ravvisabile appunto il virtuosismo pittorico di Ingres soprattutto nella dettagliata resa di pressoché ogni particolare; la suggestione suscitata dal dipinto non può che essere incisiva, oltre che per quanto detto, anche a causa del valore storico da esso posseduto.
Uomo di importanza pubblica – nel 1825 gli vengono conferiti i meriti dell’onorificenza della Legion d’onore e dell’ammissione come membro dell’Académie des Beaux-Arts – Ingres si identifica dunque come ultimo grande erede della cultura settecentesca a resistere al cambio di tendenze che in Francia partirà col Romanticismo, passerà per il Realismo provocatorio di Courbet ed arriverà a Manet («pittore della vita moderna») e agli Impressionisti. Una resistenza sì quella di Ingres, ma comunque dettata dall’ottemperanza sincera alle proprie convinzioni pittoriche, difese con cieca ostinazione (questo un difetto della sua personalità), che esprimono l’adesione ad un sistema ideologico di fine Settecento che attua un’ultima strenua opposizione identitaria nei confronti delle tendenze artistiche ‘controcorrente’ che si sviluppano nel XIX secolo.
È forse proprio anche questo contatto con la società francese uno dei tratti più caratteristici della figura di Ingres: le sue opere rimangono a commemorare la grandeur della nazione, e non pare un caso che venne apprezzata la sua capacità di raffigurazione di quella società francese a lui contemporanea che così tanto stava mutando. A tal riguardo, non accidentalmente Théophile Gautier scorge nel Ritratto di monsieur Bertin (1832) «la rivelazione di tutta un’epoca» e Baudelaire sottolineò con decisione, nella sua recensione delle opere presenti al Salon del 1845, che solo Ingres sarebbe riuscito a valorizzare in un ritratto i connotati di Luigi Filippo, il famoso ‘re pera’. Probabilmente anche una così suggestiva raffigurazione di Napoleone fu possibile soltanto con le doti di un Ingres, artista che ha lasciato il segno nella storia dell’arte per la sua abilità disegnativa virtuosistica. Insomma, riprendendo Baudelaire: «un solo uomo è degno di farlo: Ingres».
Immagine di copertina: Grande odalisca (versione in chiaroscuro), 1830 circa. The Metropolitan Museum of Art, New York, Catharine Lorillard Wolfe Collection, Wolfe Fund, 1938