Ingrid Bergman, il coraggio del cinema

In Cinema

Bellissima e bravissima, la più ribelle e professionale delle attrici europee conquistò Hollywood e Cinecittà: vincendo tre Oscar tra noir, commedia, impegno

I più attenti di voi avranno notato che il manifesto del Festival di Cannes di quest’anno mostrava una bellissima fotografia in bianco e nero di Ingrid Bergman. Il festival ha celebrato così il centenario della nascita di un’attrice non solo famosissima, ma che nel 1973 è stata anche presidente di una sua Giuria. Incarico non casuale: all’epoca la Bergman aveva già vinto due Oscar (grazie ad Angoscia e Anastasia) e l’anno dopo, a 59 anni, ne avrebbe vinto un altro per Assassinio sull’Orient Express, entrando nella ristretta rosa degli attori più premiati di sempre. Perché Ingrid Bergman brava lo era davvero.

Eppure quando David O. Selznick, il potente produttore hollywoodiano di Via col Vento, vide in carne e ossa la giovane Ingrid, temette sconsolato d’aver preso un abbaglio. Avendo deciso di realizzare il remake di un film scandinavo di enorme successo, Intermezzo, volle includere nel pacchetto anche l’attrice protagonista della pellicola svedese, ma dopo il primo incontro la ragazza gli sembrò troppo alta, con un nome troppo tedesco, un inglese troppo stentato e sopracciglia troppo folte. Lui confidava in una nuova Greta Garbo, un’algida bellezza nordica dall’aria altera e misteriosamente sensuale: invece si ritrovò di fronte una timida ragazzona tutta salute. A 24 anni la Bergman era naturalmente bellissima, ma nella Hollywood pre-conflitto mondiale la naturalezza veniva considerata alla stregua del maligno, e tutte le attrici venivano implacabilmente rimaneggiate. Sempre cortesissima, la Bergman rifiutò di farsi toccare e dopo le iniziali perplessità di Selznick in breve emerse la lampante verità: aveva ragione Ingrid. E il risultato, una donna dalla bellezza non artefatta, fu poi gradito dal pubblico. Selznick scopre in fretta che la Bergman non è solo bella. “Miss Bergman è l’attrice più coscienziosa con cui abbia mai lavorato, non pensa ad altro che al lavoro”. Il suo sollievo di produttore, che per una volta non doveva lottare contro le mattane delle primedonne dell’epoca, gli diede un tale sollievo che restò amico della Bergman per tutta la vita.

Del resto la dedizione dell’attrice alla recitazione ha radici profonde. Come molti introversi, Ingrid scopre che non c’è niente di meglio che rivelare emozioni e sentimenti in palcoscenico. “Sono una delle persone più timide al mondo – scrive nel suo diario – ma dentro di me sento di avere un leone che difficilmente si addomesticherà”. La sua storia dimostra che più di una volta la Bergman ha saputo prendere decisioni che l’hanno costretta a lottare come una leonessa per imporsi a un mondo a volte troppo duro con lei. Alla giovane Ingrid, non è che sia andata sempre bene. Nata a Stoccolma il 29 agosto 1915 perde la madre Friedel, tedesca di Amburgo, quando ha solo due anni. Il padre Justus, un fotografo dallo spiccato senso artistico, la tira su con un amore devotissimo, a giudicare dalla quantità di fotografie e filmini nei quali immortala l’unica figlia. Fin da piccina Ingrid si traveste con gli abiti della madre e dichiara al babbo che farà l’attrice! Lui l’asseconda, le fa prendere lezioni di dizione, ma non vedrà la sua gloriosa carriera: muore di cancro quando la figlia ha 12 anni. Ingrid viene spedita in casa di una zia zitella, che sei mesi dopo muore. Mentre ci s’inizia a chiedere se la ragazza non porti un po’ sfortuna, il nuovo trasferimento, stavolta felice, in casa di uno zio che l’accoglie con l’affetto chiassoso di una famiglia numerosa. E con tanta pazienza, visto che Ingrid di certo non brilla a scuola.

A 17 anni per la Bergman si presenta la grande occasione. Sostiene l’esame per entrare nella scuola del Royal Dramatic Theatre di Stoccolma. Convinta di aver fatto pena, scopre tempo dopo che i giudici l’hanno trovata deliziosa fin dal primo momento, e provvista di un talento naturale che non lascia speranze alle altre contendenti. L’entrata al Royal Dramatic segna l’inizio di una passione travolgente e reciproca fra la Bergman e la recitazione. Viene ben presto scritturata per piccole particine fino a conquistarsi, a soli 21, anni un ruolo da protagonista nella pellicola Intermezzo, quella che conquisterà anche Selznick.

Ma è con Casablanca al fianco di Humphrey Bogart che la timida attrice svedese entra nell’empireo delle star hollywoodiane. Nonostante Bogart sia costretto a recitare sollevato da pedane per essere all’altezza dell’imponente statura di lei e che questo non lo disponga benevolmente verso la partner, il film ha un successo strepitoso e viene considerato il simbolo dell’amore tormentato, anche se punteggiato qua e là dallo humor dell’attore Claude Reins.

Da lì in poi s’inaugura per Ingrid una stagione entusiasmante. L’anno dopo riceve la prima nomination all’Oscar grazie a Per chi suona la campana tratto dal romanzo di Hemingway che l’ama tanto da chiamarla “figlia”. E pare che quando le dissero che per recitare il ruolo di Maria avrebbe dovuto tagliarsi i capelli cortissimi, lei abbia risposto: “Per ottenere quella parte mi taglierei la testa!”. Non vince l’Academy, ma ci riprova l’anno dopo e questa volta ottiene l’ambita statuetta per il noir Angoscia. Per lei perde la testa anche Alfred Hitchcock che la sceglie tre volte, e, cosa inudita per il regista, ogni tanto le lascia persino esporre un suo punto di vista sul set. Nel primo film, Io ti salverò, la Bergman recita a fianco di Gregory Peck il quale, forse anche perché adeguatamente alto, la conquista tanto da farla capitolare in un breve ma intenso affaire.

E l’anno dopo, 1946, è il turno di Notorius, l’amante perduta. Promulgato negli anni trenta, il Production Code, o Codice Hays, dal nome del suo creatore, costringeva Hollywood a seguire per ogni film linee guida che dovevano vigilare sulla moralità degli americani. Per intenderci, era a causa del Codice Hays se nella camera degli sposi si vedevano solo letti gemelli e mai matrimoniali, e gli amanti fedifraghi raramente la spuntavano. Inutile dire che anche i baci andavano regolati e potevano durare non più di tre secondi. È quindi al Codice Hays che dobbiamo una delle scene d’amore più erotiche e sensuali del cinema, il bacio fra la Bergman e Cary Grant che dura ben 2 deliziosi minuti e mezzo di beatitudine. Notorius è forse il primo film nel quale Alfred Hitchcock dimostra di saper costruire non solo una narrazione piena di suspense e di mistero, ma innanzitutto una storia d’amore ricca di tensioni e sottigliezze psicologiche.  L’amore fra Alicia Huberman, interpretata dalla Bergman e T. R. Devlin (Cary Grant) è tanto appassionato quanto impossibile, e per questo è riuscito negli anni a infiammare gli animi più romantici, primo fra tutti quello di Hitchcock. Altrimenti non si spiega come mai abbia escogitato un sistema così ingegnoso per aggirare il Codice Hays e permettere ai due amanti di sbaciucchiarsi per un tempo infinito. L’idea, semplicissima, è quella di interrompere le loro effusioni ogni tre secondi per poi riprenderle dopo qualche attimo. Il risultato, un lungo sfregarsi e sussurrarsi e sfiorarsi e baciarsi dei due attori, è denso di sensualità.

L’amour, ah l’amour. Nonostante l’ordine e la precisione che animano il carattere di Ingrid l’attrice non è mai stata un gelido esemplare nordico. Al contrario. Certo, nei mari del nord pesca il primo marito, il dentista svedese Petter Lindstrom, per sposarlo a soli 21 anni, e l’unione prosegue placida e poco eccitante fino alla nascita della figlia Pia. Nel frattempo la coppia si trasferisce negli Stati Uniti e per un po’ basta questo ad aggiungere pepe alla storia. Ma dopo 13 anni di matrimonio lei è stanca di interpretare, come nei migliori film americani, il ruolo della mogliettina che guarda al capofamiglia con cieca fiducia. Per questo forse si lascia andare con Gregory Peck e più tardi, durante un viaggio nella Germania post bellica, ha una liaison importante con il fotografo Robert Capa. E proprio lui la avvicina al cinema neorealista italiano, mostrandole Paisà e Roma città aperta. Forse Ingrid inizia a esser stanca del conformismo holliwoodiano, e di essere l’involontaria icona della moralità americana. Di certo c’è che scrive la famosa lettera a Roberto Rossellini nella quale, oltre a mettersi artisticamente a disposizione del regista, cita la parola amore. Freud si sarebbe sfregato le mani. Ingrid sbarca a Roma nel 1949. Ad attenderla c’è Rossellini: brillante, intelligente, affascinante come alcuni romani sanno essere. È di sinistra e di buona famiglia, impegnato socialmente, ma guida anche   la spider; divertente, però serio e profondo nel suo lavoro. E poi Roma, se si escludono i set di Cinecittà, è lontanissima da Hollywood e dal suo mondo. Un sogno. Rossellini le ha proposto una parte nel suo ultimo film e così Ingrid si ritrova sbattuta sulle rocce laviche di Stromboli, stranita dal dialetto del luogo, stonata dalla calura. Non le resta che innamorarsi del regista italiano: meno di un anno dopo dà alla luce un delizioso pargolo biondo, Robertino Jr. Sia Rossellini che la Bergman sono già sposati. Con altri. Lo scandalo è tale che nell’America del puritano Codice Hays non la vogliono più vedere. Il mito della ragazza perbene crolla, tanto che un senatore, forse un fan deluso, la denuncia. Ingrid sa quanto anche una brillante carriera come la sua possa essere azzerata dallo scandalo, ma decide che certe scelte vanno prese dalla donna e non dall’attrice. E con Rossellini gira altri quattro film.

La Bergman resta in Italia per otto anni e tre figli (nel 1952 nascono le gemelle Isotta e Isabella). Poi, persino le belle e brave come lei vengono lasciate. Rossellini torna da un set in India con la ballerina bengalese Sonali Das Gupta e Ingrid torna negli Stati Uniti con un nuovo film, Anastasia, e un nuovo Oscar in mano. Un anno dopo si risposa con un brav’uomo svedese, il produttore Lars Schmidt, col quale resta per circa 20 anni. Lavora ancora, escono film gradevoli come Indiscreto con Cary Grant e Fiore di cactus con Matthau, nei quali Ingrid non teme di mostrarsi invecchiata e leggermente appesantita. E grazie a Assassinio sull’Orient Express vince il suo terzo Oscar. Poi compare un cancro al seno, e chemioterapie che non le impediscono un gran ruolo in Sinfonia d’autunno del mitico connazionale Ingmar Bergman  e l’interpretazione di Golda Meir, la premier israeliana, in una miniserie tv.

A Londra, un giorno di fine agosto del 1982, dopo una quieta festicciola con amici per celebrare il suo compleanno, Ingrid Bergman va a riposare per non svegliarsi più. Muore il giorno in cui compie 67 anni, speriamo con la serenità di chi ha vissuto alla luce di un’intelligente dignità, tanto poco preoccupata dai puritanesimi americani quanto lontana dalla bassezze di una chiassosa esistenza da star.

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