“Insyriated” del belga Philippe Van Leeuw, protagonista la sempre ottima Hiam Abbass, racconta 24 ore nell’unico appartamento ancora abitato in una casa della capitale circondata e bersagliata dai proiettili. Che non si vedono mai ma sono sempre presenti, negli occhi e nelle anime terrorizzate di donne e uomini decisi a restare lì, ben chiusi o meglio rinchiusi, sperando di sopravvivere
Il regista belga Philippe Van Leeuw firma la sua seconda regia dopo Le jour où Dieu est parti en voyage (2009) e torna a parlare dell’orrore della guerra dal punto di vista femminile con il discusso film Insyriated. Il teatro dell’azione è un appartamento situato, metaforicamente e non, nel cuore della guerra siriana. Fuori si sentono esplodere bombe, spari, urla disperate che evocano scenari di morte e disumanità. Dentro si ascoltano le paure, i sogni di fuga e l’estrema umanità di una famiglia comune di Damasco.
C’è una madre, Oum Yazan (l’intensa Hiam Abbass famosa per i ruoli in La sposa siriana, Munich, L’ospite inatteso, Il giardino di limoni, e nei più recenti Exodus e Blade Runner 2049), che cerca di tenere al sicuro tra le mura domestiche i suoi tre figli, l’anziano suocero, la fidata governante (Juliette Navis) e una coppia di vicini di casa, Samir e Halima (interpretata da Diamand Dou Abboud, nota al pubblico internazionale per il suo ruolo di avvocato nel film L’insulto), da poco sposati e con un bambino neonato.
L’idea del film nasce dal racconto di un’amica siriana del regista che gli parlava di suo padre, rimasto chiuso per settimane nel suo appartamento ad Aleppo, senza telefono o altri mezzi di comunicazione, a causa della guerra che stava devastando la città. “Mi sono immaginato quell’uomo solo, prigioniero nella propria casa, e altri come lui, in lotta per sopravvivere un giorno alla volta”, ha detto Van Leeuw. Infatti il film si svolge nell’arco temporale di 24 ore, aperte e chiuse dal risveglio dell’anziano padre di famiglia, come se simbolicamente quel terribile giorno si ripetesse ogni mattino, un tragico Giorno della marmotta che si perpetua in Siria da quasi sette anni.
Questa violenza, però, al contrario di quanto ci si potrebbe aspettare, non è mai esibita, non diventa mai immagine: a parte l’irruzione in casa di due “sciacalli”, che girano gli appartamenti della casa abbandonata in cerca di prede materiali e umane, sequenza davvero forte, il mostro (bellico, in questo caso) non si vede direttamente. Come nei film dell’orrore più spaventosi, lo si intuisce e ricostruisce dagli occhi e dalle espressioni degli attori, che sono tutti rifugiati siriani, fatta eccezione per il terzetto formidabile di donne protagoniste. Così, anche grazie all’ottimo lavoro di sound design, la paura entra dalla finestra, unico canale di comunicazione con l’esterno, straziando anche i pochi momenti di pace del film. Nonostante gli sforzi di Yazan, la guerra è comunque sempre presente nella casa, e con la sua violenza materiale e psicologica aggredisce, stupra, minaccia, infligge nuovi traumi.
In effetti Insyriated risulta a tratti fin troppo forte e diretto, quasi difficile da guardare, la tentazione di coprirsi gli occhi o girare la testa dall’altra parte viene d’istinto. Il senso di claustrofobia e tensione è anche magistralmente amplificato dalla direttrice della fotografia Virginie Surdej e dalla scenografa Kathy Lebrun, che riescono a valorizzare al massimo il limitato spazio dell’appartamento.
Ma il vero motivo per cui è necessario guardare un film come Insyriated, è per rispondere in modo convincente a una domanda fondamentale e urgente: di cosa parliamo quando parliamo di guerra civile siriana? Ecco, il regista Van Leeuw ci sbatte in faccia un mondo terribile e concreto, non un concetto astratto e remoto. Riuscendo a far si che ognuno di noi si senta il vicino di casa di Yazan.