“Inu-Oh”: il suonatore cieco e il re-cane rockeggiano nel Giappone feudale

In Cinema

Masaaki Yuasa, talentoso regista in Italia tutto da scoprire, parte da un romanzo di Hideo Furukawa e riesce nella delicata impresa di trasformare l’austero palcoscenico del Nō in quello di un duo glam rock. Che strizza l’occhio ai Queen e a tutto il mondo pop nostrano e asiatico. Un lungometraggio animato di grande impatto visivo e musicale che fa leva su temi importanti: l’amicizia come salvezza dell’individuo, il conflitto con la tradizione e la forza salvifica dello scontro generazionale

È possibile prendere il Nō, la forma teatrale più solenne dell’arcipelago nipponico, per farne un’opera musicale glam rock? Se lo chiedete al regista di anime Masaaki Yuasa non ci sono dubbi, la risposta è sì. Partendo da un romanzo dello scrittore Hideo Furukawa (Il racconto degli Heike: I capitoli di Inu-oh), Yuasa porta con Inu-Oh, passato all’ultima Mostra di Venezia, lo spettatore nel Giappone feudale del XIV secolo in un lungometraggio animato di grande impatto visivo e musicale.

La storia inizia con Tomona, ragazzo nato in un villaggio di pescatori e rimasto cieco dopo aver recuperato col padre un artefatto maledetto, la Spada, tesoro sacro della famiglia imperiale. Preso sotto la sua ala da un bonzo, cieco anche lui, diventa un suonatore di biwa (un liuto a manico corto) girovago, cantando le storie della scomparsa dinastia Heike. Arrivato a Kyoto fa conoscenza con Inu-Oh, letteralmente il Re Cane, grottesca figura maledetta nata in seno alla più importante famiglia di danzatori Sarugaku. L’incontro tra i ragazzi porta a un duo che, sulle sponde del fiume Kamo, dà vita a una serie di rappresentazioni sempre più gremite, in un crescendo di arrangiamenti musicali e trovate estetiche sempre più ardite, dove Yuasa dà sfogo a tutto il suo immaginario lisergico. Il successo fra il popolo attirerà presto l’interesse della nobiltà e la parabola dei due artisti toccherà l’apice nella rappresentazione davanti alla corte dello shōgun Ashitaka Yoshimitsu, con l’inevitabile scontro fra innovazione e tradizione.

Quello che balza di più all’occhio è che l’autore riesce nella delicata impresa di trasformare l’austero palcoscenico del Nō in quello di un duo glam rock che strizza l’occhio soprattutto ai Queen ma un po’ a tutto il mondo del pop nostrano e asiatico. Ma non è solo quello. Con grande maestria riempie questa estetica con molti dei temi più cari all’animazione giapponese. L’amicizia come salvezza dell’individuo, la forza purificatrice dello scontro generazionale e la voglia di spettinare la tradizione, senza per questo rifiutarla, finendo per passare per le forche caudine dei conservatori.

Dal 2004 Masaaki Yuasa è uno dei più talentuosi ma sconosciuti (almeno al grande pubblico italiano) registi di anime in circolazione. Spaziando dai lungometraggi (primo fra tutti Mind Game, con una delle più incredibili rappresentazioni di Dio mai fatte su grande schermo), ai cartoni a episodi (Kaiba, Tatami Galaxy e la sua reinterpretazione del classico Devilman di Go Nagai con Devilman Crybaby per la piattaforma Netflix), cortometraggi (l’episodio Happy Machine all’interno della collezione Genius Party) e collaborazioni con serie animate occidentali (l’episodio Catena Alimentare di Adventure Time e Noximilien della serie francese Wakufu), Yuasa è un artista che merita di essere scoperto e questo film è un’ottima occasione, per la quale bisogna ringraziare Hikari e Double Line.

Inu-Oh, film di animazione di Masaaki Yuasa

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