Stéphanie di Giusto in “Io danzerò” racconta vita e successi mondiali di una straordinaria attrice e ballerina, che a cavallo tra Ottocento e Novecento rivoluzionò le arti sceniche e inventò la moderna performance, diventando l’icona di Rodin e Toulouse Lautrec. Oggi nessuno la ricorda, ma in quegli anni passava dal Far West all’Europa, via Broadway, conquistando il pubblico col lazo e con Shakespeare, con la forza sovrumana delle sue braccia e l’imprevedibilità della sua immaginazione. Finendo per sfidare la numero uno dell’epoca, Isadora Duncan. Un film che si tiene lontano dal cliché del biopic, anche grazie alla protagonista Sokò, fragile e temeraria, poliedrica e trascinatrice
Dal Far West alla Parigi della Belle Époque, passando per la New York cosmopolita e colta dei teatri di Broadway, e quella bigotta dell’esercito della salvezza: è la parabola, raccontata da Io danzerò, di Loïe Fuller (Soko), icona delle avanguardie artistiche e pioniera della danza contemporanea, capace di incarnare una vera e propria rivoluzione nelle arti sceniche fra Ottocento e Novecento. Ma purtroppo incapace di conquistarsi un posto stabile nella memoria collettiva. Quasi nessuno oggi si ricorda di lei, e proprio per questo Stéphanie di Giusto ha deciso di dedicarle il suo primo film, ricostruendo con qualche libertà una biografia che già da sola è un romanzo.
Cresciuta all’ombra di un padre alcolizzato, destinato a morte violenta e precoce in un West lontano da ogni leggenda, Loïe impara a usare il lazo e intanto legge Shakespeare, rafforzandosi nel corpo e nello spirito. Proprio il sogno di diventare attrice la spinge a raggiungere la madre a New York, dove fra un’audizione e l’altra incontrerà Louis (Gaspard Ulliel), raffinato e decadente nobile francese, e soprattutto troverà la sua strada. Grazie ai soldi di lui riuscirà a raggiungere Parigi: e grazie alla sua immaginazione, e alla forza sovrumana delle braccia, riuscirà a conquistarla. La capitale della Belle Époque, sempre alla ricerca di nuovi stimoli e magnifiche creazioni, la trasformerà in un’incontrastata regina del palcoscenico, nonché musa di artisti come Henry Toulouse-Lautrec e Auguste Rodin.
A conquistare pubblico e critica è la sua danza serpentina, un’autentica invenzione che più che al ballo somigliava a ciò che noi oggi chiamiamo performance. Avvolta come in un bozzolo, dentro metri e metri di seta bianca, le braccia rese infinite dalle lunghissime bacchette che impugnava, Loïe si muoveva sul palco a ritmo di musica, mentre luci e colori le danzavano sul corpo disegnando a loro volta immagini e figure. E gli spettatori vedevano così sbocciare in scena fiori e farfalle, fiamme, vortici e spirali, in un movimento incessante e ipnotico, vero e proprio caleidoscopio di illusioni e fantasie.
Una performance all’insegna dell’invenzione continua e della più sfrenata immaginazione, tanto libera e leggera in apparenza, quanto in realtà difficile e impegnativa. Ogni spettacolo era frutto di prove estenuanti, ossessive ripetizioni di ogni più piccolo gesto, e un simile, assoluto controllo tecnico richiedeva un’immensa fatica fisica. Tutto il contrario dell’idea di danza naturale, nuda e libera, che proprio in quegli stessi anni portava avanti un’altra stella nascente, Isadora Duncan (incarnata qui dalla diafana e convincente Lily-Rose Depp). Così è l’incontro-scontro fra le due danzatrici, come un balletto di corpi e di anime davanti al palcoscenico del mondo, a occupare l’ultima parte del film, scivolando con passo incantato nelle nebbie palpitanti del melodramma ma senza mai rinunciare a una ruvida capacità di graffiare e sorprendere.
Stéphanie di Giusto ha dichiarato che ad affascinarla prima di tutto è stata la scoperta che Loïe era diventata famosa nascondendosi, evitando il più possibile di apparire in pubblico, sottraendosi alla curiosità dei giornalisti. Le sue scelte come regista sembrano invece andare in una direzione opposta, guidate come sono da un desiderio spasmodico di mostrare, scavare, portare a galla, rendere esplicito. Un bisogno di illuminare e comprendere che a volte sfiora l’eccesso, il troppo pieno, ma per fortuna non scade mai nella didascalia.
Tenendosi alla larga dalle acque quiete del biopic, più o meno tradizionale, e anzi affrontando le onde in tempesta della rappresentazione del gesto artistico, Io danzerò di Giusto si inoltra su un terreno scivoloso, certo, ma riesce ad arrivare alla meta senza deludere. Anche perché ha saputo scegliere come protagonista l’interprete giusta: poliedrica e coraggiosa, Soko ci mette di suo una fisicità temeraria, dirompente, e un’aderenza assoluta al personaggio, con tutte le idiosincrasie e fragilità, ma anche con una forza inaudita, feroce quasi. È soprattutto grazie a lei che questo film sboccia, regalandoci uno spettacolo ipnotico, trascinante, a tratti stupefacente.
Io danzerò, di Stéphanie di Giusto, con Soko, Lily-Rose Depp, Gaspard Ulliel, Mélanie Thierry