Iran 2000: la jihad del serial killer contro le donne “indegne”

In Cinema

Basato su una storia vera, “Holy Spider”, terzo film di Ali Abbasi che da vent’anni ha lasciato Teheran e vive in Europa, è un thriller convenzionale in alcuni passaggi ma efficace, assai disturbante in altri. Mostra il quadro angosciante di un paese prigioniero di una visione distorta del rapporto fra uomo e Dio. Al centro del racconto un ex-militare traumatizzato che uccide prostitute in nome della moralità dell’Islam: personaggio estremo e insieme specchio della misoginia radicata nella società iraniana

È una storia vera quella raccontata in Holy Spider, terzo film dell’iraniano naturalizzato danese Ali Abbasi. Nel 2000 a Mashhad, seconda città dell’Iran per numero di abitanti e importante sito religioso, un serial killer (che la stampa prontamente soprannomina il Ragno) prende di mira le prostitute, strangolandone sedici prima di essere finalmente arrestato, processato e condannato a morte. Si tratta di Saeed Hanaei, un ex-militare traumatizzato dalla guerra e insoddisfatto della propria vita, convinto che la sua unica vera missione sia quella di liberare la città da tutte le donne indegne che vendono il loro corpo sulle strade, venendo meno ai sacri principi della religione islamica.

Fin da subito vediamo Saeed nella sua vita quotidiana, insieme alla moglie e al figlio, assistiamo ai suoi delitti, entriamo a poco a poco nei meandri della sua mente malata, in preda a un furioso delirio, eppure capace di farsi specchio perfetto della misoginia radicata nella società iraniana. Misoginia che viene ampiamente raccontata anche attraverso le rischiose indagini di Rahimi, una giovane giornalista che viene da Teheran e ha deciso di mettersi sulle tracce dell’assassino, ma si ritrova circondata da un’atmosfera di crescente sospetto e minaccia, anche da parte della polizia che dovrebbe invece aiutarla. La protagonista femminile è un personaggio fittizio, ma tutto il resto è vero, compreso il sostegno all’epoca di una parte dell’opinione pubblica, che in una sciagurata catena di delitti vedeva una sorta di jihad, una guerra santa contro il vizio e la corruzione.

Abbasi da oltre vent’anni vive in Europa, tra Svezia e Danimarca, dove ha cominciato la sua carriera di cineasta giocando con i generi, prima con il bizzarro Shelley, poi con il pregevole Border. Ancora una volta ha scelto di usare un genere, il thriller in questo caso, ma per la prima volta ha deciso di parlare del suo paese, prendendo di petto la questione del controllo religioso sulla società e in particolare sulla vita delle donne. Il risultato è un thriller piuttosto atipico, convenzionale e prevedibile in alcuni passaggi di sceneggiatura, efficace, malsano, decisamente disturbante in altri, comunque capace di comporre un quadro angosciante di un paese prigioniero di una visione distorta del rapporto fra uomo e Dio. Impossibile realizzare un film di questo tipo in Iran, e infatti le riprese in esterni sono state tutte girate in Giordania.

Holy Spider, di Ali Abbasi con Mehdi Bajestani, Zahra Amir Ebrahimi, Arash Ashtiani, Forouzan Jamshidnejad.

                                                                                                                                                                                        

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