Volubile, fragile, umana. La vita interiore di Anne Sexton: casalinga, madre, bipolare, poetessa, premio Pulitzer, suicida. Nel romanzo di Irene di Caccamo il tormento e l’estasi di una donna irriducibile.
Anne Sexton, una delle più brillanti e problematiche penne femminili del Novecento: è lei la protagonista del romanzo di Irene di Caccamo Dio nella macchina da scrivere, pubblicato da La Nave di Teseo e candidato nel 2019 al Premio Strega.
Anne è una donna bella, intelligente e affascinante, ma complessa: soffre infatti di disturbo bipolare, un male che comporta l’assunzione di pesanti psicofarmaci e l’alternarsi di estenuanti periodi di depressione, cui seguono anche ricoveri in ospedale psichiatrico. La sua unica ancora di salvezza è la scrittura di poesie, un talento innato che presto inizierà a coltivare anche attraverso lo studio.
Prima di scoprire la propria abilità di poetessa, Anne Sexton è una casalinga americana insoddisfatta.
Il rapporto con le due figlie è complicato, infatti le ama eppure le trascura, oppure sfoga su di loro le proprie crisi di nervi:
“non sono riuscita più a controllarmi e ho schiaffeggiato come una furia Margherita davanti a tutti, anche se in realtà era Rosa a fare i capricci, ma lei non diceva niente a sua sorella e io non ne potevo proprio più e dovevo sfogarmi. Alla fine mi sono chiusa nella mia stanza e ho preso delle pillole per calmarmi.”
Anne è consapevole delle proprie difficoltà nel ruolo di madre:
“Vorrei stringere i loro corpi a me ma non lo faccio per timore di svegliarle. Soltanto quando dormono riesco a stare vicino alle mie figlie senza provare paura.”
E, ancora:
“Margherita e Rosa le ha chiamate il loro padre, come i fiori che preferisce. Io le mie due bambine le ho chiamate prima e seconda.”
Il marito viene continuamente tradito con uomini cui Anne dedica lettere d’amore colme di passione e contorta follia, eppure il consorte è una salda ancora per la sua vita:
“-Sono una donna fragile e squilibrata e piena di paure, ogni volta che mio marito si allontana vado a cercarmi qualcuno.- -Perché lo fa?- -Forse perché ho bisogno dello sguardo innamorato di un uomo per sapere chi sono?-“
Gli incontri con lo psichiatra sono un espediente per scavare ulteriormente dentro di sé, ma la verità che ne emerge è ancora ambigua: la donna rivela al dottore di essere stata molestata dal padre, eppure si tratta di un racconto fittizio, di cui ogni volta muta la versione; lo psichiatra propone a Anne di registrare le sedute per consentirle di prendere coscienza:
“Nella mia testa tutto pensa, le idee scambiano altre idee e si perdono in direzioni diverse che non portano a niente non vanno da nessuna parte, è sempre un ricominciare tutto dallo stesso punto, e poi quando esco da qui non ricordo neanche quello che ci siamo detti l’ultima volta.”
Il suggerimento di scrivere è determinante: una svolta. Le parole, i pensieri, la scrittura, invadono ogni spazio della mente di Anne, la vivono e la fanno vivere: ma tutto è tormento, esistere fuori di sé e guardare dentro di sé.
“Lui prende appunti su di me e io scrivo sul mio quaderno versi su me stessa. è meglio che faccia qualcosa di costruttivo piuttosto che stare lì a pensare di uccidermi, dico.”
Le mire di suicidio iniziano durante l’adolescenza, quando la giovane Anne inscena la propria morte; successivamente si susseguono diversi tentativi di suicidio, sino a quello in cui la poetessa, che nel 1967 aveva vinto il Pulitzer, riesce nel proprio intento, chiudendosi nel garage con il motore dell’auto acceso, indossando solo la pelliccia della madre. È il 1974.
In prima persona, con libertà, Irene di Caccamo reinventa la vicenda della poetessa, dei sui suoi moti interiori.
Lo stile è vicino al flusso di coscienza di Virginia Woolf: la voce che narra è insieme dentro, fuori e insieme al personaggio.
Ecco per esempio come viene descritto il primo giorno in ospedale psichiatrico:
“Presto tornerà a casa, Anne. Appena un gemito e in un attimo sono fuori dal buio. Non riesco a dire e la gola non produce suoni, sento a tratti il dottor O. che mi parla e tento di rispondere ma respiro parole senza voce, poi mi volto e lo vedo fermo con lo sguardo teso sullo sfondo di una parete slavata. Ho la paralisi nel corpo e non percepisco me e mi ritrovo ai limiti, e non appena accenno un piccolo movimento tutto si deforma, i muri di questa stanza, il pavimento e il soffitto insieme. Mi sembra di non essere capace di nulla e non posso fare niente. Torno così dalla morte, sono sfinita.”
Introspezione, confessione, sensazione: Irene Di Caccamo compie con questo libro un’opera di omissione e restituzione. Non è una biografia. È un audace, lirico, intimo calco della vita emotiva di una donna complessa e vitale, contraddittoria e profonda, fragile e umana.