“Irrational Man”, film n. 47 di Woody Allen, è un thriller filosofico con Stone e Posey, attrici in forma. Tra Kant, Hitchcock e molte frecciate all’élite
“L’uomo ragionevole si adatta alle condizioni che lo circondano. Quello irragionevole adatta a sé le condizioni circostanti. Così ogni progresso dipende dall’uomo irragionevole”. Questa sorta di sillogismo, nota citazione dello scrittore e drammaturgo irlandese George Bernard Shaw, potrebbe essere, in sintesi, la spiegazione di Irrational Man, film n. 47 di Woody Allen: il quale, fresco (anche di ingegno) 80enne, a poco più di 60 anni dal capolavoro di Hitchcock confeziona un altro “delitto perfetto”. O almeno quasi. Perché essendo ideato e messo in pratica, da principio con perfetta strategia, da un pensatore-professore brillante ma cinico, demotivato (si direbbe ora) e depresso (Joaquin Phoenix, docente di una piccola università della East Coast americana), finisce per trovare la propria imperfezione proprio nell’incapacità del suo autore di arrivare fino in fondo. Corrispondendo a pieno a quella che sembra esser diventata, dopo anni di sfiducia nell’esistenza, la sua convinta filosofia: che la vita merita di essere vissuta solo per uno scopo che a un certo punto, per caso, ti si impone. E che il procedimento ideale, portatore di emozioni davvero profonde, forti, è l’omicidio di una persona spregevole. Per purificare il mondo. E siccome un omicidio finisce quasi sempre per portarsene dietro un altro, occorre che la convinzione si sposi a un impeccabile pragmatismo. E qui….
Da anni Allen gioca al cinema con la morte (“fare film mi distrae, mi aiuta a non pensarci”), da Crimini e misfatti a Match Point, che era di efficacia euclidea. Qui però il suo gioco sembra essere quello soprattutto dei contrasti e delle contraddizioni: tra un dongiovanni impotente (in senso stretto), che cita Dostoevskij ma tenta poi di fabbricare un delitto senza castigo, un’algida ragazza di quasi hitchcockiana bellezza (Emma Stone, molto più convincente rispetto a Magic in the Moonlight), che più lo ama e più lo ostacola, una trama che si fa noir ma suggerisce lungo tutto l’arco del film di non prendere mai nulla sul serio, e un finale (forgive us, Woody) che sembra ispirato più al Vedovo con Alberto Sordi che a Ingmar Bergman, il vero senso sembra essere che in fondo, nella vita, un senso vero non c’è. Come cantava Gaber, l’importante è “capire che non c’è niente da capire. Che poi è un po’ come capire…”. Così spesso lo spettatore deve ragionare sul contrario di quello che vede nel film, mettendo in dubbio continuamente le psicologie dei protagonisti e i giudizi morali, subito smentiti, di cui sarebbero portatori. E anche pulsioni, passioni, elementi primigeni come il sesso, l’amore e la morte, in teoria in contraddizione tra loro, finiscono per somigliarsi, confondersi quasi l’uno nell’altra.
Complice la riuscita ambientazione universitaria, uno degli atout del film, intrisa di divertente ferocia nel personaggio della matura dottoressa Parker Posey (bravissima), del giovane Jamie Blackley, fidanzato di Emma, e di altri characters, il film abbonda, anche troppo, di frasi memorabili rubate a Kant, Kierkegaard, Sartre, Husserl (che, ammette a lezione lo stesso professor Phoenix, “è piuttosto complicato: cercate di cominciare a studiarvelo prima”): ma tutto serve per dare il destro a Joaquim (cioè Woody) di farsi beffe di filosofia (“è tutta un’inutile masturbazione mentale”) e religione (“non credo nell’aldilà, ma ho sempre un cambio di biancheria pronto”: frase di Allen, non del film).
Resta, soprattutto, la misantropica verve di Allen, che da quando non si dirige si diverte ancor di più a farsi beffe dei suoi personaggi. E dei suoi attori: al debutto con Woody, Phoenix ha dovuto ingrassare 15 chili per rendersi più sfatto possibile. E non per fare Jake la Motta, ma solo per dire improbabili verità esistenziali: smentendole con successo, un secondo dopo, dopo una salutare gollata di un “malto” di qualità.
Irrational Man, di Woody Allen, con Joaquin Phoenix, Emma Stone, Parker Posey, Jamie Blackley