L’amore, il desiderio – soprattutto femminile – la pulsione e la sessualità sono al centro del lavoro di Iva Lulashi, giovane artista albanese, italiana di adozione, che rappresenta il suo paese d’origine nel padiglione allestito all’Arsenale per la 60. Biennale di Venezia con la mostra Love as a Glass of water, a cura di Antonio Grulli. Le immagini dei suoi dipinti, tratte da fotogrammi di film e video erotici e pornografici, sono popolate soprattutto da corpi femminili, rappresentati come soggetti universali in grado di trascendere le differenze e di superare i confini non solo geografici.
Venezia, 16 aprile – in una strana giornata soleggiata e poi scossa da un vento violento, inaugura la preview della 60. Esposizione Internazionale d’Arte, Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere, meglio conosciuta come La Biennale di Venezia. Iva Lulashi è l’artista che quest’anno rappresenta l’Albania con un progetto intitolato ‘Love as a Glass of Water’, a cura di Antonio Grulli. Lulashi è una giovane pittrice nata a Tirana nel 1988; a circa dieci anni si trasferisce in Italia insieme alla famiglia per sfuggire dall’oppressivo regime comunista che in quel periodo piegava il suo paese. Decide di intraprendere un percorso artistico quando, dopo il liceo, si trasferisce a Venezia per iscriversi all’Accademia di Belle Arti dove frequenterà l’Atelier F del professor Carlo di Raco. Dopo otto anni pieni successi dal conseguimento del suo diploma torna a Venezia, questa volta con un ruolo un po’ diverso. Qualche mese fa viene invitata dal Ministero albanese dell’Economia, della Cultura e dell’Innovazione a prendere parte alla più prestigiosa esposizione d’arte mondiale per rappresentare il suo paese d’origine.
Nessuno meglio di lei incarna il tema della Biennale di quest’anno, ‘Stranieri Ovunque’: immigrata negli anni ’90 in una città poco nota per la sua apertura mentale, ha passato gran parte della sua infanzia e adolescenza a sentirsi una straniera. Nonostante le difficoltà, l’artista riesce a fare di questo aspetto il suo punto di forza. Mentre gli immaginari dei suoi lavori più vecchi – intrisi della sua storia personale – scaturivano principalmente da filmati di propaganda del governo comunista albanese, da un certo momento in poi, quasi accidentalmente, Lulashi inizia ad avvicinarsi a una tematica molto più intima, considerata quasi proibita, dove i protagonisti sono il sotteso, l’implicito. Emerge da un ‘incidente pittorico’ l’orientamento principale del suo lavoro attuale, di cui le opere esposte in Biennale sono la perfetta sintesi. Guardando un documentario di regime, si accorge che sotto la maglietta bagnata di una ragazza si intravede un capezzolo, quindi il suo seno. Decide così di dipingere quella scena accentuando l’attenzione sul dettaglio scoperto.
Frame di filmati erotici o pornografici sono oggi diventati il punto di partenza dei suoi dipinti; pennellate fluide, visibilmente oliose, vanno a definire scene colme di erotismo, desiderio sessuale femminile e ambiguità. Amore ma anche violenza, due facce di una medaglia i cui confini non sono sempre chiaramente definiti. Un ‘subito prima’ o un ‘subito dopo’ un’azione che non si realizza mai esplicitamente, il fruitore è lasciato a immaginare cosa succederà o cosa è appena successo. La stasi di un istante, un momento congelato dove tutto è evidente ma allo stesso tempo nulla lo è. Corpi femminili aggrovigliati, genitali ravvicinati, volti impassibili, vestiti mossi dal vento, un lavoro sulla carnalità e sui desideri proibiti ma anche sulle più intime insicurezze, paure.
‘Love as a Glass of Water’ riprende la “teoria del bicchiere d’acqua” della pensatrice russa radicale e femminista Alexandra Kollontai, che vede gli impulsi sessuali come una semplice necessità umana da soddisfare con la leggerezza con cui si beve un bicchier d’acqua. Le analogie tra le opere di Iva e questo concetto sono molteplici, il desiderio di una maggiore libertà sessuale che pone al centro il femminile, l’amore e la naturalezza con cui bisognerebbe vivere queste emozioni, l’acqua come elemento base dei nostri corpi e delle nostre esistenze.
La sfida dell’apparato espositivo, dovuta a un luogo che riserva grandi complessità come l’Arsenale di Venezia, è stata risolta dal curatore con un’intuizione che deriva dal suo profondo legame con Iva. Il display installativo all’interno del quale sono esposte le opere è la planimetria della casa/studio dell’artista. Non solo quest’ultimo è il luogo in cui lei passa la maggior parte del tempo, ma si tratta di uno spazio di riferimento per molte persone della scena artistica milanese. Sede di innumerevoli feste e tavoli di discussione, al suo interno Iva organizza mostre di giovani artisti a lei vicini, rendendo casa sua un luogo di sperimentazione e contaminazione, un punto di partenza e di ritrovo. Nel Padiglione si possono quindi ammirare le opere nel luogo in cui sono nate, un luogo fortemente connotato ed estremamente intimo. L’intimità è forse l’elemento cardine che veglia sull’intero progetto, il primo vocabolo che viene in mente quando se ne parla.
Entrando nel Padiglione ci si lascia alle spalle la dimensione dispersiva degli ampissimi spazi espositivi dell’Arsenale per entrare in un contesto alternativo. Si varca la soglia di una casa, stilizzata e priva di arredamento, ma in grado di farci provare la stessa sensazione di familiarità. La moquette per terra, le stanze a grandezza d’uomo, il bagno piastrellato e i comfort spaziali che caratterizzano un’abitazione. Le tele, assolute protagoniste, sono illuminate da una luce calda che ne esalta ancora di più gli aspetti carnali. Ci seducono avvicinandoci a loro silenziosamente, quasi di nascosto, invitandoci ad assistere agli atti considerati ‘osceni’ che si svolgono al loro interno.
Iva Lulashi riesce a trasportarci nel suo universo con una potenza straordinaria, attraendoci e al contempo destabilizzandoci, facendoci questionare le nostre prospettive sull’amore, sul sesso e sugli istinti primordiali che caratterizzano ognuno di noi.
In copertina: Iva Lulashi, Zeupater, 2020, olio su tela, 149x196cm, Courtesy the Artist, Collezione Giuseppe Iannaccone, Photo Courtesy Ludovica Mangini.