Fino al 9 novembre la galleria Francesca Minini di Milano ospita le installazioni, le opere e le performance di Sàlvati Salvàti, intensa, tenera, disturbante personale di Jacopo Benassi. Un artista che incarna con personalissima originalità l’impeto romantico di Sturm und drang, regalandoci eleganti e roboanti visioni cariche di sincerissima delicatezza e profonda umanità.
Una barricata di oggetti e opere d’arte legate con cinghie, impalcature, assi di legno e sacchi buttati a terra travolgono l’entrata del visitatore nella galleria. Una trincea con tanto di bandiere appese, elmetto da soldato e luci puntate addosso, ci accoglie e allo stesso tempo ci rigetta dallo spazio espositivo. È questo l’ingresso della mostra personale di Jacopo Benassi alla galleria Francesca Minini inaugurata lo scorso 17 settembre. Incredibile come già dal primo sguardo si riesca a cogliere un sentimento ambivalente ricorrente, a mio avviso, nelle opere di Benassi da parte del fruitore: una pudica repulsione che si trasforma in una perversa e fortissima attrazione. La barricata all’entrata ci respinge, siamo di troppo, ma allo stesso tempo non si può fare a meno di andarle incontro, superarla, di scoprire cosa si cela dietro quel monito battagliero.
Si apre un campo aperto, una zona franca nella quale sorprendentemente ci sentiamo al sicuro. Subito dietro la barriera iniziale si nasconde una postazione formata da strumenti musicali, o meglio, da frammenti di strumenti musicali, che pendono dal soffitto tramite cavi come fossero lampadari in un salotto. Sotto di loro giacciono casse e amplificatori, verrebbe voglia di alzarsi in piedi su questi ultimi impugnando una tromba penzolante come fosse un fucile per sparare dall’altra parte della trincea a chi entra dalla porta. La postazione è stata battezzata durante l’inaugurazione con una memorabile performance che ha visto esibirsi Jacopo Benassi insieme a Khan of Finland, celebre musicista e performer con base a Berlino. La performance inaugura e plasma lo spazio, i lavori si presentano come detriti di questa esplosione, lasciti di un momento chiave che rappresenta un punto focale della pratica dell’artista.
Alle pareti sono appese diverse opere, tutte realizzate nell’ultimo anno. L’immaginario di Benassi, diventato celebre come fotografo con scatti piuttosto crudi, rigorosamente realizzati con il flash in bianco e nero, in questi ultimi lavori si fa più sottile, enigmatico, evocativo. L’apparato installativo cambia notevolmente e acquisisce piano piano sempre più spessore, centralità. La composizione diventa il lavoro in sé. Strati su strati, cornici che racchiudono fotografie e dipinti un po’ nascosti, svelati solo parzialmente, sono tenuti insieme da cinghie strette e spesso pitturate che rendono la summa di elementi un lavoro unico. La tensione che li regge aumenta la percezione di stasi – sembra che l’estrema confusione si sia magicamente congelata in un istante prolungato all’infinito nel tempo, dentro al quale al visitatore è data la possibilità di camminare e fare esperienza di un momento critico, delicato.
La delicatezza, elemento apparentemente lontano dalla pratica di Benassi, è invece una sua sfaccettatura molto importante, visibile solo se disposti ad avvicinarsi all’intimità del lavoro. Nelle opere esposte in galleria la ritroviamo sotto molti formati: nella pittura, nei soggetti scelti e fotografati – l’eleganza delle spine di un arbusto, la fragilità delle ali di una farfalla – ma soprattutto, nel nascosto. Varie sono le parti di opere celate, fotografie o piccoli dipinti (a nessuno è dato saperlo) girati al contrario, dei quali è visibile solo il retro riportante il titolo e l’anno di realizzazione. Dichiarazioni d’amore fatte di tattilità e gentilezza racchiusa in una brutalità solo apparente. Dal nascosto emergono numerose considerazioni che potrebbero sfociare nella psicanalisi, ma limitandoci alla nostra area di competenza, viene naturale pensare al punctum di Roland Barthes descritto ne La camera chiara. Le immagini occultate sono forse ciò che ci attira maggiormente ai lavori, quell’elemento in più che funge da calamita non permettendo agli occhi di vagare altrove. Ciò che punge, che apre una ferita. La curiosità porta la mente a immaginare cosa potrebbe celarsi dall’altra parte di quel rettangolo, o semplicemente a chiedersi perchè quella visione bloccata è posta proprio lì al centro dell’opera andando in alcuni casi a nascondere anche la fotografia dietro. Ma come si può immaginare, non ci è dato sapere altro. D’altronde, se sapessimo esattamente che cos’è il punctum, questa danza seduttiva e perversa tra noi e l’immagine non esisterebbe.
Arriviamo infine nell’ultima sala, dove accade qualcosa di completamente diverso rispetto al resto della mostra. Con un allestimento relativamente semplice ed essenziale – al contrario di ciò che accade nelle altre sale – racchiuse da cornici di legno estremamente pulite, Benassi ci sconvolge con delle fotografie a colori. Evento estremamente inusuale per la pratica dell’artista, ci troviamo di fronte a immagini di grande pace, forse di morte. Il percorso espositivo termina così, con splendidi fiori in mezzo al prato che ci conducono in una dimensione altra. Nonostante la delicatezza qui prenda una piega diversa, forse più canonica o forse più macabra, rimane il nostro filo conduttore che ci accompagna in questo denso viaggio sulle note di piatti e bacchette che sbattono tra loro.
Jacopo Benassi, Sàlvati Salvàti, Francesca Minini, Milano, fino al 9 novembre 2024
In copertina: Jacopo Benassi, Turner is not dead!, 2024. Acrylic on canvas, fine art photo prints, artist frames, wooden clips, strap, 84,5×124,5×11,5 cm. Ph. Roberto Buratta
Tutte le altre immagini: Jacopo Benassi, Sàlvati Salvàti, 2024. Exhibition view at Francesca Minini, Milan. Ph. Andrea Rossetti