Compleanno impegnativo per l’attrice americana che forse più di tutte ha abbinato star system e attivismo. Due Oscar all’attivo, figlia, sorella e zia d’arte, mecenate di tante battaglie sociali e miliardaria grazie alle videocassette di fitness, Jane Seymour Fonda ha ferocemente diviso l’America (soprattutto ai tempi della Guerra del Vietnam) ma unito gli amanti del cinema e della bellezza. La sua carriera, vicina ai sessant’anni, è ancora viva: all’ultima Mostra di Venezia ha portato il suo quarto film interpretato accanto a Robert Redford, “Le nostre anime di notte”
Ci sono delle imprese praticamente impossibili. Fra queste c’è quella di riassumere la vita di Jane (Seymour) Fonda. Ne ha fatte troppe. Ma davvero. Figlia di, premio oscar, pasionaria, santa patrona dell’aerobica, sorella di (Peter, pure lui attore), zia di (Bridget, pure lei attrice), moglie di, madre di, benefattrice. Di tutto, di più. E come se non bastasse ha appena (21 dicembre) compiuto 80 anni, con lo stesso slancio di quando noi comuni esseri mortali ne compiamo 25. Per l’occasione ha persino dato una festa con lo scopo di raccogliere fondi per un’associazione, da lei presieduta, che si propone di ridurre il rischio di gravidanza nelle adolescenti. Ridendo e mangiando è riuscita a raccogliere un milione e 300mila dollari per la sua causa. E dire che per i suoi 80 anni pensava di darsi al giardinaggio.
Quindi, visto che è impossibile fare un dignitoso riassuntino delle sue molteplici gesta, proviamo a fissare perlomeno le tappe fondamentali del suo viaggio. E lo facciamo con qualche foto, che, si sa, aiutano sempre.
Si riconosce subito eh, quella boccuccia è rimasta identica. La signora accanto, potete ben immaginarlo, è la madre. Si chiama Frances Ford Seymour. È quella che gli americani definiscono una “socialite”, una dell’alta società che ben frequenta e ben si sposa. Almeno all’apparenza. In prime nozze sceglie un milionario alcolizzato e manesco. Alla sua morte sposa Henry “Hank” Fonda, considerato una delle Sei Grandi Star Maschili di Tutti i Tempi, ma freddo e scostante. Finisce male ovviamente, ma molto molto male. Tre mesi dopo che Fonda ha chiesto il divorzio, Frances si taglia la gola con un rasoio, il giorno del suo 42esimo compleanno, mentre è ricoverata in una clinica per curare la depressione. Jane ha 12 anni e sente più timore che amore per questa madre ansiosa, problematica, assente ingiustificata per la maggior parte della sua vita. Resta il fatto che è un evento terribile. Il padre le nasconde il suicidio, lo scoprirà solo molto più tardi e forse di fronte alla prova dell’infelicità della madre, la pietà le fa riscoprire l’amore di un tempo lontano.
Eccoli qui, belli come solo i wasp americani sanno essere: biondi, occhi azzurri, sorrisi a trecentosessanta denti bianchissimi. Sono Jane e Robert Redford, suo partner nella deliziosa commedia del 1967 A piedi nudi nel parco, in cui lei è una neo-sposina deliziosa quanto matta col botto, che trascina il povero marito ad abitare in una mansarda in cima ai bricchi, fredda e scomodissima. Ripaga con l’entusiasmo sessuale tipico delle prime notti. Lei è bellissima, con delle mises che sembrano prese da una rivista di Vogue di due mesi fa, compresi i jeans di velluto e gli stivaletti scamosciati. Anche la coppia è perfetta. E infatti i due insieme fanno tre film più uno, recentissimo, presentato questo settembre a Venezia (Le nostre anime di notte). Sul red carpet, nonostante l’età e le tinte dei capelli imbarazzanti erano comunque splendidi, amiconi per la pelle, invidiabilissimi ancora oggi.
Eh bè, non si può prescindere da Barbarella. Come si può, di fronte a questa “armatura” a cui il bikini della principessa Leyla fa un baffo? Del resto, tutti i costumi furono creati da Paco Rabanne. Il film, del 1968, è un’opera demenziale, ma anche ironica e immaginifica di Roger Vadim, allora sposato con Jane. Come ci sia finita in Francia con l’ex marito di Brigitte Bardot, ancora oggi è fonte di assoluto stupore. Fatto sta che Roger, figlio di diplomatici, parigino ma di famiglia russa di origine aristocratica, chic e decadente, la ammalia. Lei è pazza d’amore per lui, tanto che finisce per acconsentire a un bel po’ di cose. Per esempio paga i suoi debiti e gli regala una villa, finendo così l’eredità della mamma. Ma soprattutto gli concede di trattarla come un bel gioco sessuale, un po’ come ha fatto sul grande schermo con Barbarella, perché lui la coinvolge in orge, incontri con prostitute e altre amenità che la faranno tornare, dopo il divorzio nel ’73, più saggia e navigata all’avita America.
Un anno dopo Barbarella, simpatico divertissement che non fa altro che convincerla a non frequentare altri film scemi del marito Vadim, Jane fa un cambio totale di passo nella carriera e accetta di girare un film depressivo e bellissimo, Non si uccidono così anche i cavalli? di Sidney Pollack, ambientato durante la Grande Depressione. Una storia dura, crudele, in cui lei è così brava che sfiora l’Oscar, per la quale viene candidata come migliore attrice. Improvvisamente, a 30 anni e poco più, il mondo scopre che Jane non è solo bella e figlia di, ma sa anche recitare da dio. Per fortuna lei l’aveva capito un po’ prima, nel 1958, quando Lee Strasberg, il regista e fondatore dell’Actors Studio, le aveva detto che aveva talento: “Era la prima volta che qualcuno, a parte mio padre, mi diceva che ero brava. È stato un punto di svolta nella mia vita. Sono andata a letto pensando alla recitazione. Mi sono svegliata pensando alla recitazione. Era come se un tetto si fosse scoperchiato sopra la mia vita”. Le ci vogliono altri dieci anni per farlo capire a tutti gli altri.
Hanoi Jane. Un soprannome passato alla storia. E non proprio un nomignolo affettuoso. Tutta colpa di questa foto del ’72. Siamo in piena Guerra del Vietnam e lei come molte altre personalità pacifiste americane, si reca a visitare il Vietnam del Nord per constatare di persona i danni della guerra. È l’ultimo giorno di due settimane di tour de force, e Jane è ritratta in mezzo ai soldati “nemici”, hanno appena cantato insieme. È affaticata dall’esperienza e dal viaggio e non si rende neanche conto di essere seduta su un cannone antiaereo. Un cannone come quelli che ogni giorno abbattono gli aerei americani, uccidendo tanti giovani. La foto fa il giro del mondo e in patria si scatena un putiferio. I veterani, le famiglie dei soldati uccisi, tutti si scagliano contro l’attrice, colpevole di aver tradito queste morti. Per Jane è un colpo tremendo, per il resto della sua vita si pentirà di quella foto, che rimarrà per sempre “il suo maggior rimorso”.
Ed eccola qui, nel ruolo che le ha regalato il suo primo Oscar, la prostituta Bree Daniels in Una squillo per L’Ispettore Klute di Alan J. Pakula. C’è Donald Sutherland con lei, e Roy Scheider. La cosa bella di Jane è che riesce a rendere i suoi ruoli assolutamente iconici. Dopo le armature di Barbarella, chi può dimenticare il caschetto sfilato di Bree, la sua aria aggressiva e al tempo stesso indifesa e terrorizzata. Roger Ebert, il grande critico cinematografico americano, scrisse che il film avrebbe dovuto essere intitolato Bree invece di Klute. Ebert scrisse anche: “Cos’ha Jane Fonda che la rende un’attrice così affascinante da guardare? Ha una sorta d’intensità nervosa che la tiene saldamente legata al suo personaggio cinematografico, tanto che a volte sembra che le cose che avvengono nel film siano solo una distrazione”.
Secondo Oscar, sette anni dopo il primo, per Tornando a casa di Hal Ashby con Jon Voight. Si torna a parlare di Vietnam, il personaggio interpretato da Voight è un reduce di guerra, forse è anche la maniera di chiedere scusa per i fatti di Hanoi. Il film è realizzato da Jane, che ha da poco inaugurato la sua casa di produzione, come se non le bastasse tutto il resto. È un film che al tempo venne considerato impegnato. Del resto tutti coloro che parteciparono al progetto erano contro la Guerra in Vietnam e questo è stato il loro modo di parlarne, anche se era importante esprimere anche il rispetto nei confronti dei veterani. Jane è maturata, non si fa più fregare da passi falsi come il suo viaggio in Vietnam, pur mantenendosi attiva sul fronte politico. Dopo il divorzio da Vadim si è risposata con un personaggio politico, Tom Hayden, definito da alcuni giornalisti dell’epoca “l’uomo che cambiò l’America”. I due rimangono sposati per diciassette anni, durante i quali le malelingue dicono che Hayden si pagava le sue battaglie con i soldi di lei, ma di certo in cambio le ha insegnato rigore, passione politica e impegno, qualità che le sono rimaste attaccate per sempre.
Ed eccola qui, la donna che ha reso un body di lycra un affare mondiale da svariate decine di milioni di dollari. Conclusasi, o per lo meno momentaneamente accantonata, la parentesi politica, come succede a molte donne che si separano dopo i quaranta anni Jane viene colpita dal bisogno di aripijarse fisicamente oltre che psicologicamente. Quindi, uno pensa, come tutte si darà una regolata e andrà a fare un po’ di ginnastica. Ma lei no, come può bastarle sgambettare in una palestra e tornare a casa a sgranocchiare gambi di sedano? Lei della palestra ne fa un business. Come abbia potuto, da ex femminista e attivista, superare il senso del ridicolo di intimare alle folle di stringere i glutei e di saltellare, dio solo lo sa, ma di certo ne ha ricavato grandi soddisfazioni. I suoi video andavano così forte che all’epoca si registrò un aumento nella vendita dei videoregistratori. Ne fece 23 e ne vendette 17 milioni di copie. Numeri molto più interessanti di “un, due, tre e saltello”.
Basta, ci fermiamo qui, con le dita doloranti sulla tastiera del computer. Ma potremmo andare avanti per un bel pezzo, perché Jane ancora oggi continua a recitare, produrre, presiedere, presentare, persino a scrivere un blog. Insomma, una lady di ferro. A noi non resta che augurarle buon compleanno e sperare di avere un’oncia della sua energia. È come la pila atomica, basta poco e ci fai il giro del mondo e ritorno.