Da Bonaventura a Masada, da birrificio La Ribalta a Manatì, i nuovi locali che dedicano la loro programmazione al jazz di ricerca
Milano è una città ricchissima di jazz, anche se per accorgersene è necessario andare oltre i circuiti tradizionali.
Il Blue Note, assieme alle rassegne teatrali come Aperitivo in Concerto al Manzoni o, da quest’anno, Jazz al Parenti, monopolizza quasi del tutto i grandi nomi internazionali. Dopo la chiusura ormai lontanissima dello storico Capolinea e la conclusione della parabola delle Scimmie, chiuso a marzo scorso dopo vari anni di decadenza, tra i jazz club con un orizzonte non strettamente locale resta la Salumeria della Musica, seppure con riserva: è facile ascoltarvi alcuni storici habitué – primo fra tutti Gigi Cifarelli o, per il funk, la Tom’s Family – ma gli ospiti dall’estero spaziano perlopiù su altri generi musicali (a maggio vi hanno fatto tappa i Public Service Broadcasting).
Ma in città – e non di rado in periferia – si nota da qualche anno un nuovo fermento musicale, trainato soprattutto dall’attività di giovani musicisti, per un pubblico spesso altrettanto giovane.
A sostituire degnamente i gloriosi club del passato aspira per esempio il Bonaventura, una birreria con cucina in zona Barona, inaugurata circa due anni e mezzo fa, che dedica al jazz un appuntamento fisso il martedì sera, con tanto di jam session: dal suo palco sono già passati praticamente tutti i nomi del jazz milanese – da Rudi Manzoli a Camilla Battaglia – e non solo (a dicembre scorso vi ha suonato Antonio Faraò).
Il martedì è il giorno prescelto anche dalla Cantina Scoffone, che nuova di certo non è – la vineria in zona Navigli risale addirittura agli anni ’20 – ma che solo recentemente ha ripreso una ricchissima programmazione live, con la rassegna Jazz in cantina. Ad essere predilette qui sono le piccole formazioni (in duo o in trio al massimo): tra gli ospiti dell’ultima stagione ci sono stati per esempio il trio del pianista e organista Gianluca Di Ienno e quello del trombettista Mauro Brunini.
Una delle novità più fresche e rilevanti è la nascita, nell’autunno scorso, di Area M, un circuito musicale che fa base in zona Città Studi e che gli animatori del progetto intendono trasformare nel primo “quartiere del jazz” della città (un po’ come La Villette a Parigi). In Area M è confluita l’attività di tre orchestre milanesi, la Artchipel Orchestra, la Monday Orchestra e la multiculturale Orchestra di Via Padova, in linea con l’obiettivo di favorire l’inclusione sociale e al contempo la popolarizzazione del jazz nelle strade e nei locali della periferia est della città. In neanche un anno di esistenza Area M ha dato vita ad un ricchissimo palinsesto di concerti e iniziative – programmaticamente 130 all’anno – appoggiandosi ai teatri della zona (il Leonardo e il Menotti), all’auditorium di via Valvassori Peroni e a locali più piccoli come l’Upcycle Bike Cafè (nato nel 2013). Sotto il cappello di Area M rientra da quest’anno anche l’organizzazione del festival Il Ritmo delle Città, che ha portato a Milano – nella suggestiva cornice dell’Orto Botanico di via Golgi – artisti del calibro di Dianne Reeves e Gonzalo Rubalcaba.
E a proposito di festival, sempre in periferia est, e precisamente nello storico quartiere Ortica, dal 2013 prende vita ogni anno il piccolo festival Ortica in Jazz, che con Area M condivide l’intento di demolire il pregiudizio che vede nel jazz una musica elitaria e “difficile”. Dalla scorsa edizione (quella 2015 è attesa per ottobre) è passata, tra gli altri, la big band della scuola Civica diretta dal maestro Paolo Tomelleri.
Ma la natura “diffusa” di Area M porta naturalmente al confronto con l’attività del Jazz Club Milano, che a dispetto del nome non è un jazz club, ma un circuito di promozione musicale. In quanto jazz club “virtuale”, per la stagione di quest’anno il JCM si è appoggiato, oltre che alle iniziative della stessa Area M (tra i cui promotori figura anche il suo direttore artistico, Tullio Ricci), agli spazi del Masada, un circolo culturale inaugurato nell’estate del 2014 in viale Espinasse (periferia ovest). Dal giugno scorso proprio al Masada è passata la fiaccola di un appuntamento tradizionale del jazz meneghino: la jam session del lunedì sera, curata da Daniele Tortora, che per anni si è tenuta alla storica Buca di San Vincenzo. Sarebbe comunque limitativo considerare il Masada soltanto un jazz club: nel suo calendario si spazia dai concerti ai corsi di capoeira o Tai Chi, e per i soci è messo a disposizione il palco come sala prove nelle ore pomeridiane. A chiudere la stagione è stato luglio il pianoforte di Roberto Tarenzi, classe 1977.
Rimanendo sull’area nord-ovest della città, è di freschissima inaugurazione (fine maggio) il birrificio La Ribalta, in Bovisa, che ha sin da subito iniziato una collaborazione – che speriamo lunga – con la neonata etichetta discografica Honolulu Records, ospitando il 20 giugno scorso la prima Honolulu Night, con l’esplosivo Collettivo T.Monk – progetto dedicato, come dice il nome, alla musica del grande Thelonious Monk – il cui album Ugly Beauty è stato la prima release dell’etichetta. Dal palco del birrificio sono già passati anche i Soares – anche loro legati alla Honolulu – quartetto capitanato dal chitarrista Marco Giongrandi e dedito a un jazz moderno, rarefatto nei suoni e nell’atmosfera.
La Honolulu Records va ad affiancarsi, nel panorama della produzione del jazz a Milano, ad un’altra piccola ma prolifica etichetta, la NAU Records, fondata nel 2011. Tra i dischi più interessanti usciti recentemente è da segnalare Live at Cape Town del Roberto Cecchetto Core Trio – una formazione intergenerazionale: al chitarrista si affiancano i più giovani Andrea Lombardini al basso e Phil Mer alla batteria. L’album è stato registrato in un altro locale che merita di essere menzionato: il Cape Town Cafè, appunto, in zona Navigli.
E quest’anno proprio alla NAU Records è stato dedicato interamente il primo giorno dell’Ah-Um Jazz Festival, che da ormai quattordici anni anima non solo i locali e i teatri, ma anche le strade e i cortili del quartiere Isola, l’epicentro tradizionale – per la presenza del Blue Note e di numerosi altri club, come il Nord Est Cafè o il Rosso Borsieri – del jazz milanese. Nell’ambito del festival si è tenuta quest’anno la prima edizione del Maletto Prize, una competizione destinata a formazioni emergenti e vinta da I Casi.
Sempre nel quartiere Isola, ma in un contesto decisamente meno convenzionale, si trova il Piano Terra, uno spazio comunale dismesso e occupato nel 2012, in cui alla musica dal vivo (ma non solo: cineforum, spettacoli teatrali, presentazioni di libri) si unisce l’attività politica, attraverso dibattiti e confronti su precariato, crisi economica e nuovi modelli di sviluppo della città – in uno dei quartieri simbolo della gentrificazione e della speculazione edilizia nella Milano dell’Expo. Qui hanno suonato, tra gli altri, i Dugong, quartetto guidato dal tenorsassofonista Niccolò Ricci e dal chitarrista Michele Caiati.
Tra i luoghi meno conosciuti e convenzionali bisogna annoverare anche il piccolo Manatì, inaugurato in via Alessi a novembre 2014. Da fine dicembre vi si tiene la rassegna di concerti domenicali “Osmosi”, curata dai Figli di Pulcinella, un sestetto tendente al free ma fortemente influenzato dallo stile di New Orleans e dalla musica di Monk e Mingus. La rassegna per due appuntamenti a luglio si è spostata nella bella cornice della Cascina Martesana – altro luogo abbandonato e solo di recente restituito alla città.
Questa breve panoramica – per quanto inevitabilmente incompleta – è già sufficiente a far capire la varietà del jazz che si può ascoltare a Milano, tra locali più o meno azzimati, festival di strada, piccoli club e rassegne teatrali. La vivacità della stagione 2014/2015, appena conclusa, fa ben sperare per quella che sta per cominciare: potrebbero essere gli inizi di una nuova cultura della musica dal vivo nella nostra città – e non solo per quanto riguarda il jazz.
Cosa non perdere da oggi al 3 agosto
Oggi si prevede un picco nella colonnina di mercurio: Orville Richard Burrell, ai più noto come Shaggy, è atteso al Circolo Magnolia, per infiammare la serata a colpi di dub. Vincitore di tre Grammy Awards, il rapper giamaicano ha fatto conoscere il suo reggae in tutto il mondo con successi come Boombastic, Angel e It wasn’t me. Per gli amanti del riddim, una serata da non perdere.
E il Blue Note è uno dei pochi locali milanesi attivi in estate inoltrata, con un calendario di tutto rispetto. Il 29 luglio è il turno di Robert Glasper, uno dei pianisti jazz di più rottura degli ultimi dieci anni. Dopo una stagione di innesti con l’hip hop e l’R&B, Glasper, accompagnato dal celebratissimo trio, riscopre sonorità più intime, proponendo brani originali e cover di Radiohead, Joni Mitchell e John Legend, tra gli altri.
Neanche a farlo apposta, chiudiamo la terna settimanale con una proposta musicale afrobeat: Orlando Julius accompagnato dal collettivo londinese The Heliocentrics. Cantante e sassofonista nigeriano, Julius, è leggenda per gli amanti del funk. Nel ’66 cambiò il corso della storia con Super Afro Soul, album di svolta per la musica nera africana, in cui figura un giovanissimo Fela Kuti. Si dice questa tournée sia eccezionale, noi nel dubbio non mancheremo. Al Carroponte il 31 luglio.
Immagine di copertina: Rhapsody Mural di Peter Talke Photography