“Lo chiamavano Jeeg Robot”, brillante esordio nella regia di Gabriele Mainetti sfoggia un’eccellente coppia di protagonisti e una notevole capacità di maneggiare toni e linguaggi diversi
È arrivato il momento, per tutti coloro che erano convinti che la fantascienza fosse un brand destinato ai soli blockbuster americani, di ricredersi. La prova del nove è Lo chiamavano Jeeg Robot, che esce ora dopo il successo con standing ovation dalla Festa del Cinema di Roma e al Lucca Comic&Games.
Portando al cinema supereroi che parlano in romanaccio, Gabriele Mainetti ci regala un esordio alla regia (di un lungometraggio) di rara bravura – dimenticando qualche minuto di troppo, magari – che non è solo materia per gli amanti del genere, ma è anzitutto una prova d’universalità linguistica: perché a discapito del gergo dialettale che si parla, Jeeg Robot non è il supereroe di quella Roma che, dopo la Suburra di Sollima, torna spesso a macchiarsi di turpitudini varie.
Dopo aver dato la voce al Christian Bale di Batman, Claudio Santamaria veste i panni di Enzo Ceccotti, un solitario trentenne che passa le giornate divorando budini alla vaniglia e sparandosi dvd porno, fino a quando il contatto con una sostanza radioattiva lo rende dotato di superpoteri. Ma la sua goffaggine relazionale fa da contraltare alla nuova straordinaria fisicità, che l’ombroso protagonista non tarda a sfruttare per una serie di (anche buffe) azioni criminose.
Da anonimo pregiudicato di borgata, diviene in men che non si dica una star della città, attirando l’invidia dei criminali da strapazzo della periferia romana, primo fra tutti lo Zingaro (un formidabile Luca Marinelli). Neanche a dirlo, la caratterizzazione di questo personaggio, in preda a costanti deliri di onnipotenza, fa da contraltare a quella del vero supereroe: mentre l’uno, pur atteggiandosi a gangster, non lo diventerà mai, l’altro pare adattarsi malvolentieri a un destino non scelto né ambito. Se l’apprendista criminale è affetto da una serie di tic che rimandano a vanagloriosi sogni delittuosi, Jeeg Robot apre gli occhi sull’utilità e il danno dei superpoteri grazie all’incontro con Alessia (Ilenia Pastorelli), una “ragazza interrotta” convinta di vivere nel mondo di Jeeg Robot, di cui segue le avventure su un lettore dvd portatile.
La pellicola straripa d’una super violenza scevra di esibizionismi tarantiniani, che stupisce senza inorridire, e non manca un nutrito sottobosco di riferimenti politicheggianti che vanno dai murales in stile Banksy a una costellazione di improvvisi attacchi terroristici per la Città Eterna: ma una colonna sonora tutta all’italiana offre non pochi sprazzi di genuina comicità. Zingaro è infatti un aspirante supereroe criminale con un cuore musicale da primadonna, che, per prepararsi ai “colpi”, canta Loredana Bertè o Gianna Nannini.
Elementi della più totale ordinarietà e normalità (l’inettitudine nelle questioni amorose del protagonista) si sposano perfettamente con le gesta extra-ordinarie del protagonista (che solleva un tram con le mani o accartoccia un termosifone come fosse una fisarmonica), autorizzando non poche speranze sui prossimi lavori già in cantiere di Mainetti.