Giuseppe superstar con i colori dell’arcobaleno gay

In Teatro

Joseph and the amazing technicolor dreamcoat di nuovo in scena a Milano: Expo si chiude con il musical di Tim Rice e Andrew Lloyd Webber

Tim Rice e Andrew Lliyd Webber avevano a malapena vent’anni e non avevano ancora composto Jesus Christ Super Star quando, nel 1967, una scuola media londinese commissionò loro un’opera. In ascolto con lo Zeitgeist dell’epoca, il giovane librettista e il giovanissimo compositore presero una storia della Bibbia, una delle poche a lieto fine (come ancora si sperava sarebbero state le utopie che nutrivano quegli anni), la riempirono di colori lisergici, Rock ‘n Roll, pop Anni Sessanta, ma anche di un sapor mozartiano di Flauto Magico, e ne fecero Joseph and the Amazing Technicolor Dreamcoat.

Oggi Anna Zapparoli lo porta al Teatro Menotti e per farlo coinvolge la Dual Band con l’Orchestra, il Coro e il Coro di voci bianche del Conservatorio “Giuseppe Verdi“ di Milano. Sceglie una scenografia minimalista, gelatina blu ad illuminare i musicisti sul palco e creare un’atmosfera lieve di sogno e fiaba; poi pochi oggetti, stilizzati, simbolici. I bimbi delle voci bianche in jeans e magliette monocolore a formare, insieme, un arcobaleno, sono sul palco, guidati dalla narratice, Benedetta Borciani che, in vesti vagamente hippy, fa da da pifferaio magico ammalianoci con il canto e la storia che ci andrà a raccontare: la storia di Giuseppe, figlio preferito di Giacobbe, il quale infatti

«gli aveva fatto una tunica dalle lunghe maniche. 4 I suoi fratelli, vedendo che il loro padre amava lui più di tutti i suoi figli, lo odiavano e non potevano parlargli amichevolmente. 5 Ora Giuseppe fece un sogno e lo raccontò ai fratelli, che lo odiarono ancor di più. 6 Disse dunque loro: «Ascoltate questo sogno che ho fatto. 7 Noi stavamo legando covoni in mezzo alla campagna, quand’ecco il mio covone si alzò e restò diritto e i vostri covoni vennero intorno e si prostrarono davanti al mio». 8 Gli dissero i suoi fratelli: «Vorrai forse regnare su di noi o ci vorrai dominare?». Lo odiarono ancora di più a causa dei suoi sogni e delle sue parole. » (Genesi, 37)

Joe-1

Bambini e narratrice raccontano la storia e la storia si crea davanti a noi, Joseph (Beniamino Borciani), il padre e i fratelli prendono voce: vediamo il protagonista gettato crudelmente nel pozzo dai fratelli invidiosi, poi venduto a dei mercanti, deportato in Egitto, infine in prigione; poi finalmente la sua arte d’interpretatore di sogni lo porta ad esser nominato Ministro dell’Agricoltura dal Faraone in persona, trasformandolo in giudizioso amministratore di sette anni di vacche grasse, in previsione di sette anni di vacche magre (rimando al tema ”feeding the planet”, purtroppo svuotato di significato da Expo 2015)… Il tutto spogliato d’ogni durezza, sfumato d’ironia, riempito di colori e cadenze infantili e trasformato in favola.

Siamo davanti a un’opera semplice, che riesce a mescolare linguaggi diversi senza mai stonare, che ammorbidisce il tono secco ma profondo ed evocativo della Bibbia e gli conferisce la leggerezza di un musical coinvolgente e disimpegnato. Resta un piacevole intrattenimento per bambini e adulti,, ornato di una visione del mondo lieta, forse un po’ fuori tempo massimo perché quegli anni Sessanta sono lontani e l’aderenza degli attori a quell’ingenuità, oggi, suona inverosimile. Colpi di genio interpretativi, da parte della regista, non ce ne sono, se non il (voluto?) rimando della ”amazing techincolor coat” di Joseph alla bandiera arcobaleno del gay pride, che potrebbe far rileggere emarginazione e crudeltà dei fratelli secondo una chiave inaspettata e rendere più interessante il gioco d’interpretazione dello spettacolo.

Joseph and the Amazing Technicolor Dreamcoat, di Tim Rice e Andrew Lloyd Webber, regia di Anna Zapparoli, al teatro Menotti fino al 10 ottobre

 

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