Confessa Jovanotti mentre si prepara al super show allo stadio San Siro. E, per tenere a bada l’ansia, si trasforma in un fumetto sulle pagine di Topolino
«Oggi ho l’età che aveva mio padre quando mi sembrava vecchissimo. Non ho piú vita di lui da archiviare, si dice che un cuore batta piú o meno lo stesso numero di volte per tutti, ma di sicuro ho piú cose da mettere via: piú viaggi, piú fotografie e filmati, piú oggetti, piú dischi, piú film, certamente più cappelli, giubbotti e scarpe da basket».
Quarantotto anni, più di venticinque di carriera e una web tv personale da meno di un anno. Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti («un nome d’arte che può creare imbarazzo passati i 23 anni») arriva per tre “sansiri consecutivi” il 25, 26 e 27 giugno. L’attesa è tanta e l’aspettativa alta. Le date fissate prima ancora del completamento del disco, e una certa ansia da prestazione: «Ho sempre paura di salire sul palco. Un quarto d’ora prima vorrei andare via. Ho paura di sbagliare, di inciampare, che ci sia qualcuno in mezzo al pubblico che magari mi fa le pernacchie e quindi mi agito».
Un animale da palcoscenico pieno di insicurezze, un personaggio dei fumetti dei nostri tempi. Protagonista in uno degli ultimi Topolino accanto al bassista Saturnino (ribattezzato Pianetino), Jovanotti/Paperotti gioca a fare il supereroe con tanto di pettorina e t-shirt fluorescenti. Supereroe come carica energetica, prontezza, vitalità, simboleggiata dal fulmine la cui «forma mi affascina perché mi piace l’idea che il fulmine sia anche una crepa, un passaggio: il fulmine in fondo dichiara anche la fragilità».
Lorenzo torna a Milano, città luogo dell’ambizione e del confronto, in cui quasi trenta anni fa venne accolto nella foresteria di via Lomazzo che Radio Deejay predisponeva per i nuovi arrivati. «Finché sei in provincia puoi anche raccontartela, ma quando arrivi a Milano o in una città di business ti confronti con altri modi di vedere il lavoro e lí devi giocartela, non puoi piú fare nemmeno la pausa pranzo».
Il concerto si preannuncia come una mega festa collettiva, un’enorme discoteca a cielo aperto, una mastodontica pista da ballo. La scaletta è rigorosa e calcolata, eppure lascia spazio all’inventiva personale, all’inaffidabilità della memoria in cui Lorenzo è maestro.
D’altronde nel suo ultimo album, Lorenzo 2015 cc, c’è un po’ di tutto: pezzi dance, elettronica, tormentoni estivi, funk, afro beat, hip-hop, combat songs e ballate romantiche. 30 brani a getto continuo, in un flusso inarrestabile, tipico del deejay abituato a mixare, saltare di palo in frasca, trovare interconnessioni e punti di attacco. Più che un disco un cloud, «una nuvola che ti può piovere giù tutta la musica che vuoi» che parla il linguaggio delle emoticon.
Come durante la conferenza stampa di Milano lo scorso febbraio, dove Jovanotti ha presentato tabelle, istogrammi, grafici a torta, infografiche di emoticon per ripercorrere gli stati d’animo attraversati durante la creazione dell’album e le emozioni espresse da ciascuno dei pezzi.
Lorenzo è a suo agio nel mondo digitale e dice di esserlo stato prima ancora di Internet, quando, ancora deejay, costruiva “sequenze di senso” proiettate nell’intertestualità. «Il mondo digitale non prevede oggetti e l’opera nasce immateriale: una parola, una melodia, un’immagine, sono fatte d’aria.
Lorenzo negli stadi 2015, Milano, stadio San Siro 25, 26, 27 giugno
Immagine di copertina di Federico Bierti