A soli tre anni dalla grande monografica dedicata a Kandinskij in Palazzo Reale, Milano ospita una nuova esposizione del grande artista russo. Questa volta, al Mudec, ci si concentra sul percorso che lo ha condotto alla rivoluzione astratta, a partire anche dal folklore russo.
“Per anni ho cercato di ottenere che gli spettatori passeggiassero nei miei quadri: volevo costringerli a dimenticarsi, a sparire addirittura lì dentro”.
La mostra allestita presso gli spazi del Mudec Museo delle Culture di Milano, ci propone un insolito punto di vista: si apre con il viaggio intrapreso da Kandinskij (1866-1944) nel 1889, nel Nord della Russia. è qui, nel governatorato di Vologda, che prende forma e ispirazione il codice simbolico della sua pittura.
Attraverso suggestive connessioni osmotiche tra il fruitore e le opere d’arte, il cammino onirico verso l’astratto ci accoglie coi colori, usi e costumi tipici incontrati durante il soggiorno a Vologda negli interni delle isba, le tipiche abitazioni della campagna russa: risaltano vividi cromatismi di arancioni accesi, quasi fluerescenti, iconografie di gallinelle, figure geometriche, semplicità formale e funzionale all’utilizzo.
Questo linguaggio viene elaborato in profonde riflessioni teoriche per mezzo della scomposizione formale, via via sempre più evidente, sintesi che il pittore attua sulla tela facendo sì che la fantasia diventi reale.
Kandinskij riporta gli istinti e le emozioni a un esordio primordiale, in cui il ricordo d’infanzia di un cavallino a dondolo ricevuto in regalo, diventa elemento cardine della mostra e della sua ricerca espressiva. Proprio come accade nei suoi quadri, anche il percorso espositivo invita a divenire fluidi, ad “accordarci come diapason” al colore e ai suoni. È come se si entrasse a contatto con l’immaginario e la vita osservata da un giovane Kandinskij attento a ogni dettaglio, in grado di elaborarne le contemporaneità, ma soprattutto, attento all’ascolto delle proprie emozioni interiori, fino ad astrarle.
Sì, perché sono le emozioni, che corrono in libera espressione sulle tele, la vera potenza evocativa dello stile che contraddistingue il celebre pittore.
Superando l’eredità lasciata dagli impressionisti, la pittura assume sempre più valenza di riferimento visibile di come la realtà sia filtrata dall’invisibile, dalle percezioni soggettive legate ai moti d’animo. Il cogliere la realtà in modo soggettivo si supera, si inverte, non basta più: ora si coglie il soggettivo in modo oggettivo, si scava dentro se stessi e si fissa col colore un ricordo, un’emozione, una sensazione, qualcosa che per definizione sfugge, qualcosa che è indefinito.
Ed è questa parola che caratterizza il periodo astratto di Kandinskij: le sue figure si scompongono nella percezione di un ricordo, di un suono, sono evocazione sintetica di qualcosa che passa dall’anima del pittore e che si palesa in linee libere, pure, intrise di significati sempre nuovi, ma anche di archetipi, come un punto o una virgola. Lo si coglie in Mosca. Piazza Rossa del 1916, in cui è evidente l’elaborazione soggettiva ed emotiva rispetto a un luogo reale o, ancora prima, in Destino (Cupole) del 1909, in cui già il titolo indica un tema che per definizione è immateriale e dove l’unico contatto con la realtà è dettato dalla forma delle cupole tipiche russe, sullo sfondo.
La mostra, aperta fino al 9 luglio, si propone di stimolare così l’indefinitezza d’animo di ogni visitatore, che è circondato da input luminosi, visivi, acustici, persino interattivi. Il percorso espositivo, fluido e compenetrante, come le forme sui quadri, è arioso e ben strutturato. Non stanca, sfrutta punti di osservazione insoliti, come le scritte disposte in alto, che costringono l’occhio a spaziare oltre alla linea immaginaria dettata dalla sequenza dei quadri. Tutto deve essere colto, immagazzinato, elaborato.
E stupisce che non si tratti di una mostra “silenziosa”, ma anzi, si sia accompagnati da suoni evocativi, come cinguettii per esempio, che provengono dallo spazio centrale, in cui un pannello video stimola la voglia di tornare un po’ bambini, nel ricordo di una ritrovata semplicità formale. Tornare astratti, viaggiare nello spirito, evocando ricordi, dimenticarsi di essere forma, come l’infanzia sa fare. Lo si coglie ancor meglio nell’ultima sala, in cui una installazione visiva gioca letteralmente col fruitore, quasi a invitarlo a danzare, saltare, correre da parte a parte, per liberarsi in strisce luminose di energia, per staccare un istante la testa dal corpo e sentirsi parte leggera di ciò che effettivamente, troppo spesso, ci dimentichiamo di essere: animi indefiniti.
Immagine di copertina: Vasilij Kandinskij, Il cavaliere (San Giorgio), 1914-15. © State Tretyakov Gallery, Moscow, Russia