Una prima volta impegnativa quella del Quartetto Kelemen al Conservatorio di Milano
Curiosità! Di rado capita a un appassionato di musica di avvicinarsi a un concerto senza avere idea di quale sarà il risultato.
E la curiosità, appunto, è stata la molla che mi ha spinto il 18 novembre al Conservatorio per ascoltare l’ungherese Quartetto Kelemen, nato nel 2010, e per la prima volta ospite della Società del Quartetto. E a ben vedere anche il programma, con il quartetto delle Quinte di Haydn, il quartetto in la minore di Mendelssohn e il Quinto Quartetto di Bartòk, aveva un elemento di curiosità: un viaggio in tre tappe molto distanti tra loro della storia del quartetto.
Risultato? Una serata ricca di luci, con qualche ombra.
L’apertura con Haydn non è stata delle migliori, traspariva una rigidità di fondo, quasi che i musicisti non si sentissero a loro agio con tale repertorio. Il cambio di passo lo si è riscontrato durante l’esecuzione di Mendelsshon e di Bartòk. Qui i quattro solisti sembrano aver trovato un loro equilibrio e anche la risposta del pubblico lo ha sottolineato.
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Il concerto ha avuto delle peculiarità inusuali come lo scambio dei ruoli e degli strumenti tra un pezzo e l’altro, quasi a rimarcare l’assenza di qualsiasi gerarchia. Come inusuale è stato assistere per ben due volte alla rottura di una corda da parte del secondo violino nella stessa sera.
Unica nota stonata nell’insieme: talvolta la scarsa continuità di dialogo tra le parti (in alcuni punti si faceva fatica a udire il violoncello) creava dei cali di tensione, e dunque la perdita nell’ascoltatore di quel sottile filo rosso che accompagna un’esecuzione.
Promosso a pieni voti il bis beethoveniano con l’ultimo movimento del quartetto in do maggiore op.59 n. 3 “Razumovsky”.
Quartetto Kelemen al Conservatorio di Milano
F.J.Haydn – Quartetto in re minore op. 76 n.2 Hob.III.76 “delle quinte”; F. Mendelssohn – Quartetto in la minore op. 13; Bela Bartòk – Quartetto n.5 Sz 102