“Anselm” è un film prezioso, per la capacità di raccontare un artista di livello e fama mondiali e il suo peculiare percorso ponendosi alla giusta distanza: né troppo lontano, né troppo vicino, né in modo invadente né indifferente. Un viaggio in 3D molto personale tra tele e opere immense, evocative, indecifrabili, sempre potenti. E nella vita di un uomo coraggioso e disturbante, all’inizio scambiato addirittura per un quasi nostalgico del nazismo, che infatti ebbe successo prima fuori che in patria
Sono coetanei Anselm Kiefer e Wim Wenders, rispettivamente protagonista e regista di Anselm, il magnifico documentario arrivato in questi giorni nelle sale. Kiefer è nato l’8 marzo 1945 in una cittadina del Baden-Württemberg, Wenders il 14 agosto 1945 a Düsseldorf. L’artista due mesi prima della capitolazione della Germania nazista, il regista tre mesi dopo. Entrambi crescono tra le macerie della guerra, che ha raso al suolo gran parte delle città tedesche, muovono i primi passi nel mondo dell’arte e del cinema interrogandosi su quella guerra, sulla storia, sul passato, le sue colpe, il suo senso.
Uno dei primi gesti artistici di Kiefer consiste in una serie di foto in vari luoghi d’Europa: autoscatti con lui dentro la divisa nazista del padre, il braccio teso nel saluto hitleriano, la didascalia che recita: Occupazioni. All’epoca qualcuno dei suoi concittadini (dando prova di una stupidità ottusa fino all’incredibile) lo scambiò per un neonazista, qualcuno che preferiva non capire, e soprattutto cancellare con un rapido e indolore colpo di spugna ogni responsabilità. La guerra è finita, chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto, bisogna andare avanti. Le responsabilità sono morte insieme ai morti. Insieme ai sensi di colpa: nella Germania spavalda del boom economico nessuno ha tempo e voglia di riflettere su ciò che è stato. Anselm Kiefer invece vuole ricordare, rimettere in scena, assumersi la responsabilità individuale e collettiva di ciò che è stato. Farsi carico del passato per provare a immaginare un futuro che non sia sotto il segno della rimozione autoassolutoria.
Non a caso Kiefer il successo lo otterrà inizialmente fuori dai confini tedeschi. Per molti anni i suoi compatrioti continueranno infatti a guardarlo con sospetto. Ma lui non ha mai smesso di portare avanti il suo corpo a corpo con la storia e i suoi miti, che diventa un corpo a corpo con la materia viva, con la terra, con il fuoco, la sabbia, il piombo, la cenere, il legno, dentro tele sempre più grandi, opere d’arte sempre più complesse, monumentali. Talmente grandi da essere fuori scala in qualunque spazio, difficili da cogliere in un unico sguardo. Per questo il film di Wenders è così prezioso, per la capacità di raccontare un artista e il suo peculiare percorso ponendosi alla giusta distanza: né troppo lontano, né troppo vicino, né invadente né indifferente.
Anselm è un oggetto a sua volta peculiare: ben più di un semplice documentario, si pone come un gesto artistico capace di penetrare nell’arte altrui con il rispetto necessario a comprendere e l’”arroganza” dell’autore che non si limita a osservare e pretende di intervenire, immaginando a sua volta un percorso tra quelle tele, dentro quelle opere immense, evocative, a tratti indecifrabili, sempre potenti. Un percorso in 3D davvero immersivo, spericolato, disturbante, capace di dare conto dei fantasmi della storia e dell’invenzione di nuove forme e nuove memorie, in grado di sublimare il dolore, riempire di senso le cicatrici, immaginare un nuovo tempo, un inedito linguaggio.
Un incontro tra titani, quello tra Wenders e Kiefer, e il risultato è un documentario anomalo, un film spiazzante, un prodotto artistico vivo e luminoso e al tempo stesso oscuro, enigmatico, quasi misterioso. Da vedere su grande schermo. Senza se e senza ma.
Anselm, documentario di Wim Wenders, su e con Anselm Kiefer