A 4 anni dalla meritata Palma d’Oro per “Un affare di famiglia”, il regista giapponese ci interroga in “Le buone stelle” sulla sostanza dei sentimenti e lo stretto crinale tra bene e male. Una giovane madre abbandona il neonato che ha partorito ma non vuole crescere. Se ne impadroniscono due trafficanti di pargoli, che vendono a coppie ricche, ma il cuor d’oro li fa cercare i genitori più amorevoli. Cast generoso ed efficace, con la giovane popstar Lee Ji-Eun e il meraviglioso Song Kang-ho di “Parasite”.
Una madre riluttante, due trafficanti di bambini, un neonato abbandonato, un orfano alla ricerca di un padre: questa è la strana famiglia protagonista di Le buone stelle, l’ultimo film del giapponese Kore’eda Hirokazu, che questa volta ha deciso di girare in Corea, con un cast interamente coreano. Tutto ha inizio a Busan, dove la giovanissima So-young decide di lasciare il figlio appena nato in una “baby box”, quella che una volta dalle nostre parti si chiamava la “ruota degli esposti”. Il bimbetto dovrebbe essere accolto dal personale dell’adiacente orfanotrofio, ma viene in realtà intercettato da Sang-hyun e Dong-soo, un bizzarro duo di criminali dal cuore d’oro, specializzati nella vendita di bambini a coppie ricche e sterili.
Cosa che sarebbe di per sé semplicemente orribile se non fosse che i due non si limitano a intascare soldi e recapitare neonati. No, assolutamente: pretendono di scegliere i genitori adottivi e vogliono essere sicuri che il bambino finisca nelle mani migliori, le più amorevoli e generose. E sono talmente convincenti nel rivendicare l’assoluta onestà dei loro intenti che anche quando So-young ritorna sui suoi passi e vorrebbe riprendersi suo figlio, il piccolo Woo-sung, loro riescono a persuaderla ad andare con loro, alla ricerca del genitore giusto. Inizia così un bislacco on the road con i nostri scombinati eroi all’inseguimento della stella giusta, a cui affidare il destino del piccolo, talmente concentrati sul loro obiettivo da non rendersi conto di essere costantemente tallonati da due poliziotte ostinate, che non vedono l’ora di coglierli sul fatto, in modo da poterli finalmente arrestare.
Come in Un affare di famiglia, il capolavoro di Kore’eda, meritatissima Palma d’Oro a Cannes nel 2018, il regista giapponese si interroga prima di tutto sul senso dei legami fra le persone, sulla sostanza di cui sono fatti i sentimenti, sullo stretto crinale che separa il bene dal male, ciò che è lecito e legale da tutto ciò che non lo è, ma non per questo è facilmente estirpabile dal mondo. Soprattutto, come ha sempre fatto nel suo cinema, fin dai tempi di Father and Son e Little Sister, si chiede (e ci chiede): di che cosa parliamo quando parliamo di famiglia? E si interroga sul tema con la sua consueta grazia, il garbo dell’intelligenza, la capacità di coniugare lucidità ed emozione, l’empatia di uno sguardo che sceglie sempre prima di tutto di comprendere, non di giudicare.
Rispetto alla compatta precisione di Un affare di famiglia, all’affilata gentilezza che contraddistingue i suoi film migliori, Le buone stelle appare meno convincente, a tratti persino ingenuo, un po’ ondivago soprattutto nella seconda parte, nel complesso poco coraggioso nel voler tenere conto ad ogni costo delle esigenze di tutti i personaggi, come se a nessuno mai dovesse (potesse) spettare il ruolo del cattivo. Il risultato è comunque un film piacevole, che trasuda tenerezza e buoni sentimenti e comunque riesce a coinvolgere dalla prima all’ultima scena. Il merito va anche a un cast generoso ed efficace, dove spicca la giovane popstar Lee Ji-Eun. Con un grazie speciale al meraviglioso Song Kang-ho di Parasite.
Le buone stelle – Broker, di Kore’eda Hirokazu, con Song Kang-ho, Doona Bae, Ji-eun Lee, Gang Dong-Won, Joo-young Lee