Viene da un premio al Festival di Cannes “L’invisibile vita di Euridice Gusmao” di Karim Aïnouz, e va diviso tra il regista, la scrittrice Martha Batalha e le due ottime protagoniste, Carol Duarte e Júlia Stockler. Che sono la protagonista e la sorella Guida, divise dall’intolleranza e dal perbenismo familiare: si cercheranno per una vita, invano, a Rio de Janeiro e in fiume di appassionate lettere
La vita invisibile, nel film del 53enne regista, video-artista e documentarista di Fortaleza Karim Aïnouz che ha portato sullo schermo il romanzo di Martha Batalha vincendo a Cannes la sezione Un Certain Regard, non è solo quella di Euridice Gusmao. È in realtà doppia. Perché lo snodo da cui parte questo moderno melò brasiliano è la violenta interruzione dell’intensa, appassionante relazione fra due sorelle. E viene in mente Il segreto di una famiglia di Pablo Trapero, dove le vicende sono diverse ma la radice affettiva è altrettanto forte. Fuggita da casa per imbarcarsi verso la Grecia accanto al marinaio di cui si è innamorata (che ben presto la lascerà, incinta, amaramente confermando le peggiori previsioni dei genitori oscurantisti ma che su questo avevano ragione), Guida, al mesto ritorno a casa viene cancellata dalla famiglia. Nessuno, in primo luogo la sorella Euridice (Carol Duarte, poetica, spesso eterea, perfetta), dovrà d’ora in avanti sapere mai più nulla di chi ha disonorato una famiglia rispettabile.
Per garantirsi da eventuali ricerche reciproche, si dirà a Euridice che Guida è sparita (forse addirittura morta), in Europa, a seguito dello sciagurato amore, e alla figlia disonorata che la sorella, coronato il suo sogno musicale, vive da ricca pianista a Vienna. In realtà è rimasta a Rio de Janeiro, dove l’azione si svolge, si è sposata con un uomo che non ama e ha fatto dei figli, tutto secondo copione borghese. Vienna e il pianoforte, nonostante suoni assai bene, sono un sogno che sempre più sbiadisce. Una vita senza luce e in bilico su una condizione nevrotica che degenera quando viene a sapere che Guida (Julia Stockler, bravissima nella sua passionale concretezza) è viva e tutto di lei le è stato tenuto nascosto. La sua ribellione sarà così autodistruttiva da spingere i suoi a seppellirla in una casa di cura, nonostante i ragazzi siano ancora piccoli. La ritroveremo nell’epilogo, decenni dopo, ancora lì.
A nulla serviranno le lettere che Guida scrive all’amata consanguinea lungo quasi tutto il racconto, e che fanno da filo conduttore degli eventi che si dipanano negli anni ’50 in cui il film è collocato, con coda finale in tempi molto recenti: regolarmente intercettate da mamma e papà (unici riferimenti possibili per Guida), testimonianze al tempo stesso di una passione incrollabile e dell’impossibilità di comunicare, verranno lette dalla sorella, ormai assai anziana, solo dopo la morte del marito, ritrovate con grande stupore dal figlio, per caso, in una scatola, a distanza di cinquant’anni. In quelle lettere c’è il racconto istruttivo di come la crudeltà e l’egoismo paterno, conditi di perbenismo, riescano a distruggere vite belle e piene di speranza, ma anche il ritratto della casualità di una vita in cui i destini di due sorelle, di pari origini, istruzione e ceto, possano allontanarsi ai poli opposti della scala sociale. Guida, tornata a Rio dopo il fallimento del suo sogno d’amore greco e subito cacciata di casa vivrà infatti per molti anni in condizioni di dignitosa povertà facendo l’operaia e allevando il figlio, senza padre ma con un’amica che diventa quasi una sorella/madre, e alla fine le lascia la sua casa, dove vivrà a sua volta per decenni.
“Volevo fare un melodramma tropicale”, ha spiegato Ainouz, “dai colori molto saturi, con l’obiettivo molto vicino ai personaggi, che palpitasse con loro. E con un forte coinvolgimento degli interpreti: sul set mi interessa la ricerca, la sperimentazione, l’improvvisazione con gli attori, c’era un grande senso di fiducia tra me e loro. Ho immaginato un film pieno di sensualità, musica, dramma, lacrime, sudore e mascara, ma anche un film gravido di crudeltà, violenza e sesso. Volevo immergermi in un mondo reale ma anche artificiale, eccessivo. Era anche come tornare al mio primo film, il ritratto di mia nonna e delle sue 4 sorelle”.
Siccome quando appaiono film brasiliani strutturati su conflitti familiari, amori impossibili, assolutismi psicologici e differenze sociali si finisce quasi sempre per parlare di telenovela (il film supera anche le due ore, quindi…), va detto subito che per certi versi siamo all’opposto. Qui in fondo le situazioni delle sorelle, ma anche il contesto in cui si collocano le loro due vite lontanissime, tendono a cristallizzarsi, riprodursi in un’immobilità di condizione sociale e anche psicologica, determinata da quella fuga iniziale di Guida, da quel big bang che ha distrutto ogni equilibrio. E se la telenovela, lo dice lo stesso Ainouz, ha nel suo paese un grande potenziale comunicativo per i numeri degli spettatori, il format televisivo richiede un continuum di colpi di scena, rovesciamenti di legami e situazioni di potere e sentimentali, che creano continue novità. E un certo grado di adesione ideologica ai valori e ai comportamenti dei personaggi. Qui la cosa è diversa, anche perché, dice ancora il regista, “non devi sottostare alla narrazione. Anche se decidi di accettarla, devi sempre metterla in discussione”. L’unica cosa che “accade” davvero, in L’incredibile vita di Euridice Gusmao è la lettura delle lettere della sorella, e accade talmente fuori tempo massimo da non poter in alcun modo influire sulla vita di nessuno. Un fatto narrativamente importante per il film, struggente e un po’ fantasmatico, perfino forse risarcitorio per il personaggio e gli spettatori, ma nulla più. La devianza è stata punita subito, e insieme ogni complicità (di Euridice): da quel momento, nulla è stato più come prima.
L’invisibile vita di Euridice Gusmao, di Karim Aïnouz, con Carol Duarte, Júlia Stockler, Gregório Duvivier, Barbara Santos, Flávia Gusmão, Maria Manoella, António Fonseca, Cristina Pereira, Fernanda Montenegro, Flavio Bauraqui, Nikolas Antunes