Davvero l’Affare Dreyfus ha qualcosa dell’Affare Polanski?

In Cinema

Suggerendo l’idea d’aver scelto il tema dopo aver sperimentato su di sé una “persecuzione”, il cineasta polacco porta sullo schermo, in “L’ufficiale e la spia” il celebre caso giudiziario-militare che a fine ottocento mise in rilievo l’antisemitismo dilagante in Francia. Con Louis Garrel nei panni dell’ufficiale ebreo accusato di tradimento e Jean Dujardin in quelli del suo difensore, che pure di lui diffidava assai. Un ottimo film che ha vinto all’ultima Mostra di Venezia il Gran premio della Giuria

5 gennaio 1895. In una Parigi gelida, nell’immenso cortile dell’École Militaire, va in scena la pubblica condanna e degradazione del capitano Alfred Dreyfus, accusato di alto tradimento: avrebbe venduto segreti militari ai nemici tedeschi. A Dreyfus, che nel film di Roman Polanski L’ufficiale e la spia ha il volto emaciato di Louis Garrel, irrigidito e livido, immobile al centro della scena, un solerte ufficiale strappa via gradi e decorazioni, gettandoli a terra con disprezzo insieme alla sciabola, dopo averne spezzato la lama. Lontano, al di là dei cancelli, il popolino urla: “morte agli ebrei!”. Intanto i militari dello Stato Maggiore si congratulano sottovoce per la rapidità e l’efficienza con le quali si sono liberati della mela marcia infiltrata nell’esercito francese: il capitano ebreo, che non è stato ritenuto nemmeno degno di un vero processo.

L’hanno condannato in fretta e furia, sulla base di indizi vaghi e pregiudizi pesantissimi, e mentre lui si avvia verso l’Isola del Diavolo nella Guyana francese, dove ci si aspetta che finisca la sua vita nel più totale oblio, tutta la Francia applaude soddisfatta. Il caso è chiuso e la vita va avanti, per gli altri. Per il tenente colonnello Georges Picquart (Jean Dujardin) ad esempio, che di lì a poco guadagna l’ambita promozione a capo della sezione di Statistica, cioè l’unità del controspionaggio militare responsabile della condanna di Dreyfus. Ma all’irreprensibile e antisemita (sì, anche lui, come tutti o quasi, nella Francia della Terza Repubblica) Picquart arrivano sotto gli occhi le inconfutabili prove della macchinazione che ha stritolato l’incolpevole Dreyfus, oltretutto lasciando in libertà il vero traditore.

Che fare? Distogliere lo sguardo in nome del superiore interesse della patria, come pretendono le alte sfere politiche e militari, o andare avanti ad ogni costo sulla via della giustizia, in nome di un’idea di onore che non accetta compromessi? La risposta la conosce bene anche chi non ha ancora visto il film, che ricostruisce fin nei minimi dettagli uno dei più noti e clamorosi errori giudiziari della storia, trascinatosi per ben dodici anni tra alterne vicende (tra le quali il celeberrimo “J’Accuse” lanciato da Emile Zola verso il pregiudizio contro gli ebrei imperante all’epoca, e non solo in Francia) e conclusosi infine con la completa riabilitazione di Dreyfus.

Roman Polanski ha costruito il suo film basandosi sull’accuratissimo romanzo di Robert Harris, edito in Italia da Mondadori, e come nel libro il vero protagonista non è Dreyfus ma Picquart, che da un certo punto in poi si trasforma in una sorta di investigatore, senza però mai diventare, neppure per un istante, un eroe senza macchia. Anche se si troverà a rischiare tutto, il lavoro e la libertà, oltre alla sua adorata amante (che ha il volto di Emmanuelle Seigner) per difendere l’onore infangato di un uomo che non ha mai amato e verso il quale, fino alla fine, non smette di nutrire pregiudizi. Ma non importa, sembrano dirci Polanski e Harris, che hannt sceneggiano insieme il film: nell’attesa di liberarci (davvero) di ogni pregiudizio nei confronti dell’altro, la differenza la può fare chi si impegna comunque in difesa della verità. E della giustizia, naturalmente.

Temi forti, fortissimi, inevitabilmente destinati a entrare in risonanza con la vicenda umana e giudiziaria dello stesso regista, che in occasione della presentazione del film alla Mostra di Venezia (dove ha ricevuto il Gran Premio della Giuria) ha dichiarato che tra le motivazioni che l’hanno spinto a occuparsi dell’affare Dreyfus figura il fatto che lui stesso sia da decenni ingiustamente perseguitato per colpe mai commesse. Dichiarazioni che hanno inevitabilmente innescato un coro di accesissime polemiche, accompagnate dall’invito a boicottare il film. Io penso al contrario che L’ufficiale e la spia sia da vedere assolutamente, perché è un ottimo film, girato con maestria e rigore, un impeccabile senso del ritmo, una sontuosa capacità di messa in scena, e un cast di attori semplicemente meravigliosi.

Certo, il fatto (indubitabile) che il signor Roman Polanski sia in grado di fare grandi film non implica necessariamente che sia un grande uomo. Anzi, sono in molti a ritenere che non lo sia affatto. Forse. Io mi schiero, sommessamente, tra coloro che non portano avanti crociate, né innocentiste né colpevoliste, e vorrebbero soltanto che i giudizi e le eventuali condanne fossero il frutto di processi equi, nelle aule dei tribunali, e non di furibonde gogne mediatiche su internet o in TV.

In questa nostra epoca di fake news e manipolazioni di ogni genere, con tecniche ben più sofisticate di quelle che vediamo utilizzate dai servizi segreti francesi tra Ottocento e Novecento, questo magnifico film serve anche a ricordarci che essere accusati di qualcosa non vuol dire essere necessariamente colpevoli. E che comunque ci si può schierare in difesa anche di qualcuno che non ci sta particolarmente “simpatico”.

L’ufficiale e la spia, di Roman Polanski, con Jean Dujardin, Louis Garrel, Emmanuelle Seigner, Mathieu Amalric, Grégory Gadebois, Hervé Pierre

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