Il 39enne regista francese Sébastien Marnier riscrive per immagini, con Elise Griffon, il romanzo dell’insegnante Christophe Dufossé, che colloca in una classe liceale di autoproclamati geni una tragedia sulla fine del nostro pianeta e l’impossibilità di opporvisi. Passato alla Mostra di Venezia, il film attrae e respinge per la sua forza visiva e narrativa e l’eccessiva accumulazione di spunti tematici
Si dice che in un buon film la scena iniziale e quella finale si parlino, o perché si somigliano o per contrapposizione. In L’ultima ora di Sébastien Marnier la prima inquadratura è una soggettiva del professor Capadis che guarda il sole dalla finestra della sua classe, durante un compito. Questa vista è accecante, ma rasserena lo spettatore: in fondo il sole è simbolo di energia, calore, vita. Un attimo dopo, vediamo Capadis buttarsi da quella finestra e stamparsi scomposto sul suolo della scuola sotto gli occhi dei suoi alunni. Da subito capiamo che il film, si racconterà attraverso immagini di forte impatto, fino ad arrivare al culmine, nel finale…
Il punto di vista su questo mondo malato e alla deriva, come vuole il romanzo di Christophe Dufossé da cui il film è tratto, è offerto dal supplente Pierre Hoffman (Laurent Lafitte, visto in I fiumi di porpora, Mood Indigo – La schiuma dei giorni, Elle), chiamato a sostituire il professor Capadis. Questo giovane anti-eroe, quarantenne non ancora di ruolo, a metà strada tra il ragazzo e l’adulto, non sembra all’altezza di una classe così promettente come quella lasciata dal suo predecessore. E in particolare, tra gli studenti, un gruppo di sei alunni si dimostra apertamente ostile a lui, forse per timore che possa provocare un calo dei loro rendimenti o forse per paura di venire ostacolati nel piano lucidamente folle che stanno macchinando.
Pierre è l’unico personaggio che davvero capiamo durante la visione del film, in contrapposizione agli studenti adolescenti prestazionali, freddi e inquietanti della sua classe, e anche agli altri professori, rassegnati, sereni, noncuranti, felici. Di questo conflitto generazionale vuol parlare l’opera. Infatti il regista racconta: “Per rendere al meglio nel film questa incomunicabilità generazionale non ho fatto incontrare Laurent Lafitte con gli interpreti più giovani fino al primo giorno di riprese. Sapevo che questo avrebbe creato da entrambi i lati una mancanza di complicità e fiducia, una tensione e un’elettricità naturali”.
In generale l’intero film si può leggere come un ragionamento distopico sul conflitto tra presente e futuro: si scoprirà che i giovani studenti stanno creando un archivio per i posteri raccogliendo immagini del “vecchio mondo”, a testimonianza dell’apice di crudeltà a cui può arrivare l’uomo. Questo materiale, filmato con lo smartphone, viene assemblato seguendo la categoria della violenza e della distruzione: ci sono immagini del macello di animali per la distribuzione alimentare, catastrofi naturali che travolgono case e persone, la famosa ripresa di uno degli uomini che si buttò dalle torri gemelle l’11/9/2001… Visioni di una potenza inguardabile per molti, a cui forse alcuni si sono assuefatti a causa del bombardamento televisivo, ma a cui non siamo certamente abituati in una versione cinematografica.
Tramandare l’orrore è solo parte del progetto del gruppo di adolescenti che si considerano quasi degli eletti, anzi che si sono auto-eletti, simili a dei moderni protagonisti de Il villaggio dei dannati di John Carpenter, ma sulla scia del “Friday for Future” di Greta Thunberg. E in effetti c’è molta, forse persino troppa carne al fuoco in questo secondo film del 39enne regista francese (dopo Irréprochable, 2016), sceneggiato da Marnier insieme allo stesso Dufossé e Elise Griffon. Tanto che qualcuna delle sottotrame sembra sfuggirgli di mano e perdersi in un vicolo cieco, come l’esercizio di sopportazione del dolore a cui si sottopongono con sadismo reciproco i giovani, o alcune performance di spicco che appaiono un po’ sprecate, come quella di Emmanuelle Bercot nei panni dell’enigmatica e un po’ esaltata professoressa di musica. Ma a riassorbire tutto il magma di spunti, immagini e misteri ci pensa il finale, dove una visione inquietante fa da contraltare al sole iniziale: anche qui acceca, ma stavolta sembra davvero la luce dell’ultima ora.
L’ultima ora, di Sébastien Marnier, con Laurent Lafitte, Emmanuelle Bercot, Gringe, Grégory Montel, Pascal Greggo, Luana Bajrami