Dustin Hoffman e Toni Servillo si contendono il ruolo di primattore, accanto a Valentina Bellé, nella seconda regia dello scrittore. Che dopo il successo di “La ragazza nella nebbia” parte ancora da un suo libro. Ma l’intreccio macchinoso e l’eccesso d’imitazione hollywoodiana portano a un esito poco efficace nel raccontare la misteriosa sparizione e l’ancor più oscuro ritorno della protagonista
L’uomo del labirinto è il nuovo film diretto dallo scrittore Donato Carrisi, reduce dal notevole successo del suo esordio cinematografico La ragazza nella nebbia, che nel 2017 aveva fatto vincere al suo autore anche un David di Donatello come miglior regista esordiente. Carrisi ci riprova con un altro adattamento di un suo romanzo omonimo, edito due anni fa da Longanesi. Samantha Andretti (Valentina Bellè) è stata rapita una mattina d’inverno mentre andava a scuola. Quindici anni dopo, si risveglia in una stanza d’ospedale senza ricordare dov’è stata né cosa le sia accaduto in tutto quel tempo. Accanto a lei c’è un profiler, il dottor Green (Dustin Hoffman): sostiene che l’aiuterà a recuperare la memoria e che insieme cattureranno il mostro. Ma l’avverte che la caccia non avverrà là fuori, nel mondo reale. Bensì nella sua mente.
Bruno Genko (Toni Servillo), invece, è un investigatore privato. Quindici anni prima era stato ingaggiato dai genitori di Samantha per ritrovare la figlia e ora che la ragazza è riapparsa, sente di avere un debito con lei: proverà quindi a catturare l’uomo senza volto che l’ha rapita. Ma quella di Genko è anche una lotta contro il tempo: un medico gli ha detto che gli restano due mesi di vita. E, per uno scherzo del destino, quei due mesi sono scaduti proprio il giorno in cui Samantha è tornata indietro dal buio. Chi giungerà prima alla verità: l’investigatore o il profiler? E siamo sicuri che alla fine di tutto ci sia un’unica verità? Da qualche parte, là fuori, c’è un labirinto pieno di porte: dietro ognuna si nasconde un enigma, un inganno.
Carrisi mette in scena le sue paure portandoci in mondi sotterranei o comunque ermeticamente chiusi che rimandano all’immaginario horror, all’Inferno dantesco, a fiabe come Hansel e Gretel e ad atmosfere kafkiane. È un mondo straniante che a tratti sembra voler essere una versione a grana grossa di un fumetto, e in altri momenti un clamoroso film dell’orrore d’altri tempi, ancora a tratti anche un thriller moderno.
Il problema vero è che ancora prima dell’intricata sceneggiatura, prima ancora dei twist finali deludenti e delle battute senza senso, dei personaggi che parlano a nessuno per rivelare allo spettatore cosa pensino, prima ancora di tutto il film ha un immaginario horror misero, povero quanto a originalità e quanto a capacità di creare immagini davvero spaventose o anche solo da brivido. Carrisi copia quel che ha visto altrove senza avere però chiaro come mai lì dove le ha viste quelle trovate funzionassero. Solo la testa di coniglio di Donnie Darko meriterebbe una trattazione a sé per come è mal usata.
Dotato di almeno due finali che allungano il plot in maniera quasi intollerabile (vista la nebbiosità dell’intreccio), L’uomo del labirinto vorrebbe incrociare il noir e l’horror ma riesce ad essere solo un film italiano che cerca di piegare lo stile hollywoodiano mascherandosi male e finendo per non essere né se stesso né ciò che vorrebbe imitare, ma una via di mezzo interessante forse sulla carta ma noiosa sullo schermo.
L’uomo del labirinto di Donato Carrisi, con Valentina Bellé, Caterina Shulha, Dustin Hoffman, Toni Servillo, Vinicio Marchioni, Stefano Rossi Giordani, Luis Gnecco