Esce uno dei cinque candidati alla statuetta 2015 per il miglior film d’animazione. Lo firma Tomm Moore che racconta cos’è una selkie, creatura fantastica metà donna e metà foca, in grado di vivere nelle profondità acquatiche ma anche di camminare sulla terra, trasformandosi in essere umano.
Protagonista di La canzone del mare, magnifico cartone animato realizzato da Tomm Moore (era fra i cinque candidati agli Oscar 2015 come miglior film di animazione) è una selkie, che forse non tutti sanno bene cos’è. Per chi non fosse esperto di mitologia nordica, conviene chiarire subito che si tratta di una creatura fantastica, metà donna, metà foca, in grado di vivere nelle profondità del mare e anche di camminare sulla terra trasformandosi in un essere umano.
Se una selkie si innamora di un uomo può diventare la sua sposa, mettere al mondo dei bambini, e vivere in tutto e per tutto come una donna, almeno fino a quando le azzurre profondità del mare non la richiameranno a sé, costringendola a lasciare l’amato marito e i due figlioletti, in questo caso Ben e la piccola Saoirsie. Il primo, rabbioso e deluso per l’abbandono della madre, che immediatamente imputa all’arrivo dell’odiata sorellina, la seconda, in tutto e per tutto erede della doppia natura della mamma, quindi capace di piccole e grandi magie e soprattutto di ascoltare in silenzio i fastidiosi brontolii degli uomini così come la voce incantata del mare. Quel mare azzurro e inquieto che circonda da ogni parte il faro che questa strana famiglia ha eletto a sua casa.
Una strana famiglia di cui fa parte anche una nonna, che però vive in una città lontana e grigia, e ha idee molto precise su cosa sia meglio fare per far crescere bene dei bambini rimasti senza mamma. Ma il trasloco in città, lontano dall’amato cagnolone tutto pelo e affetto, e dalle amatissime onde, è per i ragazzini uno shock poco salutare, uno sradicamento inutile e dannoso, un tentativo di guarire la tristezza semplicemente negandola.
In definitiva, un’azione avventata e destinata a produrre effetti disastrosi. Almeno fino a quando i nostri piccoli eroi, Ben e Saoirsie, non prenderanno in mano la situazione insegnando agli adulti l’arte sottile e meravigliosa dell’essere felici, nonostante i dolori della vita quotidiana. Anzi, proprio attraversando con grande coraggio e un pizzico di incoscienza quelle sofferenze e quelle inquietudini di cui è inevitabilmente costellata la vita di ognuno di noi.
Moore attinge a piene mani al folklore irlandese e sicuramente tiene presente la lezione di Hayao Miyazaki, e soprattutto prende sul serio spaventi e fantasie dell’infanzia, costruendo un film adatto ai piccoli, ma non piccolissimi, ma godibilissimo anche per il pubblico adulto. Perché racconta in modo poetico, attraverso immagini incantevoli e una storia commovente, le paure dei bambini e le fragilità degli adulti, il desiderio di essere felici ad ogni costo e la tentazione costante di sfuggire la sofferenza, anche a costo di tramutare se stessi in pietra.
Raccontando questo mito antico fatto di acqua e di vento, di terra e di mare, ci invita a riflettere su una piccola, indispensabile verità: che alle emozioni non si può rinunciare, mai, nemmeno a quelle negative. E questo vale nella vita quotidiana, ovviamente, ma forse ancora di più al cinema.
La canzone del mare di Tomm Moore