La Biennale di Venezia volge al termine (chiuderà infatti i battenti il prossimo 24 novembre) e per concludere le nostre incursioni tra mostra e padiglioni parliamo degli Emirati Arabi Uniti con “Sites of Memory, Sites of Amnesia” di Abdullah Al Saadi, a cura di Tarek Abou El Fetouh. Un padiglione sorprendente per intensità poetica, competenza concettuale e coerenza del registro culturale.
“Come si può ancora capire qualcosa del mondo oggi che tutto funziona in maniera diversa, che le cose iniziano a danzare secondo un ritmo e una logica che nessuno riesce ad afferrare? L’unica cosa che possiamo fare è aggrapparci alle mappe come ad una zattera di salvataggio, perché soltanto sulle mappe tra il nome e la cosa c’è una stretta relazione”.
Così lamentava Flavio Biondo, umanista forlivese del Quattrocento, di fronte a un mondo in straordinaria trasformazione, citato da Franco Farinelli, il grande geografo italiano, per dire come, davanti alle ancor più straordinarie trasformazioni del nostro tempo, anche la continuità, l’omogeneità e l’isotropismo che specificano la natura geometrica di un’estensione siano ormai zattere inutilizzabili. Se prima era il territorio a dover assomigliare alla mappa, per averne quelle caratteristiche che nella geometria euclidea costituiscono la natura geometrica di una superficie, continua Farinelli, oggi la rete mette in crisi la logica stessa della geometria, lasciandoci naufraghi in un inedita versione dell’hic sunt leones, il confine che era meglio non superare non solo per i leones, ma per la mancanza di quelle linee, di quella continuità, di quell’omogeneità.
Quel gioco di specchi in cui la rappresentazione dello spazio fungeva da modello allo stesso spazio che rappresentava, creando sviluppi rassicuranti a cui aggrapparsi per aver certezze sull’altrimenti ignoto mondo, chiede oggi che le mappe, ormai inutili, vengano sostitute con qualche altra cosa che ancora non conosciamo.
Quali possono essere, allora, quei sistemi di rappresentazione nuova, che seguano le strutture della nuova umanità che si prospetta? Sarà magari l’Intelligenza Artificiale a elaborare para-cognitivamente al nostro posto la risposta, o la filosofia, se ancora ce n’è una, o nuove scienze umane? Dalla Flatlandia in cui inevitabilmente ci muoviamo viene impossibile immaginare la nuova, ancora inesistente dimensione. Ma una risposta può venire da un’inversione di rotta, da uno sguardo all’indietro strutturalmente euclideo ma totalmente anarchico che solo l’Arte può aprire.
È allora una deriva tra mondi e rappresentazione di quegli stessi mondi che alla loro rappresentazione vogliono assomigliare, non più continua, omogenea e isotropica ma interiore, poetica e arbitraria, quella che ci regala Abdullah Al Saadi con Sites of Memory, Sites of Amnesia, titolo del Padiglione degli Emirati Arabi Uniti a cura di Tarek Abou El Fetouh alla Biennale di Venezia. Una rappresentazione dello spazio che parte dall’antica poesia araba che trovava nell’immersione e nell’abbandono nella natura selvaggia la sua ragion d’essere, e che di quei viaggi non lineari, per niente omogenei, dagli sviluppi imprevedibili in ogni direzione, traccia una cartografia fantastica, inutile e fondamentale, segno dell’essere al mondo che nella memoria si concretizza e nell’oblio si dissolve.
È una fascinazione, quella di Al Saadi, che somiglia a quella di Jed Martin – l’artista protagonista del capolavoro di Michel Houellebecq La carta e il territorio – secondo cui nella mappa “l’essenza della modernità, dell’apprendimento scientifico e tecnico del mondo vi si trovava mescolata con l’essenza della vita animale. Il disegno era complesso e bello, di una chiarezza assoluta, utilizzando soltanto un codice ristretto di colori. Ma in ogni frazione, ogni villaggio, rappresentati secondo la loro importanza, si sentivano il palpito, il richiamo di decine di vite umane, di decine o di centinaia di anime – le une destinate alla dannazione, le altre alla vita eterna”.
Al Saadi, che si definisce viaggiatore, cronista, cartografo, poeta, decifratore, alchimista, dispensatore di memoria e narratore, come i suoi antenati poeti si immerge nella natura e, una volta immerso, comincia a disegnare, a dipingere o a scrivere, a segnare percorsi reali e onirici su pietre e pergamene, percorsi rituali indecifrabili in stato di veglia, ma metafisicamente euclidei nell’abbandono. E poi inscatola, cataloga, organizza il tutto, come in un archivio cartografico impossibile che preservi la memoria dei suoi viaggi tra non luoghi del corpo e dell’anima, della sua e della nostra esistenza. Geometrie patafisiche in scatola che si dispiegano, rassicuranti zattere di salvataggio, dove tra il nome e la cosa ci possa essere, ancora, una stretta relazione.
Tutte le immagini: Abdullah Al Saadi, Sites of Memory, Sites of Amnesia, courtesy Padiglione Nazionale degli Emirati Arabi Uniti – La Biennale di Venezia, foto di Roman Mensing e Ismail Noor (Seeing Things)