Fra l’universo chiuso dell’orfanotrofio e lo spazio violento del mondo esterno si muovono i quattro protagonisti del romanzo di Michele Cocchi, “La casa dei bambini”
Sandro, Nuto, Dino, Giuliano. Quattro amici, quattro esistenze intrecciate, quattro peculiari esseri umani. Sono loro i protagonisti de La Casa dei Bambini, romanzo di Michele Cocchi, edito da Fandango Libri nel 2017. Quattro amici e una storia da scoprire, capace di attrarre il lettore e stimolare la sua curiosità nei confronti di un intreccio dal sapore famigliare e al contempo sconosciuto.
All’inizio del romanzo incontriamo i personaggi quando sono ancora bambini e si trovano a condividere le loro esistenze secondo un principio apparentemente del tutto casuale. La prima parte della vicenda – che si vede composta di tre sezioni principali – è ambientata in un orfanotrofio – la Casa dei bambini, appunto – dove i protagonisti condividono gioie e malumori, attese e delusioni. La Casa ospita fanciulli accomunati da uno stesso destino: si tratta nella maggior parte dei casi di orfani, e comprende anche un esiguo numero di bambini lasciati dalle proprie famiglie, incapaci di provvedere ai loro bisogni. L’atmosfera che circonda la Casa dei bambini è spontanea e carica di mistero al tempo stesso. Le dinamiche che si generano al suo interno rispondono all’immaginario legato a un simile ambiente, con i suoi meccanismi intrinseci e i differenti rapporti che vi si generano; tutto ciò che sta oltre il muro di cinta, tuttavia, è un enigma, incapace di restituire risposte all’eco di interrogativi provenienti dai bambini della Casa. Siamo di fronte a una forma di isolamento, che vede come conseguenza l’instaurarsi di una precisa forma societaria, con un suo ordine e una sua gerarchia, dove però domina la costante consapevolezza che l’esistenza che sperimentano i bambini non corrisponde alla realtà né la esaurisce.
“Avete mai pensato che cosa potrebbe accadere se sapessimo la verità? Se ci dicessero davvero cosa succede là fuori, o se potessimo uscire prima di essere diventati grandi? Molti di noi non ce la farebbero.”
In questo piccolo universo a sé, dove gli abitanti di questa società in miniatura sono i bambini, si delinea un profondo senso di isolamento ed emarginazione. La prima sezione della vicenda genera nel lettore la medesima sensazione che si sperimenta durante la lettura di alcuni celebri romanzi, quali Cecità di Saramago o La Peste di Camus. In queste opere vengono proposte situazioni estreme e inconsuete, che costringono una fetta di popolazione a vivere in stretto contatto, circoscritta da limiti esterni. In questi contesti ai limiti della normalità i comportamenti e i rapporti umani riflettono una forma di esasperazione, sia in termini positivi che negativi, dovuta all’eccezionalità della situazione in cui si trovano a vivere. Fra i bambini infatti si instaurano chiare dinamiche di amicizia e collaborazione e, pur tra tensione e contrasti, nella Casa regna un clima di equilibrata coesistenza e reciproco affetto. L’amicizia infatti è uno dei temi – se non il Tema – principali del romanzo. Questo legame viscerale nasce quando i protagonisti sono ancora bambini e mostra la sua forza attraverso la spontaneità con la quale si genera. Nella condivisione della propria esistenza i quattro personaggi creano un microcosmo nel quale la norma essenziale risiede nella lealtà, che costituisce la linfa vitale di un legame destinato a superare i limiti fisici della Casa.
“In quei momenti svanivano i cancelli, reti e muri, non c’erano più le mamme, né maestre, né direttori, restavano soltanto loro, uno legato all’altro, i bambini della Casa”.
Cocchi si dimostra capace di creare una rete narrativa all’interno della quale le parole appena citate, nonostante la distanza che i protagonisti dovranno sperimentare nelle successive pagine del romanzo, acquisiscono un sapore universale, capace di diffondersi fino alla conclusione della vicenda. Il percorso di crescita percepita tramite l’altro non si esaurisce fra le mura della Casa, ma persiste anche nelle altre sezioni del romanzo, dando vita a un processo di continua scoperta e riscoperta di sé, mediata progressivamente da occhi prima adolescenti e poi adulti. In un’intervista rilasciata lo scorso gennaio al programma radiofonico Fahrenheit, l’autore rivela come il fine dell’opera sia l’indagine intorno a tutto ciò che si rivela come archetipicamente umano. Scorrendo le pagine del romanzo, il lettore finisce per trovarsi coinvolto in questa ricerca, interrogandosi e interrogando la vicenda per comprenderne a fondo il significato. Il sentimento dominante in questa esplorazione è la malinconia, sentimento che trova la sua sorgente nell’incessante tensione verso ciò che è stato e ciò che sarà. Questo schema narrativo infatti non si esaurisce nella prima parte del romanzo, ma trova forza e possibilità di sviluppo anche nelle restanti due sezioni.
“È il potere, capisci? È semplice. Oggi ci dicono che io e te siamo diversi perché io sono nato qua e tu là. Domani ci diranno che siamo diversi perché sono diverse le cose in cui crediamo. Dopodomani perché io ho i capelli neri e tu rossi. Perché io sono mancino e tu destro. Capisci?”.
Militari contro ribelli, presunta giustizia in opposizione ad una più tenace rivendicazione di essa, potere legittimo contrapposto a una legittima rivolta. La seconda sezione del romanzo fa precipitare il lettore nel vortice di una guerra civile. L’azione si svolge fuori dalla Casa, alcuni anni dopo, quando i ragazzi sono adolescenti: non vi è, tuttavia, alcuna precisazione di carattere spazio-temporale, come in ogni pagina del romanzo. Ogni connotazione precisa delle parti in campo è assente: il clima evocato, tuttavia, richiama alla memoria la guerra partigiana, riportando alla mente del lettore questo particolare paradigma narrativo. La vicenda, tuttavia, non perde il suo singolare profilo e concede, in un nervoso accumularsi di tensione, la possibilità di percepire l’evoluzione dei personaggi. Cocchi infatti dipinge i protagonisti con mano esperta, mostrando i cambiamenti che in essi avvengono e allo stesso tempo marcando i loro tratti più peculiari. L’empatia di Sandro, la lucidità di Giuliano, l’onestà di Nuto e l’anima funambolica di Dino, sono le impronte personali che permettono al lettone di riconoscere i personaggi attraverso le pagine del romanzo, assistendo al loro cambiamento e al contempo avvertendone l’immutabilità. Cocchi afferma di voler indagare l’ambivalenza insita nel mondo, e in particolare nell’animo umano. I protagonisti, le loro emozioni e le vicende che li vedono coinvolti sono la dimostrazione dell’impossibilità di una univocità umana, e mostrano come l’uomo sia un insieme di voci differenti, in una plurivoca armonia.
Se la vita belluina fa emergere alcuni aspetti reconditi all’agire umano, la terza parte del romanzo ripropone la Casa dei bambini come una nuova Itaca, un faro la cui luce è impossibile fuggire. Questa sezione ha un forte sapore collettivo. Nonostante si venga a sapere che alcuni personaggi sono morti, e che altri hanno perso sé stessi, gli incontri e i pensieri dei personaggi restanti, in particolare di uno di essi, esprimono un forte senso comune, capace di universalizzare le esperienze passate e renderle tutte parte di un’unica esperienza, pur rispettando le differenti individualità. La conclusione della vicenda restituisce una precisa circolarità, con un ritorno carico di emozione alla Casa. Il romanzo si esaurisce con la già sperimentata malinconia, e allo stesso tempo dona al lettore un profondo senso di speranza, veicolato dall’allegria di una bambina, Caterina, non immune dalle difficoltà che la vita può proporre, ma allo stesso tempo spontaneamente capace di guardarle con volto affabile.
La scrittura attraverso la quale Cocchi delinea la vicenda evoca una forte semplicità. Lo stile infatti è piano, non conosce eccessive spinte liriche, ma al contempo il lettore ne apprezza la fluidità e la facilità con cui riesce a narrare i fatti, senza risultare sterile. Questo spontaneo effetto è dovuto alla sua capacità di rendere la scrittura scorrevole ed esente da retoriche impennate stilistiche. Viene a crearsi un meccanismo di attesa inconscia, nella quale alcuni elementi ritornano senza che il lettore se ne renda esplicitamente conto. Si ha la sensazione, a tratti, di abbandonare alcuni personaggi, che invece è possibile ritrovare proposti sotto un’altra luce e questo meccanismo narrativo permette di riflettere sulle sfaccettature dell’umano. Cocchi, pur essendo al suo secondo romanzo, si dimostra capace di disegnare abilmente i contorni di una storia che riesce a non risultare scontata, ma che anzi, nella sua semplicità, trova un valore aggiunto. Il lettore ha la possibilità di risvegliare e allo stesso tempo di dar vita a un proprio immaginario, con l’ausilio dell’accorta mano descrittiva e narrativa dell’autore. Cocchi sa restituire l’autenticità dei rapporti che descrive, nel loro evolversi, mutare e sperimentare opposizioni insperate e impensabili. Le emozioni e le azioni del romanzo sono illuminate grazie a un uso lessicale particolarmente riuscito, che sa schivare il melenso, senza impedire l’instaurarsi del processo di empatia e immedesimazione che permette di dare valore a questo romanzo.
“Doveva imparare ad avere fiducia. I bambini della Casa avevano imparato ad avere fiducia, gli disse un giorno Paolo. Ecco perché per lui era facile fare il funambolo. Erano stati costretti ad avere fiducia. Avere fiducia, nella Casa, era una questione di vita o di morte.”