Un affresco storico-psicologico del danese Thomas Vinterberg su pregi e guasti, ipocrisie e tenerezze della generazione post-sessantottina europea. Che trasformò la vita in un rito collettivo dove tutti insieme ci si sposava e ci si tradiva. Ma siamo davvero così lontani dalla realtà di oggi?
Un piccolo esperimento sociale per disquisire sulla complessità delle relazioni. Così il regista danese Thomas Vinterberg orienta il suo sguardo tra le dinamiche dei personaggi nel pacato melodramma La Comune. Ispirandosi ai cambiamenti socio-culturali post-68ini europei, Erik, professore d’architettura di mezz’età (Ulrich Thomsen), si trasferisce nella sua casa d’infanzia assieme alla moglie cronista tv Anna (Trine Dyrholm) e alla figlia adolescente Freja (Martha Sofie Wallstrøm Hansen), riadattandola secondo il modello abitativo della comune. Nuovi inquilini dalle storie più o meno insolite inaugurano uno spirito di convivenza vivace, imperniato sulle conseguenze dell’avventura extra-coniugale che il protagonista intrattiene con la sua giovane studentessa Emma (Helene Reingaard Neumann).
Le vicissitudini sentimentali di Erik e Anna in primo piano, ma anche i meccanismi di convivenza del gruppo di coabitanti, sono i punti forti di una sceneggiatura – calibrata e accorta, messa a punto dal regista grazie alla collaborazione di Tobias Lindholm – che accosta tematiche e ritratti psicologici, presentati al pubblico in uno spazio individuale, ma come tasselli di un’unica composizione. Le scelte dei personaggi, i comportamenti tra loro e le risposte alle situazioni assumono tutti, sia pure in modi via via diversi, un sapore eccentrico: che se da un lato mette duramente allo scoperto la crisi dei rapporti reciproci, dall’altro suggerisce però un sorriso di fronte agli eventi, quasi impercettibile ma che osserva tutto con un’indulgenza leggera, priva di giudizio. Ciò si percepisce subito nel percorso tortuoso di Anna, scatenato dal tradimento del marito. Dopo una reazione apparentemente ridicola, il dolore cerca uno sfogo mescolandosi agli altri membri della comune, prima di trovare la soluzione.
Non si può costruire un racconto di questo tipo senza l’equilibrio delle atmosfere emotive: e il regista, figlio di un’estetica nordica ormai collaudata, si sente a suo agio tra sequenze in cui la drammaticità dell’evento convive con numerosi sprazzi comico-ironici nei dialoghi, nelle caratterizzazioni o negli episodi, trattati tutti con delicatezza e rispetto. Le note melodrammatiche possono allora alleggerirsi e concedono alla malinconia uno strato di serenità forse più accettabile dall’interiorità del pubblico. Si assiste sullo schermo a un’indagine umana profonda, che tralasciando la precisa collocazione temporale del film, si adatta perfettamente anche alla realtà attuale e ai nostri odierni conflitti.
La comune di Vinterberg è un luogo, un’esperienza che in punta di piedi tenta di inserirsi nelle vite degli altri, sia intervenendo con decisione, sia osservando più da lontano. La sua validità è molteplice: è un rifugio, un faro che sorveglia, una sosta o un punto di partenza verso nuove esperienze. Tutto questo preso singolarmente o raggruppato in sequenza. Qualcosa, comunque che attraversa l’esistenza e cerca di soffermarsi sulle sfumature del suo valore.