L’ultimo romanzo di Enrico Brizzi ripercorre gli ultimi quarant’anni della storia italiana attraverso il difficile rapporto di due fratelli
Enrico Brizzi sembra essere parecchio legato al mondo dei social network. I suoi aggiornamenti di stato, con i quali coincidono spesso informazioni utili agli incontri più o meno istituzionali con i suoi lettori, sono frequenti e puntuali e non trattano necessariamente di letteratura: non è raro, infatti, imbattersi in foto delle sue escursioni lungo la via Francigena o in commenti genuinamente sportivi riguardanti il ciclismo o il calcio.
È in questo modo che sono venuto a conoscenza della possibilità di incontrarlo sabato 12 Dicembre, ore 11, in Piazza del Cannone, per delle “letture all’aria aperta tra amici” de Il matrimonio di mio fratello, l’ultima fatica dello scrittore bolognese. Ad attendermi, oltre ad un sole straordinariamente insolito, ho trovato una quindicina di persone strette intorno ad un uomo che ho riconosciuto – a fatica, sinceramente – come Enrico Brizzi, il quale si è presentato calorosamente e mi ha ringraziato di essere venuto.
Tutto molto informale, quasi familiare, come se il suo esordio letterario nel 1994, Jack Frusciante è uscito dal gruppo, non fosse stato uno dei più clamorosi degli ultimi trent’anni di letteratura italiana: considerato ormai come un simbolo degli anni ’90, si tratta di uno degli imprescindibili battesimi letterari a cui un giovane lettore si deve sottoporre e che, vi assicuro, non smette di perdere il suo fascino nemmeno riletto in età più matura.
Tornando al sabato mattina dicembrino in Piazza del Cannone, la lettura di alcuni dei passi più interessanti de Il matrimonio di mio fratello è andata avanti per una piacevolissima ora tra gli sguardi curiosi di chi faceva jogging e di chi portava a spasso il cane in Parco Sempione, dopodiché Brizzi ha firmato qualche copia del romanzo, lasciando il sottoscritto con l’inedita ed entusiastica voglia di salire in metropolitana per avere il tempo e il modo di finirlo.
Il libro tratta la storia di due fratelli nati nella Bologna degli anni ’70, le cui vicende si dipanano su due piani temporali: il primo è quello dell’attualità, in cui Max – il maggiore – sembra essere sparito nel nulla, tra la preoccupazione soffocante della famiglia in toto e il timore per Teo – il minore – che i suoi eccitanti piani al rientro da una settimana di lavoro massacrante vadano in fumo per questo motivo; il secondo è quello in cui Teo ci racconta i trascorsi della famiglia Lombardi, soffermandosi sugli episodi più significativi e sulle evoluzioni che, con il passare degli anni, hanno segnato il rapporto tra i due fratelli.
L’infanzia viene sicuramente ricordata come un periodo segnato dalla presenza immanente di una felicità spensierata e giocosa, da vacanze in Riviera con nonna Ines e dal sovrapporsi quasi eclittico del concetto di amicizia con quello di fratellanza. Max dimostra sin da subito di avere un’intelligenza e una brillantezza ben superiori alla media e si prende cura del fratellino proteggendolo dai terrificanti bulli delle elementari, insegnandogli a boxare e raccontandogli le incredibili storie degli eroi dei suoi libri di avventura preferiti. Tra l’arrivo della piccola Sofia e i successi della Vortex – l’azienda motociclistica dove il padre lavora come avvocato – la vita in casa Lombardi scorre velocemente in queste prime piacevolissime pagine, tra le quali si insinua anche il mistero dei Pesavento – la famiglia della madre –, originari di Trento e caduti in rovina per chissà quale motivo.
A questo primo periodo fanno seguito quelli che lo stesso autore ci annuncia come “gli anni difficili”. Per i due fratelli è il momento cruciale dell’adolescenza e del conseguente e delicatissimo passaggio dalle scuole medie al liceo.
Le attenzioni del signor e della signora Lombardi sono tutte per Max, per i suoi colpi di testa e per la piccola Sofia, così Teo è costretto a vivere il triste destino del mezzano, all’oscuro della cieca e desiderata apprensione dei genitori. Il liceo è il luogo dei primi amori, delle prime delusioni e delle lotte politiche in nome di ideali defunti o sul punto di farlo. Brizzi ci descrive i 13-19 con il realismo giovanile e ruggente di chi ha vissuto appieno quegli anni, il cui ricordo, nell’autore bolognese, deve essere ancora fiammeggiante. Il tutto senza dimenticare di piazzare una dovuta scenografia raffigurante ciò che accade nel Belpaese a cavallo tra gli ’80 e i ’90: dalle stragi della mafia, all’ingresso in politica di Berlusconi, passando per Tangentopoli. Sono questi gli anni in cui l’eclissi è nella sua fase finale, gli anni in cui le profonde differenze di carattere e di visione della vita non possono più essere ignorate; il bisogno di Teo di uscire dalla soffocante ombra del fratello e il marcato individualismo dietro ogni decisione di Max li portano ad una risolutiva e violenta resa dei conti.
Max, a seguito di una tremenda lite, decide di andarsene di casa per trasferirsi in Alto Adige, tra la disperazione della madre e l’indifferenza orgogliosa del padre, e decide di rispondere alla chiamata del servizio militare italiano. Mentre Teo si diploma e decide di iscriversi all’università e frequentare uno stage lavorativo alla Vortex, nella quale verrà assunto.
Questo è uno dei punti del romanzo in cui i due fratelli dimostrano nella maniera più evidente di vivere agli antipodi dello stesso mondo: le scelte estreme, accentratrici e profondamente radicali di Max lo hanno sempre reso refrattario alla disciplina, quasi selvaggio; invece, la docilità di Teo consiste tutta nella ricerca della tranquillità, per sé e per i genitori, e di un lavoro che gli avrebbe concesso pace, benessere e tempo libero a sufficienza per dedicarsi agli svaghi. Oltre a tutto questo, probabilmente, Teo è alla ricerca della tanto agognata approvazione dei genitori, e seguire un sentiero diametralmente opposto a quello del fratello maggiore lo può aiutare in questo senso.
La storia va avanti con il racconto della crisi coniugale fra Giulia e Max: il loro passaggio dalla travolgente passione iniziale, ai primi scricchiolii, passando per la nascita del primo figlio, è benzina che alimenta il fuoco delle riserve di Teo sull’istituzione del matrimonio e sul suo desiderio di rimanere solo. La crisi tra Giulia e Max sembra toccare il punto più alto nel momento in cui questi decide di tentare una scalata invernale sul pakistano Nanga Parbat, che segnerà una svolta negativa e discendente nella parabola di Max. Fra un’invalidità parziale e la fine del suo matrimonio inizia uno dei periodi più duri della sua vita.
Teo, nel frattempo, continua la sua vita tra fiere nelle quali rappresenta la Vortex e vizi che non rientrano necessariamente nella legalità, ma per lui sembra disegnarsi una parabola ascendente, opposta a quella del fratello. Fino a quando queste due parabole si incontreranno di nuovo per unirsi alla fine per testimoniare l’abissale profondità di uno dei legami umani più indissolubili, quello fraterno: un legame la cui cima è spesso vittima di intemperie, ma le cui basi sono solidamente radicate nell’animo.
Il matrimonio di mio fratello è un romanzo su una particolare famiglia come tante, come la mia, come la vostra. È un’altalena di episodi quasi paradigmatici, senza essere banali, e di situazioni assurde che, tuttavia, non sfociano mai nell’inverosimile. Brizzi ci racconta il tutto con bonaria ironia e con la maturità di un autore ormai pienamente affermato; profondo conoscitore della vita, ci offre in queste pagine molte sfaccettature di esistenze comuni e meno comuni, rendendole attraenti allo stesso modo e dimostrando di essere in grado di creare nel lettore un forte senso di appartenenza al romanzo e alle sorti di coloro che lo popolano.
I due piani temporali attraverso i quali è steso il libro, presente e flashback, si alternano in maniera non omogenea, ma equilibrata. L’autore è bravo a creare silenziosamente delle preoccupazioni, degli orizzonti di attesa che non restano mai insoddisfatti e ai quali non rischiamo di non essere abbastanza acclimatati; tramite l’intreccio costante dei due piani, che si uniranno definitivamente solo nel finale, l’inizialmente scoraggiante mole di pagine – quasi cinquecento – finisce per alleggerirsi e per risultare quasi insufficiente: vorremmo sapere di più sulle vite dei due protagonisti, ma, come spesso accade, l’efferato fascino della letteratura non ce lo permette.
È un romanzo sui figli, sui genitori, sui compromessi e sui vincoli che, nonostante il passare degli anni, non sembrano avere una risoluzione e con i quali non si può far altro che imparare a convivere. C’è la signora Lombardi, la madre premurosa e paziente, e c’è il pater familias, orgoglioso e brontolone e che non riesce a rassegnarsi alla pensione. È impossibile non riconoscere in questi due personaggi alcune dei risvolti comuni a tutti i genitori del mondo, così come, a volte, è difficile non poter trovare in loro dei tratti più che singolari. È questo, parlando più in generale, il gioco di Brizzi: il continuo avvicendamento di modelli sicuri e affidabili e di situazioni fortemente atipiche. Il modello e lo stereotipo forniscono infatti il tema su cui lavorare con tranquillità agli imprevedibili assoli dell’esistenza.
Lo scrittore addolcisce le mutevoli pieghe della vita con una spolverata di cauto ottimismo, ma, in verità, aspetta le ultimissime pagine per farlo, confidandoci le sue preoccupazioni sul futuro della sua e della nostra generazione, notevolmente meno fortunate di quella immediatamente precedente – quella dei suoi genitori.
L’amore viene rappresentato in molte delle sue forme: da quello timido ed esordiente tra i corridoi di un liceo, a quello familiare destinato a non finire mai, nonostante tutto; c’è l’amore clamoroso e incontenibile, e c’è quello nascosto e covato con tenerezza per vent’anni.
Il personaggio di Teo, mezzano per antonomasia, oscilla tra l’osservatore disinteressato della vita degli altri – e spesso anche della sua – e l’eroe senza uno scopo: apparentemente immune dalla forza delle passioni che muovono il fratello, si trova spesse volte a vivere una vita in sordina, votata alla limitazione delle ambizioni personali e alla prudenza di chi non è sicuro di poter sbagliare; al contrario, quella di Max è caratterizzata dalla costante ricerca di stimoli, dalla sordità nei confronti delle conseguenze e dalla voglia incondizionata di emergere.
Max e Teo, al netto dei loro valori e dei loro antivalori, sono due facce della stessa medaglia ed per questo che, infine, credo che l’essenza del romanzo di cui sono protagonisti sia il confine tra amicizia e fratellanza, su quanto possa essere doloroso oltrepassare la linea e su come, alle volte, questa risulti inesistente.
Immagine di copertina by Aouni Tahech