La cosa straordinaria di questi racconti, spesso brevissimi, due o tre pagine, è che la Berlin riesce a dare dimensioni di grande personaggio, a tante diverse povere donne, un po’ dignitose o un po’ reiette, e gli episodi qualsiasi delle loro misere vite acquistano la dimensione di storia con un senso
La donna che scriveva racconti è Lucia Berlin; in ogni storia un pezzetto della sua vita inquieta, da bambina malata di scoliosi, a reginetta dell’alta società in Cile, a tossicomane in Messico e ancora cameriera, centralinista, infermiera a New York, insegnante a Berkley, sempre scrivendo, sempre tirando su i quattro figli avuti da tre uomini diversi.
La cosa straordinaria di questi racconti, spesso brevissimi, due o tre pagine, è che la Berlin riesce a dare dimensioni di grande personaggio, a tante diverse povere donne, un po’ dignitose o un po’ reiette, e gli episodi qualsiasi delle loro misere vite acquistano la dimensione di storia con un senso. Un po’ come La donna col cagnolino di Cecov, per intenderci.
Il fatto poi che siano raccontati in prima persona, con una lingua asciutta che registra il suo occhio impietoso sul mondo e insieme l’interesse, la vicinanza con gli uomini e i loro affanni, dà loro una forza non banale, non retorica. La Berlin riesce a dare la sensazione di grande sincerità, assai difficile da raggiungere e, insieme, di grande obiettività.
Un esempio, per capirci meglio. Ne La lavanderia a gettoni di Angel, una donna incontra sempre un vecchio indiano, coi Levis sbiaditi, i lunghi capelli bianchi legati con un filo di tessuto rosso. ‘La cosa strana era che più o meno da un anno ci capitava di trovarci da Angel sempre alla stessa ora. Ma gli orari non erano mai gli stessi. Cioè, io magari ci andavo il lunedì alle sette o il venerdì alle sei e mezza di sera, e lui era già lì’. Scopriamo che anche un’altra volta, anni prima, quando lei era una giovane mamma che andava a lavare i pannolini in lavanderia, aveva fatto amicizia con una vecchietta che poi era morta tutta sola, allora non era più andata in quella lavanderia. Ma la situazione era diversa: la vecchietta era la sua vicina di pianerottolo e le raccontava dei figli che non la venivano a trovare, di quand’era giovane , e di quando viveva a New York.
Qui siamo ad Abuquerque, New Mexico, in un quartiere di chicani e di indiani. Lei – la protagonista-io narrante- alla Lavanderia di Angel c’è capitata per caso. Nella sua zona, intorno al Campus universitario, fuori da tutte le lavanderie c’era fuori il cartello: Qui non si tingono tessuti e lei voleva tingere una coperta. Una volta, passando in macchina dall’altra parte della città, ha visto fuori dalla lavanderia di Angel il cartello: Colora qui i tuoi capi.
Un colpo di fulmine.
Da allora ci va sempre anche se è lontanissima. E qui è cominciata la storia con l’indiano, con lui ‘non ci rivolgemmo la parola per mesi’, finché un giorno lui non le dice: “ Io sono un capotribù”. È un peccato raccontare l’ironia, la compassione, e la passione con cui si sviluppa la conversazione e la storia.
Lucia Berlin, La donna che scriveva racconti, Bollati Boringhieri, pp 462, € 18.50