Vista a Liegi l’opera di Rossini riletta dalla coppia Mariotti/Michieletto come un incanto di memoria e sentimenti. Bene il cast, ottima prova di Salome Jicia
Quasi due imperdonabili anni di ritardo per recuperare una delle produzioni imperdibili dei tempi recenti, grazie all’Opéra Royal de Wallonie che ha richiamato a Liegi La donna del lago che nel 2016 trionfò al Rossini Opera Festival: ancora Michele Mariotti sul podio e Damiano Michieletto a riprendere lo spettacolo, oltre alla bravissima Salome Jicia come protagonista. Del resto non si poteva fare diversamente: serate come questa funzionano perché tutte le parti coinvolte puntano al medesimo obiettivo. Nel caso del duo Mariotti/Michieletto non si aspetta nemmeno che spuntino i «mattutini albori» dell’opera che subito si precipita nell’incanto di memoria e sentimenti con cui hanno riletto il titolo scozzese di Rossini: non solo un’opera seria, ma protoromantica, se non già ai limiti del Tell con dieci anni di anticipo.
Un’opera considerata spesso un “concerto in costume” per il suo squilibrio teatrale, dato che quel poco che deve succedere si vede nel primo atto mentre il secondo, a parte il famoso terzettone, “Alla ragion deh rieda”, è stato definito un lungo, statico “diminuendo drammatico”. Ma è in questa espansione delle forme, delle scene d’insieme, dei cori, dei recitativi accompagnati che si ritrova la riforma rossiniana che influenzerà tutta l’opera successiva dell’Ottocento, Verdi compreso. Questa drammaturgia imponente e non sintetica viene affrontata (e risolta) da Mariotti e Michieletto in modo imprevedibile per chiunque abbia considerato distante, se non addirittura “straniante” in senso brechtiano (vedi Bruno Cagli), la musica e il teatro di Rossini.
Invece è chiaro fin dall’introduzione che questa Donna del lago non è e non deve essere una partitura astratta né cinicamente distaccata dalla realtà, perché le sue dimensioni coincidono con le dilatazioni del vissuto, della mente e del cuore, che non sono additive né in alcun modo matematiche, ma hanno a che fare con gli stati più imprevedibili e inconsci dell’animo. È questa la ragione del flashback iniziale realizzato da Michieletto e sostenuto dalla libertà di fraseggio con cui Mariotti sembra riavvolgere dal podio il nastro della memoria di Elena che, invecchiata, fa scorrere davanti ai nostri occhi le diapositive dei suoi «tanti affetti»: le cronache dei suoi amori e disamori giovanili, quando recitava la parte del luminoso oggetto del desiderio di ben tre pretendenti, tra i quali avrà la meglio Malcom, en travesti. Ma nel cuore di Elena non poteva che restare il re, suggerisce Michieletto, con Mariotti che conferma da una parte scaldando l’atmosfera nel duetto Elena-Uberto “Sei già sposa?”, dall’altra immalinconendo quella del duetto Elena-Malcom “Vivere io non potrò”.
Questi ultimi, raddoppiati in scena da due attori, saranno pure invecchiati insieme nella loro stanzetta ordinata, ma l’amore segreto di Elena non può che rivelarsi ai primi cupi accordi della sua vecchiaia, quando la mente si volge più o meno volontariamente al tempo perduto. Così si spalancano le porte al passato mentre ricompaiono i luoghi della giovinezza, che la magnifica scenografia di Paolo Fantin mostra in rovina, in perfetto accordo “romantico” con l’opera e soprattutto con il poema di Walter Scott da cui è tratta. Gruppo di scozzesi in un interno che nel secondo atto si trasforma in lago vero e proprio, con la natura che invade definitivamente gli spazi scrostati della memoria della protagonista.
Diceva Ronconi che il teatro di Rossini realizza il facsimile di qualcosa che non esiste. Anche secondo Michieletto Rossini sembra l’artefice di un luogo di menzogna più che di verità, almeno in questo spettacolo, forse il migliore, il più struggente realizzato dal regista veneziano. Certo non mancano i riferimenti per la sua lettura, dalla Traviata di Zeffirelli a Titanic, ma non è scontato farlo con Rossini, rivolgendo la sua musica dall’esterno all’interno, un trucco che Michieletto adotta quasi sempre ma che in questo caso sembra non rivelare alcun limite. Tanti i momenti commoventi: dal duetto d’amore con il re con la controfigura agée di Elena che sorveglia l’amore impossibile dei due amanti, allo scambio di coppie e di età per un ultimo ballo tra Elena e Malcom prima del ritorno al futuro del finale: «Ah chi sperar potea tanta felicità» tutta racchiusa nell’illusione un po’ delirante di un ricordo, o forse persino di una fantasia.
La chiarezza teatrale della direzione di Mariotti, alla guida della buona orchestra di Liegi, conferma quanto il direttore pesarese sappia riempire ogni suono di contenuto, senza che un timbro o una dinamica sfuggano al particolare disegno drammaturgico individuato: così certi ritenuti che in qualsiasi altro contesto sarebbero stati fuori stile in questa esecuzione trovano sempre una logica e coerenza inattaccabili, oltre che il giusto colore capace di emozionare.
Ottimo il cast, specialmente Salome Jicia e Marianna Pizzolato, Elena e Malcom, non solo precise ma sempre emotivamente coinvolgenti e coinvolte. Un po’ meno espressivi ma tecnicamente solidissimi i due tenori: Maxim Mironov e Sergey Romanovsky, rispettivamente re Giacomo V/Uberto e il rivale Rodrigo, parte David la prima, parte Nozzari la seconda, ma che sembrano entrambe scritte per David visti gli acuti e le agilità richieste in entrambi i casi (vedi il duello nel secondo atto). Buona interpretazione di Simón Orfila come Douglas.
Fotografie © Opéra Royal de Wallonie-Liège