Da fumetto a musical, la messa in scena di Giorgio Gallione prova a stupire ma si risolve in una trama piatta con interpretazioni che stentano a convincere.
Se sei un Addams devi essere pronto a tutto, anche a nascere fumetto, scoprire da adulto la tua anima di celluloide e arrivare, quasi ottantenne, a calcare i palcoscenici dei teatri, cantando e ballando. È infatti in forma di musical che l’eclettica famiglia newyorkese nata negli anni ‘30 dalla matita di Charles Addams si presenta oggi al pubblico del Teatro della Luna di Milano sulla falsariga del precedente di Broadway del 2009.
Un’operazione meramente commerciale, si potrebbe pensare: una copia nostrana atta a replicare su scala italica i fasti e l’inarrivabile qualità tecnica delle produzioni anglo-americane. Non esattamente. Basta scorrere i crediti dello spettacolo per accorgersi che in questa ‘reincarnazione’ musicale di Morticia, Gomez e compagni non mancano intenzioni di originalità. E non solo alla voce regia, dove compare il nome, squisitamente teatrale, di Giorgio Gallione, ma anche per i costumi e gli adattamenti dei testi: se i primi sono stati affidati all’estro di Antonio Marras e alla competenza della sartoria del Piccolo Teatro di Milano, è a Stefano Benni che sono andati i secondi.
Eppure, nonostante questa attitudine alla contaminazione sofisticata, il festoso carillon impreziosito dalle irresistibili scenografie burtoniane di Guido Fiorato, mostra qua e là qualche cedimento. Un po’ è colpa del testo originale, tanto impacciato nel farsi portatore del j’accuse alla convenzionalità insito nello humor degli Addams, quanto esile nella trama (Mercoledì, innamorata, fa conoscere il fidanzato con annessi genitori alla propria inconsueta famigliola). Un po’ è proprio il ritmo dello spettacolo di Gallione a risultare altalenante, appesantito dall’uso eccessivo delle chiusure a sipario (forse un insistito riferimento alle vignette del New York Times su cui nacquero gli Addams), da coreografie minimali e da canzoni insipide.
Spetta dunque agli interpreti risollevare l’entusiasmo. Pierpaolo Lopatriello (Zio Fester) e Clara Maselli (Alice Beineke) ci riescono più di tutti, rubando la scena alle due star dello spettacolo: il sempre puntuale e tecnicamente ineccepibile Elio e una Geppi Cucciari volonterosa ma ancora in cerca delle sfumature del personaggio.
Il pubblico schiocca le dita meno di quanto vorrebbe: l’impressione è quella di un fuoco d’artificio inesploso, uno spettacolo crisalide che ancora deve sbocciar farfalla. Forse, in questo periodo di rodaggio, si potrebbe fare tesoro di quanto Elio-Gomez confessa a un certo punto alla sua amata Geppi-Morticia: “Ciò che non posseggo in profondità, cara, lo compenso in superficialità”.