“La grande scommessa” di Adam McKay racconta con un supercast (Pitt, Bale, Gosling, Carell) come si specula sulla più terribile crisi economica della storia
Wall Street, 15 settembre 2008. I dipendenti del colosso bancario Lehman Brothers lasciano gli uffici con i loro scatoloni in mano: c’è chi piange, chi urla contro i cronisti, chi si allontana mestamente. In quest’immagine iconica che ha fatto il giro del mondo, nei volti sgomenti di questi uomini che hanno appena perso il lavoro, è racchiusa tutta l’angosciosa gravità di quello che di lì a poco i giornali avrebbero definito il peggiore crack finanziario dal 1929. La grande scommessa di Adam McKay racconta tutto ciò che sta dietro a questa immagine, ovvero quello che è avvenuto prima. Basato sul bestseller del giornalista Michael Lewis, segue le incredibili (ma vere) vicissitudini di un gruppo quantomai eterogeneo di speculatori che, per primi e contro ogni previsione, hanno intuito la crisi imminente del mercato immobiliare e dei mutui subprime, decidendo di trarne un profitto. Un’improbabile Armata Brancaleone che ha scommesso contro il sistema economico americano e, con esso, contro l’intera economia globale. Amaramente, la Storia ci insegna che hanno avuto ragione.
Fosse stato girato negli anni ’70, lo si sarebbe potuto definire un film d’impegno civile (e non a caso uno dei protagonisti cita esplicitamente “l’eroe” Robert Redford: ma siamo nel terzo millennio e la denuncia prende la forma della più indiavolata delle commedie. O forse, visto il soggetto, sarebbe meglio dire delle tragedie. Divisa in tre atti, ciascuno introdotto da una citazione sagace (Mark Twain, Haruki Murakami e uno sboccato barista anonimo) la pellicola alterna con sorprendente freschezza momenti di grande spettacolarità hollywoodiana e inserti mockumentary, gag al limite del demenziale e j’accuse da inchiesta à la Michael Moore, senza perdere un colpo per gli oltre 130 minuti di visione.
Il merito è soprattutto di una sceneggiatura ferrea e folgorante, firmata da Charles Randolph e dal regista Adam McKay, che ha anche il pregio di saper semplificare con divertente arguzia un materiale ostico e complicatissimo: si pensi, per esempio, agli esilaranti siparietti con le starlette Selena Gomez e Margot Robbie che spiegano, immerse in una vasca di schiuma oppure al tavolo di un casinò, i tecnicismi della finanza, tra obbligazioni, tassi d’interesse e derivati sintetici.
Così, in questo spettacolo di (apparente) frizzante leggerezza, impreziosito da un cast all star in stato di grazia, il messaggio arriva in modo più forte e incisivo che da un qualsiasi pamphlet polemico. Nonostante le risate e il tono scanzonato, McKay non rinuncia a ritrarre con chirurgica precisione le perversioni di un capitalismo spericolato e putrescente, un sistema corrotto e malato eppure impossibile da sconfiggere, le cui conseguenze si sono tradotte drammaticamente in posti di lavoro persi, case pignorate, vite spezzate. E l’accenno profetico agli investimenti sull’acqua, in conclusione, mette davvero i brividi. Un grande intrattenimento sulle macerie di una grande tragedia, uno di quei film che solo a Hollywood sanno fare.