Umano, troppo umano: saper ridere e far ridere, con una vignetta che dissacra ogni autoproclamato assoluto. La vendetta dell’oscurantismo contro Charlie Hebdo
L’attacco, a Parigi, di un commando di fondamentalisti islamici alla redazione del giornale satirico Charlie Hebdo, con la conseguente strage di dodici persone, è l’ennesimo atto di guerra che si somma a molti altri che vanno ripetendosi nel mondo con scadenza ormai sempre più ravvicinata. Ma ecco che, in questo caso, nell’immediato rituale di solidarietà alle vittime, “Siamo [diventati] tutti Charlie”. Ma davvero?
Beh sì, ci si premura anche di dire che quella satira era spesso decisamente volgare, che in fondo sono stati un “po’ stupidi” a provocare in questo modo, che non si possono ridicolizzare così i credo religiosi… O, d’altra parte, si fa di questi geniali vignettisti, che autoironicamente si erano definiti “stupidi e cattivi”, degli “eroi della libertà”. Un riconoscimento che li ha immediatamente oscurati dietro una retorica patriottica, altisonante e sacralizzante che era loro decisamente aliena e che, parlandone da vivi, questi incensatori postumi non avrebbero mai usato.
Come sappiamo, infatti, gli attacchi satirici di Charlie Hebdo non avevano di mira solo il fondamentalismo islamista ma, con spirito voltairiano, denunciavano le deformità dei poteri (religioso, politico, economico, sessuale) e di ogni forma di fideismo, anche laico. Non dimentichiamo che oltre a Charb, Cabu, Wolinski, Tignous, lavoravano al giornale anche un economista eterodosso come Bernard Maris e la psicoanalista Elsa Cayat. Ma tutti erano consapevoli che solo attraverso l’esplosione di una risata certe verità – che ci smuovono individualmente e collettivamente a pensare in un altro senso, contromano – possono essere colte al volo, in un lampo, come nei tratti veloci di una vignetta. Perché è questa l’arte insuperabile del comico, quando non si riduce a disimpegnato intrattenimento di massa, e della satira, quando va a buon fine. Il fine di far ridere pensando e di far pensare ridendo, facendo percepire una altrimenti taciuta dimensione della realtà.
Lo strumento della satira, in particolare, o è dissacrante, blasfemo, urticante, irriverente, eccessivo o non è. Mostra sempre la realtà, soprattutto quella che si dà come più paludata e sublime, come verità unica e assoluta, ma anche terribile e orrorifica, in uno specchio deformante fino al punto di coglierne il paradosso, il grottesco, la stupidità, l’impostura che vi si nasconde. Così il profeta Maometto è diventato oggetto di caricatura non di per sé, ma perché i suoi cupi fedeli ad oltranza lo hanno reso caricaturabile, autoproclamandosi killer di Dio, il quale a sua volta da creatore supremo si ritrova mandante di omicidi e annientatore di vita. Il colmo del paradosso e del ridicolo. È questo che ci mostra un’esilarante vignetta pubblicata da Charlie Hebdo nel febbraio del 2006, dopo un attentato subìto. In essa il Profeta, disperato e furioso, con la testa tra le mani esclama: «Com’è duro essere amato da dei coglioni!».
Nel caso della strage di Parigi, ciò che si è voluto annientare non è quindi tanto l’espressione di un generico principio di libertà individuale, bensì la potenza libertaria e dissacrante del riso, di un pensare irridente, ancora più necessario in tempi bui come quelli che stiamo vivendo. Certo, alla fine, la faccia feroce, ottusa, di un umano senza volto, frutto di un’idea fissa, di un’ideologia totalitaria, puro supporto per l’esecuzione di una legge sovrumana, si è vendicata di quella che è, insieme al pensare, la qualità più peculiare dell’umano: saper e poter ridere. Ma, come ci hanno insegnato proprio giornalisti satirici della rivista francese, la comicità si presenta con il carattere dell’invadenza, dell’intruso imprevisto; s’intromette, di sorpresa e sorprendentemente, anche in realtà tragiche o che vogliono paralizzare con il terrore. Non si tinge infatti anche di una macabra comicità l’azione del commando dei due fratelli, di cui un ex rapper? Non sembra un misto di ferocia e stupidità, di orrore e di ridicolo, come in una sequenza di un film di Quentin Tarantino? Dove tipi armati di tutto punto, determinati e addestrati fino alla morte, sbagliano numero civico del loro obiettivo; nella fuga in cui spietatamente freddano un poliziotto, anche lui musulmano poveretto, perdono maldestramente una scarpa, lasciano un documento d’identità…. tutto potrebbe essere di una comicità di fondo se non fosse così mortalmente serio.
Ma poiché ridere è una forma di resistenza contro l’ideologia del terrore e l’oscurantismo, voglio concludere con un aneddoto della vita del pittore Goya, che forse Charlie e gli altri avrebbero apprezzato. Il vescovo di Granada rende un giorno visita a Goya, già vecchio e malato; si ferma di fronte a uno schizzo (quello intitolato Disastro n. 69) che rappresenta uno spettro che esce dalla propria tomba e traccia con mano malferma la parola Nada. Sullo sfondo si agitano fantasmi, uno dei quali regge una bilancia coi due piatti rovesciati, simbolo dell’ingannevole giustizia umana. «Niente, niente. Idea sublime!», esclama il vescovo. «Vanitas vanitatum et omnia vanitas». Goya si solleva allora dal letto in cui giace, scrollando la testa: «Ah! povero Illustrissimo, cosa avete capito! Il mio spettro vuole dire che ha fatto il grande viaggio e che non ha trovato niente là sotto».
Illustrazione di MP5