Un protagonista di rara somiglianza (Massimo Ranieri) porta il regista David Grieco a riproporre le ultime ore di vita del regista-scrittore in chiave di complotto, quasi di thriller. Poteri e protagonisti, grandi e piccoli (Pelosi, Cefis, la Banda della Magliana), danno tutti un contributo a quella morte
La Macchinazione di David Grieco è la deposizione/ricostruzione per immagini degli ultimi tre mesi di vita di Pier Paolo Pasolini. È soprattutto la rappresentazione di un delitto e della sua vittima: un volto segnato da profonde rughe, lo sguardo coperto dagli onnipresenti occhiali scuri, la crudeltà di un fatto nella sua fisicità e nella sua drammaticità. Prima ancora dei titoli di testa, appare su schermo nero una frase dello stesso Pasolini: “Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia”. E Grieco si serve delle parole, del pensiero di quell’intellettuale “scomodo”, per suggerire allo spettatore la chiave di lettura, per capire, interpretare e “digerire” lo spettacolo che sta per iniziare.
È il 1975, la radio annuncia il possibile successo del Partito Comunista Italiano alle imminenti elezioni politiche, e nei quartieri malfamati di Roma comincia a prendere forma un’organizzazione criminale che sarà battezzata, da lì a poco, la Banda della Magliana; Pasolini (Massimo Ranieri), in quei giorni di fermento politico e sociale, sta finendo il montaggio di uno dei suoi film, l’ultimo, che sarà tra i più discussi, Salò o le 120 giornate di Sodoma. Contemporaneamente è impegnato dalla stesura del romanzo Petrolio, che indaga i loschi affari di Eugenio Cefis, Presidente di Eni e Montedison, tra i fondatori della P2, una loggia massonica segreta dal carattere eversivo.
Tra una visita alla Technicolor per decidere il finale di Salò e gli incontri segreti con Giorgio Steimez (Roberto Citran), possibile autore del libro Questo è Cefis, – sparito dagli scaffali di tutte le librerie – Pasolini si vede anche in serata con Pino Pelosi (Alessandro Sardelli), un “pischello” di borgata, un ragazzo di vita che tira avanti con piccoli furti e prostituzione maschile. Saranno proprio gli amici di Pelosi a consegnare Pasolini al suo carnefice, e il ragazzetto, forse ancora a sua insaputa, sta già imparando a memoria, come se fosse la parte di un film, quella confessione che lo decreterà unico colpevole dell’omicidio.
Ma chi ha ucciso davvero Pasolini? Il dramma ha inizio con il furto di alcuni negativi di Salò dagli stabilimenti della Technicolor, ma tutto questo è in realtà solo una trappola, e di lì a poco si materializzerà il vero incubo. Pasolini inizia in prima persona a negoziare con chi lo ha derubato, che chiede un riscatto in denaro, ma quei ladruncoli che incontra sono solo marionette manovrate da un pezzo grosso della malavita, prossimo ai piani alti della politica; siamo di fronte a una macchinazione, appunto, un complotto che mira ad appropriarsi non dei soldi del regista, ma del suo cadavere. E la notte tra il 1 e il 2 novembre del ‘75 Pasolini, in compagnia di Pelosi, parte sulla sua Alfa Romeo verso l’Idroscalo, per concludere la contrattazione e riavere indietro i negativi. Non sa che da quel luogo non farà mai più ritorno.
La Macchinazione nasce dall’esigenza del regista David Grieco di dire ad alta voce, e in maniera diretta, quella verità-non verità sul delitto Pasolini che ha segnato un caso fatto di prove contaminate, testimoni improvvisamente spariti, e colpevoli rimasti ignoti e impuniti negli anni. E il regista si serve dell’occhio della cinepresa per portare sullo schermo la realtà dei fatti attraverso la finzione e raccontare il vero attraverso il verosimile. E per il ruolo di Pasolini ha scelto Massimo Ranieri, che interpreta le inquietudini, le passioni, la vita di un uomo di cultura in maniera davvero sorprendente, anche perché ha con il regista di Accattone un’impressionante somiglianza fisica.
Sin dai titoli di testa Grieco spiega quale sia la sua “macchinazione”: la macchina da presa indaga su alcuni schizzi che raffigurano uomini nudi, ma solo alla fine, quando dai dettagli di braccia, gambe, piedi, organi genitali l’immagine si allarga in un totale, si scopre che quelle “parti” non sono altro che frammenti di un intero disegno, che rappresenta l’aggrovigliarsi di quei corpi, l’intrecciarsi in maniera scomposta, ma armoniosa nelle forme, di quella materia umana. La macchinazione è l’intreccio, il “complotto” che lega elementi apparentemente scollegati tra loro (Pelosi, Cefis, la Banda della Magliana), in realtà tutti parte di un unico disegno. Quello di contribuire, in maniera consapevole e inconsapevole, all’omicidio di Pasolini.
Il regista si serve dei canoni e del ritmo del thriller per creare un rapporto empatico con lo spettatore, e nonostante quest’ultimo conosca già il finale tragico che aspetta il protagonista, resta incollato allo schermo fino alla fine, in attesa di soddisfare, in maniera sadica e cinica, il suo primordiale impulso voyeuristico, cioè spiare chi e come ha ucciso Pasolini, e la messa in scena cruda e cruenta del suo corpo martoriato.
La scelta di alcune inquadrature, come l’uso di plongèe nelle scene in cui Pasolini, seduto alla sua scrivania, rielabora e mette a punto le conclusioni di Petrolio, esprimono il grande senso di oppressione che lo scrittore subisce da parte della società in cui vive, e la cinepresa sembra pesare su di lui come la forza di un destino avverso sospeso sulla sua testa, che lo imprigiona, quasi lo schiaccia. I primissimi piani, i dettagli degli occhi, l’uso della soggettiva nei momenti più drammatici del film, come il finale, esprimono le reazioni emotive del protagonista evocando, quasi a renderlo tangibile, il suo stato psicologico tormentato e irrequieto. Grieco suddivide la narrazione in blocchi drammatici come si trattasse d’una tragedia classica, alterna con ritmo sequenze drammatiche e liriche, e usa un montaggio lineare. Fino alla sequenza finale: in cui, stravolta ogni temporalità, tutto cambia.
La Macchinazione di David Grieco, con Massimo Ranieri, Roberto Citran, Alessandro Sardelli