La moda e la morte: il testo di Magdalena Barile va in scena all’Elfo Puccini fino al 31 ottobre
Non ce ne rendiamo ancora conto, e probabilmente siamo destinati a non comprenderlo, ma di selfie si può morire. Non fisicamente, si capisce, non fra mille atroci spasimi, come usava una volta, ma in modo non meno micidiale e definitivo.
Moda è solamente uno dei molti nomi che possiamo dare a questo personaggio che governa il mondo e gli uomini con inganni e lusinghe. La si può chiamare inconsapevolezza, ignoranza, persino paura della vita, volontà di non capire, di non sapere, di non sentire. E se questa forse è stata la malattia del Novecento, senz’altro fa molte più vittime in questo nuovo secolo. Assistendo a questo spettacolo ci potrà capitare di rimanere sorpresi di fronte a una verità in fondo semplicissima, e cioè che la morte, quella vera, è un principio molto più vitale di quell’altra presenza che riempie la maggior parte delle nostre vite, mentre in realtà le svuota, privandole di ogni significato.
La Moda e la Morte, di Magdalena Barile, si propone fin dal titolo come figlio del leopardiano Dialogo della Moda e della Morte, e di questo riprende i temi di fondo, integrandovi la voce di un altro poeta, John Donne, a cui è affidata la frase fondamentale dello spettacolo: “Dopo un breve sonno, eternamente resteremo svegli, e sarà la Morte a morire”. Nella messa in scena di Aldo Cassano, con Benedetta Cesqui, Natascia Curci, Fabrizio Lombardo e Matthieu Pastore, ci troviamo in un salotto d’altri tempi che in realtà non è altro che la cabina di regia del mondo. Qui vivono la Moda e la Morte, due sorelle che forse non lo sono poi tanto, insieme alla loro nipotina, la Storia, una bambina vivacissima e gioiosamente inconsapevole, soprattutto di sé stessa.
Siamo (si fa per dire) all’inizio del Novecento, e la morte governa incontrastata, mentre la Moda le fa da vassalla, cercando di attirarne l’attenzione e sminuendo l’importanza di quella bambina capricciosa e “socialmente inutile”. Ma la zia Morte la difende dicendo che “deve solo mettersi un po’ a studiare”.
In questo ménage irrompe un uomo, Gavrilo Princip, l’assassino di Sarajevo, colui che dà il pretesto allo scoppiare della Grande Guerra. Da qui gli equilibri cominceranno a mutare, e alla fine, dopo le torri gemelle e la crisi economica, la Morte si ritroverà invecchiatissima, con le forbici ormai arrotondate, e la Moda salirà al trono, avendo modellato un mondo in cui se fai qualcosa peggiori le cose, e allora puoi solo smettere di vivere, che non è come morire, ma è peggio.
Il testo di Magdalena Barile trasmette in maniera molto evidente la necessità di far passare un messaggio, ma quest’urgenza si risolve spesso in un affastellamento di concetti e sentenze, che si susseguono con un ritmo tale da costringere lo spettatore ad assimilare il senso di una metafora mentre già un’altra si presenta alla sua attenzione. In questo modo il testo risulta talvolta, forse in modo involontario, un po’ compiaciuto di sé stesso.
Infatti l’ambigua alleanza, così piena di interessi contrapposti, che si realizza in scena fra la Moda e la Morte, ha un riflesso all’interno degli equilibri stessi dello spettacolo, dove possiamo percepire una lotta, sia a livello testuale che registico e interpretativo, fra il Cosa, il senso ultimo di ciò che si viene a dire, e il Come, il mezzo di trasmissione di tale significato. E allo stesso modo in cui la Moda alla fine prevale sulla Morte, il Come tende in questa messa in scena a ritagliarsi uno spazio troppo grande, attraverso effetti di luce e sonori quasi invasivi, che si sforzano di stupire, quasi di aggredire lo spettatore, e anche in certi luoghi del testo che, volendo essere una “commedia nera”, cerca degli squarci di comicità che spesso risultano degli inserimenti un po’ forzati, estranei al corpo principale.
Ma a parte ciò, lo spettacolo riesce perfettamente nell’obiettivo di farci tremare le vene e i polsi al pensiero che la Morte, la paura più grande che ha dominato da sempre la vita dell’uomo, sia già stata rimpiazzata dalla sua sorella cattiva, la Non – Vita, e che gli Asburgo a cui oggi dovremmo ribellarci, a costo della vita, siano la mancanza di memoria e l’immobilità del tempo, per cui non serve più morire, perché si nasce già morti.
(Foto di Valeria Palermo)
LA MODA E LA MORTE, di Magdalena Barile, al’Elfo Puccini fino al 31 ottobre