Perché dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna e, in questo caso, è sua sorella.
Dal feeling dei fratelli Carmine e Isabella Tundo è nato un anno fa Le nostre guerre perdute, il disco d’esordio dei leccesi La Municipàl. Un album che ha un unico filo conduttore: l’amore. Amore malinconico, amore e odio per la propria terra, amore come fine, come una catastrofe che si abbatte sulla vita delle persone, amore come guerra e somma di battaglie.
Ci rincorriamo nel corso degli anni come fossimo conigli in fuga dai serpenti, che si mangiano a vicenda per non arrendersi allo stato delle cose, non arrendersi agli altri.
Difficile trovare una canzone che spicchi rispetto alle altre, in quanto il disco è coerente dall’inizio alla fine nelle sonorità, nel ritmo incalzante, nell’intreccio delle voci e nel suo essere cinicamente reale. Questo sembrerebbe un difetto per la maggior parte delle persone, ma in verità è la forza che rende questo primo lavoro una piccola perla della musica indipendente italiana. I testi di Carmine assomigliano molto a dei componimenti poetici che potrebbero essere letti e recitati su un palco teatrale, separati dalla musica, e suscitare comunque una flotta di emozioni.
Esplosioni di molecole
ci lasceranno fuori
e nei Secoli dei Secoli
i nostri scheletri da soli
abbracceranno l’aria per
estinguere la sete
che ci ha bucato il ventre qui
sull’orlo della quiete
e cerco di salvarti il mondo ma
vai in pasto agli avvoltoi
e chiedo asilo ai miei nemici
spero tu possa capire, amore.
Isabella è invece la dolcezza, il mitigare la violenza di testi colmi di immagini potenti e allo stesso tempo l’aumentare quella linea curva nostalgica e insoddisfatta che percorre le canzoni dall’inizio alla fine. Non a caso è la sua voce ad aprire l’album con un sussurrato “La mia città mi mette l’ansia” e a chiuderlo con un rassegnato e travolgente “Se potessi ti salverei dalla fine del mondo”. Due frasi che racchiudono in sintesi il significato di tutto il disco.
Proprio con Isabella abbiamo fatto una chiacchierata e parlato delle sue guerre perdute, del rapporto con il fratello e dei progetti futuri (ma neanche troppo) dei La Municipàl.
Com’è nato il titolo dell’album? A 25 anni senti di avere già alle spalle una lunga lista di guerre perdute?
Il titolo Le nostre guerre perdute nasce da quel filo conduttore che lega un po’ tutti i brani dell’album, nato da un’esigenza di non autocensurarsi e raccontarsi liberamente. Ciascuno dei brani può considerarsi un bollettino di guerra, una guerra interiore in cui ogni storia è incatenata all’altra in un conflitto apertamente dichiarato. Per quel che mi riguarda, io credo che la mia guerra personale sia ancora aperta, più che di guerre perdute parlerei di battaglie, poche ma significative, la più dura quella contro me stessa.
Tu sei un'”universitaria fuori sede”, citando una vostra canzone. Riconosci spesso anche la tua vita nei testi di Carmine? In quale più ti identifichi?
Io credo che una canzone sia come un abito che prende una forma diversa a seconda di chi lo veste, ciascuno di noi le attribuisce un valore diverso a seconda della propria esperienza personale. In ogni pezzo ritrovo una parte di me, del mio vissuto e al tempo stesso ritrovo mio fratello che si racconta, e questo mi consente di viverlo a pieno ed entrare in sinergia con lui. Il mercante di occhi è senza dubbio quello in cui più mi identifico. Il testo è pieno di contraddizioni, un po’ come me in fondo, mentre nella musica ritrovo un armonia di fondo che mi salva tutte le volte.
Raccontate storie di provincia, ma avete avuto successo anche in città come Milano e Roma. Come te lo spieghi?
Per noi tutto questo è stato davvero inaspettato. Vedere la gente cantare le canzoni con la nostra stessa intensità, che sia a Lecce piuttosto che a Torino o Milano, ti tocca nel profondo. Da una parte me lo spiego nel fatto che nelle grandi città spesso abbiamo di fronte a noi un pubblico numeroso di fuori sede che si identificano nelle nostre canzoni di amore e allo stesso tempo di denuncia nei confronti della provincia dalla quale spesso si è costretti ad andar via. Dall’altra credo che la gente sia sempre più alla ricerca di genuinità e che la forza del progetto stia proprio nell’aver raccontato eventi personali secondo un flusso turbolento di coscienza in assenza di censure.
L’intento dichiarato della tua voce è quello di portare dolcezza e leggerezza. Ne Il mercante di occhi arriva ad assumere invece una connotazione molto sensuale, per non dire sessuale. Che effetto fa cantarla con tuo fratello?
È una confessione consapevole di un vissuto personale, un mettersi a nudo lasciando trasparire le emozioni che non sempre hanno una connotazione positiva e tutto questo diventa nel cantarla con Carmine una ricerca di aiuto, di complicità, di un affetto vero che solo chi è sangue del tuo sangue ti può dare.
Tre persone della scena musicale attuale che salveresti dalla fine del mondo e perché?
Paolo Benvegnù, Brunori Sas, Niccolò Fabi. È una scelta “di pancia”.
Progetti futuri? Il secondo album è già in cantiere?
Sì, il secondo album è in fase di elaborazione e stiamo organizzando il tour estivo con un po’ di date in giro per l’Italia. In più in estate ci saranno delle belle sorprese, stay tuned!