Tante preziose segnalazioni non scontate per tener desta la memoria. Da Fischia il vento dei Gufi, a Bella Ciao in versione swing degli Hot Club de Frank
Un anniversario della Resistenza con la destra vicina al 40 per cento. E, dentro la destra, con un fascismo, a volte con un nazismo che alzano la cresta, spesso mimetizzati da baldanzosità leghista. Sindaci, dalle nostre parti, che allestiscono campi delle SS davanti al municipio il 25 aprile, o che ingiungono ai manifestanti di marciare sui marciapiedi perché “non hanno vigili” che vigilino. Una brutta musica. Che fa venire voglia di ascoltarne altra, musica militante.
A quest’ora, in quest’era (speriamo non ancora in Questura), torna particolarmente gradita la notizia che Ala Bianca, la benemerita etichetta di Toni Verona che nel tempo ha riproposto il meglio del Club Tenco e di Enzo Jannacci, e che da quasi vent’anni ha rilevato il catalogo dei gloriosi Dischi del Sole, baluardo della canzone popolare e politica, ristampa dodici album storici. Ivan Della Mea (Fiaba grande e Sudadio Giudabestia), Giovanna Marini (I treni per Reggio Calabria), la Caterina Bueno cantata da De Gregori (La veglia), Giovanna Daffini (Amore mio non piangere), il Gruppo Operaio ‘E Zezi (Tammurriata dell’Alfasud). E poi canti anarchici e socialisti vecchi e nuovi, inni giacobini e garibaldini, Le stagioni degli anni ’70 e il Ci ragiono e canto di Dario Fo. Mancano i canti della Resistenza, cerco di rimediare con una playlist che fonde vecchio e nuovo, innodia e autorialità.
Se il cielo fosse bianco di carta (Zuf de Zur)
Una bellissima canzone scritta negli anni ’60 da Ivan Della Mea. Il testo, che rievoca i campi di concentramento e la Shoah, è adattato da una delle Lettere dei condannati a morte della Resistenza europea. Gli Zuf de Zur, ottimo gruppo friulano di folk contaminato attivo dal 1994, l’hanno incisa nel 2004 nell’album Partigiani.
Bella ciao (Mauro Palmas)
Una versione swingante e jazzata, gioiosa come deve essere il 25 aprile, della più classica delle canzoni della Resistenza. L’album è A volte ritornano. Cento anni di speranze nel canzoniere popolare italiano (1999) di Mauro Palmas, eccellente musicista e liutaio cagliaritano, storico collaboratore di Elena Ledda. Qui Palmas suona mandole e mandoloncello, al clarinetto c’è Gabriele Mirabassi, alla fisarmonica Serge Desaunay, al basso Silvano Lobina, alla chitarra e al canto Maurizio Geri, che fa parte della Banditaliana di Riccardo Tesi e, nel tempo libero, si diverte con uno scintillante swingtet.
Guardali negli occhi (CSI)
Loro sono i Csi, gruppo storico dell’alt-rock italiano, eredi dei Cccp-Fedeli alla Linea. Nomi importanti della nostra musica: Giovanni Lindo Ferretti, Massimo Zamboni, Gianni Maroccolo, Ginevra Di Marco, Marco Parente, Giorgio Canali, Francesco Magnelli. La canzone è contenuta nell’album collettivo Materiale resistente, pubblicato nel 1995 a cinquant’anni dalla Liberazione.
Siamo i ribelli della montagna (Ustmamò)
Ancora da Materiale resistente, un brano celebre della Resistenza ligure, meglio noto come Dalle belle città. Mi è particolarmente caro, oltre che per la sua bellezza (provate ad ascoltarlo anche cantato da Maurizio Geri, nell’album di Mauro Palmas) perché lo scrisse il mio quasi omonimo e comandante delle Brigate Garibaldi Emilio Casalini “Cini” (1920-1944). Catturato e fucilato dai nazisti, disse prima di morire: «Sono un ufficiale della scuola italiana e non sarà mai che io mi arrenda al nemico», riscattando così molti militari felloni.
Porrajmos (Alessio Lega)
Alessio Lega, pugliese e anarchico, è il grande erede del canto politico italiano che conobbe il suo periodo migliore fra gli anni ’60 e gli ’80 del secolo scorso. Questa canzone intensa, carica di veemente poesia, è tratta da Mare nero (2017), il suo ultimo album che consiglio di ascoltare per intero. Porrajmos, il “grande divoramento”, è l’equivalente rom della Shoah: l’annientamento degli zingari ad opera dei nazisti, che fece 500mila vittime.
Le Fosse Ardeatine (Giovanna Marini)
A me fa venire i brividi ogni volta che la ascolto, ed è questo l’effetto che deve fare: scuotere dal torpore, chiamare il male e l’orrore per nome. E ricordare le vittime. I 335 civili e militari inermi uccisi per rappresaglia il 24 marzo 1944 a Roma, alle Fosse Ardeatine, dai nazisti comandati da Herbert Kappler. La canzone popolare di cui la grandissima Giovanna Marini è tra le massime interpreti diventa qui teso oratorio civile. Su disco si può ascoltare in Buongiorno e buonasera (2003), prodotto e pubblicato da Francesco De Gregori.
Il cuoco di Salò (Francesco De Gregori)
Ed eccolo, De Gregori. Di fascismo aveva già cantato quasi agli esordi con Le storie di ieri, una delle poche canzoni non sue che Fabrizio De André aveva accettato di interpretare. Ci ritorna con la dolente Il cuoco di Salò, che racconta gli ultimi giorni del fascismo e la tragica illusione di una generazione che muore dalla parte sbagliata, affidando la narrazione all’occhio compassionevole ma estraneo di un cuoco. L’album è il più che notevole e da me molto amato Amore nel pomeriggio del 2001, l’arrangiamento è di Franco Battiato.
Dante Di Nanni (Stormy Six)
Un partigiano diciannovenne di Torino, ucciso dai fascisti dopo un lungo assedio al quale tiene testa da solo, senza arrendersi. L’album è lo storico, epocale Un biglietto del tram, pubblicato dai milanesi Stormy Six nel 1975, con la Resistenza che si fa per la prima volta progressive rock, due inediti violini in formazione e la voce tagliente di Umberto Fiori, emerso nel tempo come una delle voci poetiche più significative del secondo ‘900.
Eurialo e Niso (Massimo Bubola)
I due amici cantati da Virgilio diventano partigiani in questa ballata rock del veronese Mauro Bubola, storico partner di Fabrizio De André, portata al successo dai marchigiani Gang.
«Il testo di questa ballata l’ho scritto» ha raccontato Bubola «per una promessa fatta a mio padre, comandante a soli 22 anni della Brigata partigiana “Adige” di Giustizia e Libertà. Visto il suo amore per la cultura classica e per Virgilio in particolare, ho cercato così di collegare idealmente questa storia di amore e di guerra, ambientata nel 1943, con l’episodio dell’Eneide in cui i due soldati troiani Eurialo e Niso vanno a compiere l’azione notturna nel campo dei greci».
Se non ci ammazza i crucchi/ Fischia il vento (I Gufi)
I Gufi (Nanni Svampa, Lino Patruno, Roberto Brivio e Gianni Magni) furono negli anni ’60 la punta di diamante di un cabaret colto e mordace, con incursioni nel popolare e nella satira, nel macabro e nella storia mandata a gambe all’aria, nella tradizione lombarda e nella canzone d’autore. Nel 1965 incisero Due secoli di Resistenza, e io dall’album ho scelto due canzoni. Una, Fischia il vento, è un classico, l’altra (Se non ci ammazza i crucchi) l’ha raccolta Dario Fo nella zona del Luinese, e a naso, visti gli umori beffardi che circolano nel testo, potrebbe anche averla scritta lui.
Hanno crocifisso Giovanni (Marlene Kuntz)
Ancora da Materiale resistente, 1995, un brano originale dei piemontesi Marlene Kuntz, che erano il gruppo italiano prediletto da mia figlia Paola quand’era al liceo (gli stranieri erano i Pearl Jam di Eddie Vedder).
All you fascists (Modena City Ramblers e Billy Bragg)
«Voglio dirvelo, fascisti, rimarrete sorpresi/ La gente in tutto il mondo si sta organizzando/ Siete destinati a perdere/ Voi fascisti perderete». Fosse vero… I Modena City Ramblers con l’ex punk e laburista inglese Billy Bragg in una canzone stradaiola, militante ed eccitante. L’album è Appunti partigiani del 2005.
Festa d’aprile (Yo Yo Mundi)
Grande gruppo di combat folk-rock, gli Yo Yo Mundi di Acqui Terme. Dallo spettacolo (con relativo album live) Resistenza del 2005, Festa d’aprile scritta nel 1948 dai torinesi Sergio Liberovici, negli anni ’50 animatore dell’avventura di Cantacronache, e Franco Antonicelli, antifascista e senatore della Sinistra Indipendente.
Il primo furto non si scorda mai (Enzo Jannacci)
Il fascismo for dummies in una canzone esilarante, frutto saporito della pregiata coppia Dario Fo – Enzo Jannacci. I versi iniziali mettono alla berlina “Il primo amore non si scorda mai/ un vecchio stornello me l’ha detto” del fascistissimo Carlo Buti. L’album è Enzo Jannacci in teatro del 1965 con le note di copertina di Luciano Bianciardi. Quelli erano tempi…
Ponte Salario (Flavio Giurato)
Cantautore controcorrente e appartato, il romano Flavio Giurato mi delizia dai tempi dell’album di culto Il tuffatore, anno di grazia 1982. Nell’ultimo, e rimarchevole, Le promesse del mondo (2017), Giurato ricostruisce un episodio poco noto della Resistenza romana: lo studente dodicenne Ugo Forno, che arrivati gli americani nella capitale raduna un gruppo di sei coetanei e con loro apre il fuoco contro i tedeschi che stanno minando il ponte sull’Aniene. Ugo viene ucciso, avrà la medaglia d’oro alla memoria. È bello che un cantautore, Giurato, e un giornalista, il mio amico Paolo Brogi, lo ricordino ancora.
La ballata dell’ex (Sergio Endrigo)
La Resistenza tradita e la restaurazione democristiana in una canzone scritta nel 1966 dal grande Sergio Endrigo e allora censurata. Diamo la parola a lui: «È nata dalle letture di Calvino, Pratolini, il Cassola della Ragazza di Bube. Questa canzone esprime l’amarezza di quanti avevano creduto nella grande rivoluzione che doveva avvenire nel dopoguerra e che ovviamente non c’è stata.
Questo brano è stato censurato dalla Presidenza del Consiglio per i versi: “Se il tempo è galantuomo io son figlio di nessuno/ Vent’anni son passati e il nemico è sempre là”. Il biglietto autografo di censura l’ho visto con i miei occhi. La Fonit-Cetra allora era legata all’Iri e quindi probabilmente doveva dar conto a qualcuno che stava in alto, a cui questa canzone dava fastidio. Fatto sta che il verso incriminato compare nello spartito ed è sostituito dal fischio nel disco». Nel secondo link, la versione non censurata.
Pietà l’è morta (Ginevra Di Marco)
Testo di Nuto Revelli, musica di un canto degli alpini della seconda guerra mondiale, Sul ponte di Perati. Qui reinventata dalla fiorentina Ginevra Di Marco, luminosa solista neofolk dopo la militanza nei Csi. Su disco si trova in Appunti partigiani dei Modena City Ramblers.
Oltre il ponte (Grazia Di Michele)
Una canzone di Italo Calvino e Sergio Liberovici, datata 1959, nel repertorio del Cantacronache. Ci si respirano l’atmosfera, e gli ideali giovanili, del Sentiero di nidi di ragno e di Ultimo viene il corvo. Questa versione di Grazia Di Michele è tratta da uno spettacolo (e album) per l’Unicef su testi di Calvino, Chiamalavita del 2005.
Auschwitz (Francesco Guccini)
La scrisse un Francesco Guccini non ancora iscritto alla Siae nel 1966, prima di esordire come cantautore. La incise nello stesso anno, firmandola Lunero-Vandelli, l’Equipe 84. E il beat italiano diventò di colpo adulto.
Bella ciao (Hot Club de Frank)
Conclusione swing con un quartetto olandese attivo dal 1989 (il nome strizza l’occhio all’Hot Club de France in cui, il 1934 al 1948, suonarono Django Reinhardt e Stéphane Grappelli). Il disco è Bella ciao del 2009. Non esportiamo soltanto la pizza.