Che cosa passa questa settimana al convento delle sette note? Richard Galliano al Conservatorio e lo Stato Sociale al Carroponte, ma la Scala la fa da padrona col Fierrabras di Schubert diretto da Harding e il Concerto per Milano con Riccardo Chailly sul podio. Alla Fondazione Prada l’inglese Craig Richards porta tra gli altri l’etiope Mulatu Astatke. Disco della settimana “Privé” degli Avion Travel, che ritornano ad incidere dopo 15 lunghi anni
Scuola Milanese con Fava, Orselli e Sanfilippo
A scuola da Carlo Fava, Folco Orselli e Claudio Sanfilippo. Dal 2013, prima alla Salumeria della Musica e adesso al Garage Moulinski di via Pacinotti, i tre musicisti con il format “Scuola milanese” la cantano e la contano, spesso con ospiti. Il racconto di Milano giovedì 7 giugno, ore 21, diventa racconto del ’68, del ’77 e dintorni. L’occasione è la presentazione del libro Ma chi ha detto che non c’è di Gianfranco Manfredi, che rievoca quegli anni. La canzone omonima, che non ascoltavo da un po’, fa uno strano effetto fra il trucido dei versi e il languido dei coretti pop. Ma per fortuna Ricky Gianco e Manfredi hanno scritto anche molto altro, prendendo di mira i luoghi comuni del nostro estremismo di allora e sostituendo agli slogan un’ironia affilata.
Lo Stato Sociale al Carroponte
Ciao mamma, esco, vado a fare sold out. Lo cantano loro, i cinque bolognesi in pista dal 2009 ed esplosi di recente, ed è vero. A Sanremo, con Una vita in vacanza, sono arrivati secondi e li hanno acclamati come i vincitori morali, anche se cantavano stonati e non erano poi così irresistibili come strumentisti. Merito di canzoni che dicono ballando cose serie o, se preferite, che scherzano sul baratro dando fiato alla frustrazione dei loro coetanei. Musica che era indie e sta diventando pop, ma va bene così. E venerdì 8 giugno, alle 21.30, li si ascolta sciorinare i loro pezzi forti al Carroponte.
Ethno-jazz, percussioni giapponesi e dj visionari
La rassegna si intitola I want to like you but I find it difficult e la organizza sino al 28 settembre, alla Fondazione Prada, il dj pittore e fotografo inglese Craig Richards. L’idea è quella di esplorare generi e sottogeneri lontani dal mainstream: elettronica ed ethno-jazz, minimal e afrobeat. «Il mio ruolo di curatore» dice Richards «è di presentare le mie scoperte in questo campo, sia passate che attuali, in una sequenza che porti ispirazione, divertimento, mistero e un potenziale disturbo». Si comincia venerdì 8 giugno, dalle 19 alle 24, con tre set. Apre l’etiope Mulatu Astatke, classe 1943, il primo diplomato africano al Berklee College of Music, un lungo cursus honorum (ha collaborato anche con Duke Ellington) che lo ha portato a farsi alfiere di un ethno-jazz dove sonorità latine ed etiopiche si incontrano. Si prosegue con la percussionista giapponese Midori Takada, attiva dal 1978 e di casa in Europa, e si conclude con il dj uruguayano Nicolas Lutz che, assieme a E/Tape, fa parte del berlinese Club der Visionaire.
Il “Fierrabras” di Schubert alla Scala
Cala il sipario sull’Aida di Verdi, nell’allestimento storico di Zeffirelli, e sabato 9 giugno alla Scala va in scena il Fierrabras di Franz Schubert. Terrà il cartellone, con altre cinque repliche, sino alla fine del mese. Una prima assoluta, perché l’opera non è mai stata rappresentata in Italia e poco anche all’estero. Alla sua rivalutazione recente hanno contribuito studiosi italiani come Fedele d’Amico e soprattutto Claudio Abbado, che spinto da un estimatore come Maurizio Pollini ne offrì un’esecuzione smagliante al Wiener Festwochen del 1988. Storia di passioni e di battaglie altomedievali, questo Fierrabras: che sullo sfondo della guerra fra Carlo Magno e i Mori di Spagna vede amori contrastati e infine coronati, conversioni (al cristianesimo, ovvio) e un eroe buono, Fierrabras, che si sacrifica per il bene comune. La Scala importa per l’occasione l’allestimento andato in scena a Salisburgo nel 2014. Con Peter Stein alla regia, Daniel Harding sul podio e un bel cast: Dorothea Roschmann, Arnett Fritsch, Markus Werba e soprattutto Bernard Richter, che proprio alla Scala è stato un Don Giovanni assai applaudito nel 2017.
Concerto per Milano in Piazza Duomo
Russo il programma e russo il pianista per la sesta edizione del Concerto per Milano. Domenica 10 giugno alle 21.30 in Piazza Duomo, diretta da Riccardo Chailly, la Filarmonica della Scala affronterà in Mondovisione il grandioso (e di sicuro effetto) Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 di Piotr Ilic Ciaikovskij, per poi passare ai Quadri di un’esposizione di Modest Musorgskij nell’orchestrazione di Ravel. Pianista ospite sarà il russo Denis Metsuev (di Irkutsk, Siberia: se non ho dimenticato le mie letture infantili ci transitava Michele Strogoff corriere dello zar), classe 1975, di tecnica prodigiosa, grande impeto (e per i miei gusti forse un po’ troppo rotondo nelle sonorità), e con la sua brava leggenda di enfant prodige che a tre anni sapeva riprodurre con un dito solo, sul pianoforte di casa, le melodie ascoltate in tv.
Richard Galliano un po’ classico e un po’ no
Adoro la fisarmonica e amo Richard Galliano, classe 1950, fisarmonicista francese di origine italiana. Tra i pochi che abbia osato far diventare la fisarmonica strumento protagonista del jazz (da noi ricordo, in tempi lontani, Gorni Kramer e Wolmer Beltrami e, in anni più recenti, Antonello Salis e Gianni Coscia). Assieme all’argentino Dino Saluzzi, l’unico a non sfigurare di fronte al genio di Astor Piazzolla, che Galliano considera il suo maestro, assieme al trombettista Clifford Brown. E come l’argentino “meticciava” il tango, altrettanto Galliano ha fatto con il bal musette. Da qualche anno, però, il nostro ha preso a incidere dischi per la Deutsche Grammophon in cui affronta Vivaldi (Le quattro stagioni), Mozart e Bach. Niente male, se devo dire, di recente altri fisarmonicisti si sono cimentati con Paganini e Monteverdi ma, pensiero irriverente, un personaggio di Jannacci prende a ronzarmi in testa. Ve la ricordate Veronica, che “amavi sol la musica sinfonica/ ma la suonavi con la fisarmonica/ Veronica, perché?” Un Galliano un po’ classico e un po’ no si esibisce lunedì 11 giugno, ore 20.30, assieme alla Camerata Ducale, al Conservatorio. In programma Bach e Vivaldi, Gardel e Piazzolla, e alcune deliziose composizioni dello stesso Galliano.
Gli Avion Travel, finalmente
Quindici anni sono lunghi. Tanti ne sono passati dal 2003 quando gli Avion Travel incisero Poco mossi gli altri bacini. Poi molti progetti paralleli: il contrabbassista Ferruccio Spinetti a spendersi con Musica Nuda assieme a Petra Magoni, Mario Tronco a dirigere la straordinaria Orchestra di Piazza Vittorio, gli altri a coltivare la voglia di solismo. Ma avevano continuato a scrivere, soli o assieme, avevano anche provato a tornare (nel 2008, a Sanremo, con Se veramente Dio esisti, e non li ammisero, chissà chi seleziona i selezionatori, la canzone la interpretò comunque Fiorella Mannoia) e avevano ripreso a suonare assieme nel 2014. Il disco del ritorno, Privé, era entrato in lavorazione un anno fa, proprio il giorno il cui il grande Fausto Mesolella, il chitarrista della “piccola orchestra”, morì, e si sente nelle tracce la voglia di elaborare il lutto. Lui nel disco c’è: suona e canta in Caro maestro, firma altre tre canzoni, tra le quali quella scartata a Sanremo. Arrangiato da Mario Tronco, Privé è più diretto dei lavori precedenti e punta sul potere della parola (“Una ripartenza” lo definisce Peppe Servillo), ma è un’opera in bilico: tra il dolce e l’amaro, il leggero e il cupo e, musicalmente, fra il calore e la freddezza. È tutt’altro che una debolezza, anzi un punto di forza per quest’ album che esige intimità e ripetuti ascolti. Alcune delle canzoni si sono già sentite: della Mannoia abbiamo detto, A me gli occhi era in un album del 2002 di Patty Pravo e Come si canta una domanda (nel video Servillo fa il madamino al Castello di Rivoli, ammiccando all’Arca russa di Sokurov) l’ha cantata Petra Magoni, ma qui è come irrobustita. Gran ritorno.