La musica che gira intorno/ 31

In Musica

Contemporanea, folk, hip hop, rock, ritmi caraibici, jazz, psichedelia, elettronica: i nuovi album, le ristampe, gli eventi musicali significativi

L’APPUNTAMENTO
Omaggio a Sylvano Bussotti
Talento poliedrico il fiorentino Sylvano Bussotti, che a 86 anni non finisce di stupire. Emerso con le avanguardie del secondo dopoguerra (Boulez, Cage, i seminari di Darmstadt) che combinerà con il tardo romanticismo (Mahler è tra i suoi prediletti), affascinato dall’alea e dall’indeterminazione, Bussotti è tante cose: compositore, regista, attore, pittore, scrittore. Gli rende omaggio, con giornate di studio ed esecuzioni pubbliche, fino al 16 settembre, l’associazione NoMus al Museo del Novecento. Mercoledì 24 alle ore 20, al Conservatorio Verdi, si proietta il film Rara, con sonorizzazione dal vivo del Mdi Ensemble.

 

Daymé Arocena – La rumba me llamo yo/ Maybe tomorrow/ Mambo na’ mà
Scordatevi il glorioso Buena Vista Social Club: la nuova meraviglia della musica cubana è una giovane ed esplosiva cantante dell’Avana, Daymé Arocena. Due album all’attivo con questo Cubafonia (***1/2), scoperta dagli inglesi e di casa negli Stati Uniti, la 25enne musicista ha una voce scura e impetuosa, venera Nina Simone e mescola le sonorità sorgive (son, mambo, rumba) con il soul e il jazz. Può bastare? Se ascoltate il disco vi accorgerete subito che basta eccome.

 

Austra – We were alive/ Future politics/ Utopia/ Gaia
Possono convivere visioni di un futuro che ha abdicato al comune senso di umanità, scenari cupi e alienati come quelli della serie tv Black mirror, con appelli all’impegno e a una nuova solidarietà e, soprattutto, con un synthpop asciutto e nervoso, elegante e di pronto impatto? Convivono senza fatica in Future politics (***1/2), terzo lavoro della band canadese Austra capitanata dalla cantante, autrice e produttrice Katie Stelmanis. Lavoro notevole e sfaccettato, con appena una punta di freddezza.


 

Eliza Carthy – The fitter’s song/ You know me/ I wish that the wars were all over/ Sunny afternoon
Folk non purista per una grande figlia d’arte. Lei è Eliza Carthy, nata nel 1975 a Scarborough dove si teneva una celebre fiera cantata dal folk e dal pop (avete mai sentito Scarborough Fair, almeno nella versione di Simon & Garfunkel?), cantante e violinista precoce, figlia di due leggende della musica tradizionale inglese come Martin Carthy e Norma Waterson. Dopo molti album all’attivo da sola o con diverse formazioni, Eliza ha allestito la Wayward Band, un supergruppo di dodici elementi con tanto di fiati. Big machine (***1/2) ondeggia fra la tradizione rivisitata (I wish that the wars were all over, Great Grey Back, Love lane), gli omaggi ai grandi (la ballata industriale The fitter’s song di Ewan McColl, Hug you like a mountain di Rory McLeod) e le composizioni originali come You know me, atto d’accusa alla politica del governo inglese contro i rifugiati. Nell’edizione deluxe dell’album anche una curiosa e particolarissima versione folksy di Sunny afternoon dei Kinks.

 

Gorillaz – Ascension/ Momentz/ Charger/ Ticker tape
Dispersivo, qua e là slabbrato, sovrabbondante nei brani (14 nel disco normale, 26 nella versione deluxe) e negli ospiti chiamati a raccolta (io ne ho contati 26, pochissimi i brani che ne sono privi) Humanz (***1/2) è il quinto album dei Gorillaz, la band virtuale e fumettosa di Damon Albarn, già deus ex machina dei Blur. A sei anni di distanza dal precedente The fall, Albarn mette in scena un party prima dell’apocalisse, fuor di metafora prima della vittoria di Trump, pescando a piene mani nel vecchio e nuovo hip-hop (Vince Staples, De La Soul, D.R.A.M., Pusha-T), nella house e nel garage, nel sound giamaicano (Popcaan), nel vecchio e nuovo soul (la pantera Grace Jones, Mavis Staples, Anthony Hamilton) e nel vecchio e nuovo pop (Carly Simon, Rag ‘n’ Bone Man). Variopinto, caleidoscopico, pieno di idee. A sorpresa, c’è anche l’arcinemico Noel Gallagher degli Oasis ai cori in We got the power.


 

Thurston Moore – Cusp/ Turn on/ Smoke of dreams
Terzo album solista per Thurston Moore, mente e cuore dei grandissimi Sonic Youth, l’uomo che ha elevato il rumore a forma d’arte. Sciolta di fatto la band nel 2011 dopo il divorzio dalla compagna di vita e di musica Kim Gordon (chi ha voglia di rivivere l’avventura Sonic dal punto di vista di lei può leggere Girl in a band, in Italia lo ha pubblicato Minimum Fax), Thurston Moore se n’è andato a vivere a Londra con la nuova compagna Eva Prinz, una trentenne editor d’arte. Tornando in America da attivista e da musicista (ha fatto campagna per Bernie Sanders, chiama il nuovo presidente con lo sprezzante “The Dump”), e mettendo in piedi una nuova band con il batterista dei Sonic Steve Shelley, con Deb Googe dei My Bloody Valentine al basso e con James Sedwards alla chitarra. Il nuovo album Rock n roll consciousness (****) non abbassa la guardia: cinque brani lunghi o molto lunghi (fra i sei e gli ultimi minuti), cavalcate psichedeliche sospese tra furore e dolcezze, tra caos e armonia. Grande, ancora e sempre.

 

Ondatrópica – Hummingbird/ Lazalypso/ Caldo parao/ Cumbia bucanero
Con l’estate alle porte, se proprio volete ritmi latini lasciate perdere Alvaro Soler e le popstar da spiaggia e andate ai suoni originali. Energico e solare, eclettico ed esuberante, privo di dolcezze e languori eccessivi è Baile bucanero (***1/2) di Ondatrópica. Loro sono un ensemble colombiano di cumbia di formazione variabile ed espansa, fra i 35 e i 40 membri. E inglobano nella loro musica festosa aromi caraibici (Trinidad, Cuba, Giamaica) e sprazzi di elettronica. Ottimo da ballare.



 

Il meglio dello Zecchino d’Oro – Il pulcino ballerino/ Dagli una spinta/ Quarantaquattro gatti/ Il valzer del moscerino
Lo Zecchino d’Oro, dicono tutti, compie sessant’anni anche se i conti non tornano. La prima edizione è infatti del 1959 alla Triennale di Milano, nell’ambito di un Salone dei Bambini. C’è già l’ideatore e conduttore storico Cino Tortorella alias Mago Zurlì, non c’è la sede bolognese presso i frati minori dell’Antoniano, che arriverà nel 1961, e non c’è ancora il Piccolo Coro diretto da Mariele Ventre, che si aggiungerà poco dopo. Ok, facciamo comunque che siano sessant’anni di questo Sanremo per bambini che ha lanciato una sola diva, Cristina D’Avena (nel 1968 fu in gara con Il valzer del moscerino ma vinse Quarantaquattro gatti interpretata da Barbara Ferigo). L’anniversario, tondo o aggiustato che sia, è celebrato da un doppio evento: un album triplo, Il meglio dello Zecchino d’Oro (****), con tutti i brani storici, e un nuovo direttore artistico, Peppe Vessicchio, la bacchetta più amata di Sanremo. Piccola postilla: il nome della manifestazione viene dall’albero degli zecchini promesso a Pinocchio dal gatto e dalla volpe. La prima edizione milanese del ’59, infatti, era un libero adattamento canoro del capolavoro di Carlo Collodi e lanciò un brano celeberrimo, Carissimo Pinocchio, interpretato da Johnny Dorelli.


 

Mara Redeghieri – Augh/ UomoNero/ Strump/ Anni luce
Che bello vedere tornare voci e volti che abbiamo amato. Anni ’90, Emilia, tempo di indie rock. Nella grande famiglia di Giovanni Lindo Ferretti, Massimo Zamboni & C. (tanto per intenderci, CCCP-Fedeli alla Linea, poi CSI, poi PGR) spunta un nuovo gruppo, Ustmamò. Fa musica contaminata con l’elettronica, altrove lo chiamano trip-hop e lancia gruppi di culto come Massive Attack e Portishead. L’avventura Ustmamò dura fino al 2003, poi la band si scioglie (si è riformata qualche anno fa, senza la Redeghieri). E Mara, che cosa ha fatto in tutti questi anni? Ha continuato a vivere e a insegnare nell’Appennino emiliano, ha studiato il canto popolare e anarchico, ha scritto qualche volta per sé e qualche volta per altri (Meravigliosa creatura per Gianna Nannini). Ma non era più tornata in sala di registrazione. L’ha convinta a riprovarci Stefano Melone, che ha collaborato con gente come De André, Fossati e Mannoia. Il risultato è Recidiva (****), filastrocche nere contro i ricchi e il denaro. Mara le canta con voce soave e si chiede: «Ma com’è che finiamo sempre nelle mani di questi tamarri coi soldi?». Bentornata.


 

Il RECUPERO
John Martyn – Goin’ down to Memphis/ Seven black roses/ Solid air/ Over the hill/ Go down easy
Scozzese cresciuto a Glasgow, il grande John Martyn (1948-2009), nato Iain David McGeachy, chitarrista sublime, è uno dei maestri riconosciuti del fingerpicking e del “folk progressivo” che dalla fine dei ’60 a tutti i ’70 svecchierà la tradizione britannica sulle prime con robuste iniezioni di blues, di jazz e, in seguito, con uno stile unico, onirico e sperimentale, fuori dalla gabbia dei generi, etereo eppure risoluto nell’indagare tutte le possibilità sonore di voce e chitarra. Dischi come Solid air (*****), inciso nel 1973, restano tra i capolavori di quella galassia musicale chiamata rock. Farà molte altre cose, in seguito, John Martyn: con la voce diventata da orco pronta a sfidare Tom Waits, con la chitarra elettrica che ha affiancato l’acustica assieme ai sintetizzatori, esplorerà universi sonori lontani dalla sua formazione (qualche critico giura che chill out e trip-hop sono in qualche modo preannunciati dalle sue sperimentazioni). A John Martyn la Island, che è stata la sua più importante casa discografica, ha dedicato negli anni un’attenzione costante, arrivando a mettere in commercio un cofanetto mastodontico (The Island years) di ben diciotto cd. Più stringata, questa eccellente antologia composta da due cd (Head and heart, ****1/2) è un ottimo compendio degli anni ’60 e ’70 e offre due ore e 12 minuti di pura bellezza.




 

Federica Michisanti – Hush/ Reset/ Isk
Ha coniato il termine “trioness”, anche titolo del suo primo album del 2012. “Triità”, quasi un’idea platonica del trio. Senza batteria, con un pianoforte e un sax tenore (Matt Renzi qui suona anche clarinetto basso, corno inglese e oboe). E lei, Federica Michisanti al contrabbasso, a fare il motore mobilissimo della formazione. A suggerire linee melodiche, spingere al dialogo, aprire conversazioni e concluderle. Isk (****), otto composizioni della Michisanti e quattro improvvisazioni collettive, vive di voci individuali che si fondono, di una razionalità cartesiana alla composizione, di un appagante camerismo. Un bel traguardo per la giovane donna che voleva disegnare e, scoperto il contrabbasso, ha suonato con il grande Lee Konitz, ha accompagnato Massimo Ranieri in tournée e, a teatro, si è confrontata con Giorgio Albertazzi.


 

Giuseppe Grazioli – La strada/ Suite siciliana
Non piaceva ai puristi Nino Rota (1911-1979), milanese diventato romano (la sua prima composizione, L’infanzia di San Giovanni Battista, è del 1923), compositore prolifico per il cinema (153 colonne sonore: meno di Morricone, ma insomma) e alter ego musicale di Federico Fellini. Non piaceva, in anni di tutto il potere al popolo ma tutto il potere sonoro all’atonalità e all’avanguardia, per la sua apparente facilità, per la sua cantabilità. Io che sono apolide per natura, le oltranze le apprezzo se posso ascoltare anche altro. E Nino Rota è tra i miei maggiori. Da qualche anno, l’Orchestra Giuseppe Verdi di Milano guidata da Giuseppe Grazioli incide per la Decca l’integrale dei lavori orchestrali di Rota. Il seducente e ricco Orchestral works vol.5 (****) offre il balletto tratto dalle musiche che accompagnavano Gelsomina e Zampanò in La strada, nonché Sinfonia sopra una canzone d’amore, il bellissimo Lo spiritismo nella vecchia casa (sottotitolo: sei variazioni e tre suggestioni per clarinetto solo) e la suite sinfonica dal Casanova di Federico Fellini.
Grazioli, esperto del ‘900 italiano, dopo aver temporaneamente abbandonato Rota, ha inciso un album delizioso (****) dedicato a Gino Marinuzzi (1883-1945). Che fu direttore d’orchestra tra i massimi del nostro secolo breve, per alcuni superiore anche a Toscanini. E compositore di aurea classicità dalla cui Suite siciliana (1909) Fabrizio De André trasse una delle canzoni più belle del suo repertorio giovanile, Valzer per un amore.


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