Classica, contemporanea, rock, electro, post-country e post-punk, jazz, bossa nova: i nuovi album, le ristampe, gli eventi musicali significativi
GLI APPUNTAMENTI
Riccardo Chailly e la Filarmonica della Scala
Settimana intensa per la Filarmonica della Scala guidata da Riccardo Chailly. Giovedì 8 (repliche venerdì 9 e lunedì 12) concerto dedicato a Johannes Brahms, violino solista Anne-Sophie Mutter.
In programma il Concerto in re maggiore op. 77 e la Sinfonia n. 4 op. 98. Domenica 11 invece si cambia violinista (Nikolaj Znaider al posto della Mutter) per la quinta edizione del Concerto per Milano, evento gratuito di grande popolarità. Alle 21.30, in Piazza del Duomo, la Filarmonica offre il Concerto per violino di Cajkovskij, le musiche da film di Nino Rota (Otto e mezzo e Amarcord) e I pini di Roma di Ottorino Respighi. Qui sotto, perché possiate farvi un’idea, i link a YouTube per: la Filarmonica della Scala con Chailly (un sampler dell’album Decca Overtures, preludes and intermezzi, ****), Chailly alle prese con la Sinfonia n. 4 alla testa della RSO di Berlino, Anne-Sophie Mutter che esegue il Concerto in re maggiore op. 77.
Buon compleanno Sentieri Selvaggi
Sentieri Selvaggi, l’ensemble di musica contemporanea diretta da Carlo Boccadoro, compie vent’anni e li festeggia sabato 10 al Teatro dell’Elfo. Doppio concerto, alle 17.30 e alle 21, alle 19 festa con brindisi al BistrOlinda. In programma brevi biglietti d’auguri, brani di repertorio e nuove composizioni. Fra gli autori eseguiti, oltre allo stesso Boccadoro, Giacomo Platini, Orazio Sciortino, Paolo Longo, Vanni Moretto, David Lang, Mauro Montalbetti, Silvia Colasanti, Bruno Cerchio, Maurizio Cacciatore, Giorgio Colombo Taccani, Fabio Massimo Capogrosso e Silvia Borzelli.
I DISCHI
Arbouretum – Call upon the fire/ Comanche moon/ Absolution song/ Fall from an eyrie
Il leader del gruppo, il chitarrista cantante e compositore Dave Heumann, si ispira a Carl Gustav Jung, pratica il tai-chi e scrive canzoni sull’armonia nascosta che regola il mondo. Loro sono gli Arbouretum di Baltimora, sulla scena dal 2002, al sesto album con Song of the rose (****). Rock dal passo tranquillo e dal respiro ampio, muri chitarristici che rasentano la psichedelia e il post-country alla Neil Young. Musica che cresce ascolto dopo ascolto.
Bargou 08 – Chech el khater/ Le min ijina/ Wazzaa
La cittadina di Bargou, poco più di 4.000 abitanti nell’omonima vallata, è vicina alle montagne del nord-ovest tunisino, al confine con l’Algeria. A Bargou si parla un dialetto misto di berbero e arabo, si tramandano antiche musiche che rischiavano di perdersi. Le ha salvate, modernizzandole con cautela, il leader dei Bargou 08, Nidhai Yahyaoui, con l’aiuto del tastierista Sofyannon Ben Youssef, che suona persino le linee di basso sulla tastiera di un moog. Registrato a casa dei genitori di Yahyaoui, con uno studio foderato di balle di fieno per eliminare gli echi, Targ (***1/2) ha un andamento ipnotico e sussultorio, scandito dai tamburi e dai flauti.
Rose Elinor Dougall – Colour of water/ Strange warnings/ All at once/ Poison ivy
Piccole magie synthpop. Le offre con Stellular (***1/2) la trentenne Rose Elinor Dougall, londinese cresciuta a Brighton, che da adolescente faceva parte del gruppo meteora delle Pipettes e, più cresciutella, accompagnava Mark Ronsom, tanto per intenderci il produttore di Amy Winehouse (e di alcune hit di Adele). Voce affascinante e sinuosa, discreta abilità di scrittura, Elinor Rose si muove in quelle terre di confine fra l’electro e il power pop, la dance e certo smussato post-punk. Il pensiero corre ai Blondie, di cui Dougall sembra un’erede addolcita e pacificata.
Feist – Pleasure/ Get not high, get not low/ A man is not his song/ Century
La diretta e “facile” Leslie Feist di Mushaboom o di 1234 che fu lo spot dell’iPod nano non c’è più. A sei anni dal dolente Metals, che frugava tra le macerie di un amore, la cantante e chitarrista canadese ritorna con il suo album più rock di sempre, Pleasure (****). Un rock fuori asse rispetto alle levigatezze del mainstream, scabro e spoglio, che ingloba il passato dell’artista facendone allo stesso tempo piazza pulita e avventurandosi nella scomposizione della forma-canzone. Introspezioni da quarantenne, il tempo che passa, la precarietà dei sentimenti, quello che resta e quello che si perde, il futuro come un buco nero («Ma quando mi porteranno via, sapranno che ero morta tanto tempo prima?»). E la raccomandazione, velata ma neanche tanto, a non prendere tutto alla lettera perché A man is not his song, un uomo non è la sua canzone. Con i suoi echi di PJ Harvey e le collaborazioni da art rock e dintorni (Colin Stetson, da oltreoceano Chilly Gonzales e Jarvis Cocker), Pleasure è un album di intenso e sghembo fascino e un inno alla gioia per puro ottimismo della volontà, nonostante tutto.
Rag ‘n’ Bone Man – Human/ Love you any less/ Grace/ Die easy
Ma soprattutto vorrei, vorrei la pelle nera. Lo cantava tanti anni fa il compianto Nino Ferrer, lo desideravano in molti. In Italia ma soprattutto in Inghilterra: dove era ancorato alla fascinazione afroamericana il canto di Joe Cocker ma anche quello di Mick Jagger, di Eric Burdon e di Van Morrison per tacere degli altri, prima che venissero di moda le vocette acute del progressive. Per dire che il recente successo di Rory Graham in arte Rag ‘n’ Bone Man, il rigattiere, viene da lontano: dalla voglia di soul e di blues che periodicamente torna ad affiorare. Successo clamoroso per questo ragazzone alto un metro e 96 e con una barba da predicatore islamico, 32 anni e 15 di gavetta: 100mila copie vendute dell’album di esordio Human (***) soltanto nella prima settimana, 50 milioni di stream su Spotify e 200 e passa milioni di visualizzazioni su YouTube. Niente di nuovo sotto il sole, ma la miscela è astuta, la confezione decente e la sua voce da baritono aiuta. Lui dice di essere cresciuto a pane e Muddy Waters e in un brano (Die easy) scopiazza Blind Lemon Jefferson ma poco male, lo aveva fatto, con lo stesso brano, anche Bob Dylan nell’album di esordio del 1962.
Cranchi – Ferrara/ Malabrocca/ Anna/ L’amore è un treno
La provincia, gli amori perduti, i ciclisti perdenti. Massimiliano Cranchi, mantovano di nascita e ferrarese di adozione, è il deus ex machina della band Cranchi che ha già realizzato, con questo Spiegazioni improbabili (****), quattro album. Forte il legame con la canzone d’autore, discrete e laterali le citazioni di Francesco De Gregori (Spiegazioni improbabili sul metodo un po’ ricorda, nell’andamento onirico, La casa di Hilde), di Francesco Guccini (soprattutto nel canto) e di Paolo Conte (Malabrocca, in questo album, è il perfetto anti-Bartali). Menzione speciale per la bellissima Ferrara, intensa e malinconica, e per Anna. Ascoltatela bene, non è una storia d’amore bislacca ma il rapporto (vero, storico) fra la scrittrice austriaca Berthe Pappenheim e lo psichiatra Josef Breuer. Berthe era la famosa Anna O., la paziente isterica di cui si interessò anche Freud, la prima a sperimentare la “talking cure” e il lettino.
Gabriella Lucia Grasso – Cunta e pigghia/ Quanti voti/ Don Pippuzzu/ In una notte di maggio tra stelle e carillon
Catanese, studi musicali (Accademia di Santa Cecilia) ed esperienze teatral-musicali (ha lavorato con Bob McFerrin, Giorgio Albertazzi, Enrico Rava e Peppe Voltarelli), Gabriella Lucia Grasso nel terzo album Vossia cuscenza (***1/2), pubblicato dall’etichetta dell’amica Carmen Consoli, lancia un ponte ideale fra la Sicilia e l’Argentina. Amori giusti e sbagliati, l’incoercibile dignità delle donne (la Grasso ha anche creato l’ensemble femminile Malmaritate), i mestieri che scompaiono, i rapporti malati fra chiesa e politica, tra echi mediterranei e voglie di tango. Ospiti Carmen Consoli e la cantante argentina Lidia Borda.
Diana Krall – L-O-V-E/ Moonglow/ Night and day/ Sway
La canadese Diana Krall è la cantante di jazz di maggior successo degli ultimi vent’anni: oltre 20 milioni di dischi venduti, tre Grammy e nove Juno Awards (i Grammy canadesi) sulla mensola di casa. Il nuovo Turn up the quiet (***), che rompe un silenzio discografico di nove anni, è l’ultimo disco curato da Tommy LiPuma, il leggendario produttore scomparso da poco (ha lavorato con Barbra Streisand e Miles Davis, con Bill Evans e George Benson) che è stato il suo pigmalione. Undici brani noti e meno noti dello sterminato songbook americano, il piano e la voce della Krall a condurre le danze, formazioni che variano dal trio al quintetto, in una canzone (Moonglow) il tocco magico della chitarra di Marc Ribot. Il resto è misurato languore, romanticismo trattenuto da cena a lume di candela, composta eleganza, un pizzico di nobile noia.
Andrea Motis – He’s funny that way/ Chega de saudade/ You’s be so nice to come home to/ I remember you
Avete ascoltato Diana Krall? Bene, archiviatela senza rimpianti perché la novità più elettrizzante, tra le cantanti jazz, è la splendida catalana Andrea Motis, 21 anni. Interprete dalla voce agile e cristallina, Andrea Motis è anche una trombettista dalla vena lirica che ricorda, lo hanno già notato in molti, Chet Baker. Nel disco di esordio Emotional dance (****1/2), targato Impulse, l’etichetta che fu dell’immenso John Coltrane, molti classici, un pizzico di bossa nova, brani in portoghese e in catalano. Applausi.
José Antonio Méndez Padrón e Simone Dinnerstein eseguono Mozart – Concerto n. 21 K 467 (Allegro, vivace assai)/ Concerto n. 23 K 488 (Allegro assai)
Suonare Mozart all’Avana non sarà come leggere Lolita a Teheran ma insomma, dopo la morte di Fidel Castro e la visita di Barack Obama è diventato più facile, anche a Cuba, eseguire ed esportare musica classica. All’insegna del connubio Cuba-Stati Uniti – a Donald Trump il compito di innalzare nuovi muri – si colloca anche questo Mozart in Havana (****) pubblicato da Sony Classical. I cubani sono i giovani musicisti dell’Havana Lyceum Orchestra diretti da José Antonio Méndez Padrón, che interpretano Mozart con qualche languore latino e sono riusciti anche a portarlo in tournée negli Stati Uniti (è la prima orchestra classica cubana a sbarcare sui lidi americani dal 1959). Americana di New York è invece la pianista Simone Dinnerstein, brooklinita figlia di un pittore e di un’insegnante, nota per avere dato la polvere ai White Stripes in vetta alle classifiche di Billboard (avvenne nel 2007, lei esordiva con le Variazioni Goldberg la cui incisione aveva finanziato di persona), per alcune reinvenzioni bachiane e per alcune incursioni nel pop d’autore (con Tift Merritt). Simone Dinnerstein esegue Mozart con un piglio e un’energia (si ascoltino i due “allegro” che non a caso ho scelto) che a Volfango Amadeo sarebbero andati a genio.
IL RECUPERO
Paul McCartney – My brave face/ You want her too/ Distractions/ Put it there/ This one
Uscito nel 1989, Flowers in the dirt (****) resta per me il più bell’album solista di Paul McCartney. Il che vuol dire, scusate la franchezza, uno dei suoi pochi album godibili, live a parte. Per la qualità della collaborazione con Elvis Costello. Perché Macca torna a imbracciare il vecchio basso Hofner che usava con i Beatles. Perché soprattutto, dopo tanti episodi futili o sovraccarichi, ritrova la vena compositiva di un tempo. Il pubblico allora apprezzò, ora l’album torna in circolazione rimasterizzato. C’è ovviamente anche l’ edizione deluxe per i feticisti, tre cd più dvd con i provini McCartney-Costello e con quelli della band. I feticisti a oltranza si lamentano perché mancano brani apparsi altrove, soprattutto nelle edizioni giapponesi. Lasciamoli ai loro lamenti e godiamoci il disco.