Classica, jazz, rock, rock-blues, soul, funk/r&b: i nuovi album, le ristampe
Afghan Whigs – Birdland/ Demon in profile/ Light as a feather/ I got lost
Conoscete gli Afghan Whigs, li avete mai sentiti? Erano, sono un gruppo americano di rock alternativo. Di Cincinnati, Ohio. Se volete anche l’aneddotica spiccia, nati nella notte di Halloween del 1986. In quel che restava degli ’80 e nei ’90 li accostavano al grunge, anche se nella loro musica c’erano robusti innesti black – soul, gospel, r&b – incrociati con sonorità grezze a metà strada fra il garage e il punk. Per una quindicina d’anni, fino al 2001, il loro leader, chitarrista e frontman Greg Dulli è stato una delle grandi voci, rudi e romantiche, del rock americano. Poi, nel 2001, la decisione di chiudere bottega. E nel 2011 il contrordine che li ha visti tornare in pista. Il primo album del nuovo corso, Do the beast del 2014, era appena l’antipasto: buono ma non eccelso. Il nuovo In spades (***1/2) ha più carne da mordere. Provate ad ascoltare: Birdland parte come un piccolo fuoco che diventa subito incendio; Demon in profile attacca come ballad pianistica per decollare toccando le corde del grunge-soul; Light as a feather è un trascinante e fisicissimo funk/r&b. Per arrivare alla perla dell’album, il ballatone soul I got lost, epico e springsteeniano, con Greg Dulli inarrivabile. Gran bel ritorno.
Joe Bonamassa – This train/ Drive/ Dust bowl/ Black lung heartache/ How can a poor man stand such times and live
Nato a Utica, stato di New York, nel 1977, di evidente origine italiana, Joe Bonamassa è tra i maggior guitar heroes del rock-blues americano. Collaboratore di nomi insigni (Eric Clapton, B. B. King, Joe Cocker), chitarrista e autore prolifico (dodici album a suo nome, tre in condominio con altri) e innamorato del tour de force dal vivo, Bonamassa festeggia con questo Live at Carnegie Hall, an acoustic evening (****) il suo diciottesimo album live. Acustico, come detta il titolo, ma con una band egregia ad assecondarlo – Anton Fig alla batteria che ha lavorato con Miles Davis e Bob Dylan; la cellista di origine cinese Tina Guo; il percussuonista egiziano Hossan Ramzy già con Page & Plant dei Led Zeppelin; e la guarnizione di due coriste australiane, Mahalia Barnes e Juanita Tippins – il concerto si snoda fra composizioni originali e classici del blues. Di grande impatto, provate ad ascoltarlo in How can a poor man stand such times and live, cavallo di battaglia del grande Ry Cooder.
Little Steven – I’m coming back/ Blues is my business/ Love on the wrong side of town/ Standing inthe line of fire
Ritorno ruggente anche per Stevie Van Zandt in arte Little Steven, fratello di sangue di Bruce Springsteen e motore con Clarence Clemons della E Street Band più classica, che non incideva a suo nome dal 1987. L’occasione per Soulfire (****), grande disco springsteeniano al 110%, è stata una reunion londinese dei Disciples of Soul, la band di Little Steven quando non suona con il Boss. Non ci sono pezzi inediti, si rispolverano i brani scritti per Southside Johnny, amico suo e di Springsteen fin dai tempi dei primi passi nel New Jersey (una è firmata anche da Bruce, Love on the wrong side of town) e per Gary US Bonds, altro protegé dei due amici (la morriconiana Standing in the line of fire). Notevole anche Blues is my business, cover da Etta James. Passionale “Jersey shore sound” che fa convivere, secondo la lezione del primo Springsteen, fiati soul e rock chitarristico.
Willie Nile – Rainy day women #12 & 35/ Blowin’ in the wind/ A hard rain’s a-gonna fall/ Love minus zero-No limits/ You ain’t going nowhere
Rispettato cantautore e performer di area folk-rock, il quasi settantenne Willie Nile (il vero nome è Robert Anthony Noonan), sorprende con questo Positively Bob (****), tra i più riusciti omaggi che io ricordi a Bob Dylan. Inciso in soli due giorni a New York, l’album offre una rilettura rockeggiante di molte sue canzoni degli anni ’60, che erano in prevalenza acustiche o azzardavano i primi esperimenti di suono elettrificato (di posteriore, nella tracklist, c’è soltanto Every grain of sand, del periodo cristiano e gospel del nostro). La melodia delle canzoni è rispettata, la resa è veemente e inventiva.
Soley – Ua/ Never cry moon/ Grow/ Endless summer
Un’islandese non cupa, non catatonica, non ipnotica, non sperimentale a oltranza. Ecco a voi la solare Soley Stefansdottir, in concerto e su disco soltanto Soley. In Endless summer (***1/2) offre senza dilungarsi troppo (soltanto 33 minuti, niente di interminabile a dispetto del titolo) otto brani che celebrano la vita e ricordano Joanna Newsom o Agnes Obel, composti al pianoforte e arrangiati per piccola orchestra (violoncello, trombone, clarinetto). Folk d’impronta neoclassicista e incantatoria, melodie delicate e filamentose, quasi capelli d’angelo. La carola Never cry moon è lievemente jazzata, Grow brillante ed estroversa, Before falling intima e raccolta.
Banda Rulli Frulli – Il mare dalla luna/ Dove dorme la luna di giorno/Linea d’ombra/ Isola
La Banda Rulli Frulli è un collettivo musicale di Mirandola, nei pressi di Modena, promosso dall’associazione Mani Tese. Settanta elementi abili e diversamente abili, fra gli otto e i venticinque anni, che suonano strumenti fatti in casa usando materiali di recupero. Che musica fanno settanta ragazzi con settanta strumenti insoliti? Musica soprattutto percussionistica che inventa un post-bandismo inedito e vitale, un eccitantefolk-rock con innesti industrial e noise. Il mare della luna (***1/2) è il loro quinto album dal 2013. Molti ospiti, spicca la brava Cristina Donà (l’epica Linea d’ombra è di perentoria bellezza) che sta per pubblicare l’atteso nuovo album.
Laino & Broken Seed – Bo weavil/ Fate of a gambler/ The dust I own/ On the wood
Andrea Laino, vicentino di nascita e bolognese d’adozione, musicista di strada fologorato dal blues dopo un viaggio nella Grande Mela, si impone all’ascolto con il secondo lavoro, The dust I own (***1/2), impregnato di suoni paludosi, ipnotici e scuri. Lui suona la resonator guitar, quella con la cassa metallica parente del dobro. I Broken Seeds sono Alessio Magliocchetti alla chitarra slide, Gaetano Alfonsi alle percussioni e Mauro Ottolini al sousaphone. Convincenti.
IL RECUPERO
Natalie Merchant – Wonder/ Build a levee/ Motherland/ Photograph/ Party of God/ Crazy man Michael/ Which side are you on
Box sontuoso per una delle voci femminili che prediligo, questo The Natalie Merchant collection (****1/2): dieci cd con gli otto album registrati in studio nel corso della sua carriera solista, più Butterfly (quattro nuove canzoni e sei brani reinterpretati con un quartetto d’archi) e Rarities (quindici brani rari e inediti 1998-2017).
Lei è Natalie Merchant, nome per esteso Natale Anne O’Shea Merchant, nata nel 1963 a Jamestown nello stato di New York, origini irlandesi per parte di madre e siciliane per parte di padre (Merchant era in origine Mercante), reginetta del college rock impegnato dal 1981 al 1993 con i 10,000 Maniacs e, partire dal bellissimo esordio del 1995 (Tigerlily) autrice e interprete di intenso fascino, dotata di un vibrato inconfondibile e di una scrittura raffinata e consapevole, che recupera nella maniera migliore la tradizione folk-rock e aggiorna la canzone d’autore femminbile.
Ascoltatela qui in Wonder che fu uno dei suoi primi successi; in Build a levee che la vede duettare con la grande Mavis Staples; nell’intensa e bellissima Motherland (tra le mie dieci canzoni preferite di sempre), e ancora in duetto (Photograph con Michael Stipe dei REM, Party of God con Billy Bragg). Ascoltatela infine confrontarsi senza sfigurare con l’immensa Sandy Denny dei Fairport Convention (Crazy man Michael firmata da Richard Thompson) e intonare uno delle più classiche canzoni di battaglia del movimento sindacale americano, Which side are you on, scritta nel 1931 per appoggiare gli scioperi dei minatori di Harlan County.
IL JAZZ
Terence Blanchard – Jackie gets out/ Deli to soup kitchen/ tit for Tat nocturne/ Florida salsa
Questa è la colonna sonora di The comedian, film tutto sommato minore del 2016 firmato Taylor Hackford, quello di Ufficiale e gentiluomo e l’Avvocato del diavolo, protagonista un Robert De Niro comico in disarmo condannato a lavori socialmente utili che aver colpito uno spettatore che disturbava il suo spettacolo. La cosa migliore del film sono le musiche composte da Terence Blanchard, trombettista di New Orleans come Wynton Marsalis, già autore di colonne sonore per Spike Lee (Jungle fever, Malcolm X, Clockers, Bus in viaggio e Chi-Raq). Niente di che, hard bop, ma delizioso hard bop con formazioni pari: duo, quartetto, sestetto. Partner di Blanchard nell’esecuzione sono Kenny Barron al piano, Carl Allen alla batteria, Ravi Coltrane al sax tenore, Khari Allen Lee al sax alto e David Pulphus al contrabbasso.
LA CLASSICA
Barokkenerne & Ingeborg Christophersen eseguono il barocco veneziano
Classe 1985, flautista, Ingeborg Christophersen è gloria nazionale della Norvegia. Studiosa e teorica (l’ornamentazione nel clavicembalo francese e in Bach, la pratica della diminuzione nell’Italia del ‘500), nonché esecutrice di rango (è cofondatrice del quartetto barocco Natteragal e del Duo Saloniste). In Recordare Venezia (****) è artista ospite di Barokkenerne, glorioso ensemble di strumenti d’epoca fondato a Oslo nel 1989. Il disco è eclettico, ben suonato e con un’ottima scelta di autori e brani. Tanto Vivaldi naturalmente (Il gardellino, la Sonata a due per flauto e fagotto RV 86 e il conclusivo e pirotecnico Concerto per flautino RV 444), ma anche il sapiente contrappuntismo di Giovanni Legrenzi, la tensione drammatica di Baldassare Galuppi e le musiche visionarie di Biagio Marini, Marco Uccellini e Dario Castello. Unica voce non veneziana il romano, romanissimo e sommo Giovanni Pierluigi da Palestrina (Pulchra es amica mea). Applausi.