Pop, rock, post-folk, fusion, neapolitan power, blues, funky, jazz, classica, contemporanea: i nuovi album, le ristampe, gli eventi musicali significativi
GLI APPUNTAMENTI
Giovedì 7 dicembre
L’avvenimento degli avvenimenti, la prima dell’Andrea Chénier di Umberto Giordano alla Scala. Dirige Riccardo Chailly, regia di Mario Martone. Anna Netrebko sarà Maddalena di Coigny dividendo il palcoscenico con il marito Yusif Eyvazov. Qui sotto, il video della conferenza stampa di presentazione, con frammenti di scenografie e di prove.
Domenica 10 dicembre
Contemporanea in scena al Teatro Arsenale con Mdi Ensemble, nell’ambito di Sound of Wander. Musiche di Berio, Leitenpergher, Perocco, Casale e Momi. Ore 20.30.
Lunedì 11 dicembre
Il violoncellista Steven Isserlis e la pianista Connie Shih, al Conservatorio (ore 20.30) eseguono musiche di Chopin, Prokofiev, Kabalevsky e Mustonen. Qui sotto li vedete e li ascoltate alle prese con Schumann, giusto per farvi un’idea.
POP & ROCK
Jovanotti – Oh,vita!/ Chiaro di luna/ Sbagliato/ In Italia/ Navigare/ Ragazzini per strada/ Affermativo
Qualche mese fa, all’annuncio che il nuovo produttore di Jovanotti, dopo un decennio abbondante di Michele Canova, sarebbe stato Rick Rubin, irsuto e ieratico mago americano della console (Beastie Boys, Eminem e Shakira, Red Hot Chili Peppers ma anche l’ultimo Johnny Cash scarnificato), un amico commentò: «Bene, così almeno farà un disco che dura meno di un’ora». Sbagliato, Oh, vita! (****), quattordicesimo album del nostro, dura 61 minuti, ma che sintesi rispetto alle due ore e 15 minuti del precedente Lorenzo 2015 Cc. E soprattutto, che lavoro di sottrazione e di distillazione.
Voce in primo piano anche con le sue imperfezioni, chitarra acustica e scarna strumentazione in gran parte dei brani, ritmica e rappare che sanno molto di “old school” e poco e niente concedono all’elettropop e al trap che oggi sono moneta corrente. Un disco controcorrente e all’apparenza inattuale, bello e insolito, intimo e poco “jovanottiano”, senza brani costruiti per spaccare e colonizzare l’ascolto radiofonico. Con più di una canzone destinata a restare, con un’acre Italia di contrasti e squarci di vita e d’amore curiosi, di volta in volta aguzzi e teneri.
Cesare Cremonini – Kashmir-Kashmir/ Poetica/ Nessuno vuole essere Robin/ Silent hill/ Al tuo matrimonio
Ne ha fatto di strada, dall’esordio adolescente con i Lunapop, Cesare Cremonini. Al sesto album si dimostra musicista onnivoro e sapiente, confezionatore di un pop-rock che guarda in mille direzioni, che pesca a piene mani da presente e passato, filtrandoli e rielaborandoli. Facendone cifra personale densa ma immediata e fruibile senza essere programmaticamente facile. Si può ascoltare Possibili scenari (****) come un tempo ci si immergeva in certi romanzi, facendone una lettura “a chiave”, per cogliere le tracce di Beatles e Pharrell Williams, del nobile piano rock che fu e dei Tame Impala, di Battisti e degli Smiths, oppure affidarsi al piacere di questa musica multistrato e di questi testi mai banali che parlano di amori, ansie da prestazione, immigrati che cercano di inventarsi una vita diversa.
Fabrizio Cammarata – Long shadows/ In the cold/ I don’t belong here/ Say goodbye
«In Messico un guaritore mi ha detto che la felicità si ricerca scavando nelle proprie ombre». Un album notturno e sciamanico, Of shadows (***1/2), per cantare i sentimenti che dicono addio. Ne è autore il palermitano Fabrizio Cammarata, che di recente ha esplorato con Antonio Di Martino l’universo dolente della leggenda messicana Chavela Vargas (Un mondo raro, ****). Testi in inglese, un quieto post-folk che scintilla di tenue elettronica e di pianismo discreto. Ci si avvertono le gemme malinconiche di Nick Drake, gli echi riflessivi di Damien Rice, le sperimentazioni lontane dal mainstream del Beck più introspettivo e di Bon Iver. Buona guarigione.
U2 – Lights of home/You’re the best thing about me/ Summer of love/ Red flag day
Non date retta ai criticoni con la bava alla bocca. Certo, gli U2 di questo Songs of experience (***1/2), quattordicesimo album di una carriera che ha fatto di loro, con pochi altri, il rock degli ultimi tre decenni, non saranno al meglio della creatività ma non sono disprezzabili. Songs scritte da Bono in forma di lettere: a se stesso, alla moglie e ai figli, agli spettatori e al mondo. Buoni sentimenti, buone cause (e peccato che Bono sia rimasto impigliato nei Panama Papers). Un album a presa rapida, pop e rock con poche impennate, ma immediato e fresco. Pazienza se non tutte le ciambelle sono riuscite con il buco, ma cinque o sei ciambelle buone ci sono. Kendrick Lamar e Lady Gaga fra gli ospiti.
MUSICHE RITROVATE
Pino Daniele – Bella ‘mbriana/ Chi tene ‘o mare/ Yes I know my way/ Anna verrà/ Je so’ pazzo
Lavoro monumentale, questo curato dal Pino Daniele Trust onlus per la Warner. Quando (***1/2) è un cofanetto di sei cd, più un libro di 72 pagine e il documentario Pino-Il tempo resterà. In tutto 95 brani dal 1981 al 1999, con l’aggiunta di 14 inediti assoluti: provini, demo, versioni alternative, basi per chitarra, club remix. Un periodo fitto di prove felici, con la sua fusion che incorpora neapolitan power, blues, funky, voglie di jazz ed echi mediterranei, per quanto gli esordi a fine anni ’70 restino irripetibili. Ma anche, soprattutto per la produzione che prende le mosse dagli anni ’90 di Mascalzone latino e dello straordinario successo di massa, con un pop spesso più leggero dell’aria e a volte di grana grossa: ‘O scarrafone, tanto per intenderci, e la per fortuna assente “che Dio ti benedica, che fica”. Assieme alla deluxe edition, è disponibile anche una “versione light” con tre cd e 55 canzoni.
Lucio Dalla – Come è profondo il mare/ Treno a vela/ Il cucciolo Alfredo/ Disperato erotico stomp/ Quale allegria/ E non andar più via
A volte i miracoli, semplicemente, accadono. Nel 1977 Lucio Dalla ha 34 anni. Bolognese, ha fatto una lunghissima gavetta suonando jazz con Pupi Avati e con Chet Baker, incontrando Bud Powell e Charles Mingus. Ha partecipato ai dischi balneari di Edoardo Vianello, lo hanno inventato cantante quasi soul con il suo inconfondibile e stralunato scat (Paff bum, Quand’ero soldato). Ha assaggiato il successo con 4/3/1943 e con Piazza Grande per scartare subito di lato. Imbarcandosi, con il poeta Roberto Roversi, in tre album sperimentali e bellissimi, Il giorno aveva cinque teste (1973), Anidride solforosa (1975) e Automobili (1976). In quel 1977, giusto quarant’anni fa, Roversi decide che il gioco è durato troppo. E Dalla si ritrova, lui musicista ormai rifinito e cantante superlativo, a doversi scrivere le parole delle canzoni. Il miracolo, appunto: questo Come è profondo il mare (****1/2), scritto di getto in un mese da uno che fino a quel momento non aveva azzardato neppure un verso. Pura magia, magia contagiosa: una musica mai così varia e stratificata, un canto libero e felice fra le macerie, testi incredibili e profondi, flussi di coscienza e deliri impregnati di realtà. Una realtà spesso ostile e livida (Treno a vela, Il cucciolo Alfredo), un fondale d’apocalisse «tra le case e i palazzi di una strada all’inferno», dove anche gli scacchi amorosi virano al sarcastico e all’autoironico (la celeberrima Disperato erotico stomp) e dove però «chiudendo gli occhi senti i cani abbaiare/ dove se apri le orecchie non le chiudi dalla rabbia e lo spavento/ ma ragioni giusto seguendo il volo degli uccelli e il loro ritmo lento/ dove puoi trovare un Dio nelle mani di un uomo che lavora/ e puoi rinunciare a una gioia per una sottile tenerezza/ dove puoi nascere e morire con l’odore della neve/ dove paga il giusto chi mangia, chi beve e fa l’amore/ dove, per Dio! la giornata è ancora fatta di ventiquattr’ore/ e puoi uccidere il tuo passato col Dio che ti ha creato/ guardando con durezza il loro viso/ con la forza di un pugno chiuso e di un sorriso/ e correre insieme agli altri ad incontrare il tuo futuro/ che oggi è proprio tuo» (E non andar più via). L’edizione deluxe aggiunge un secondo cd con i brani eseguiti in concerto.
Rolling Stones – (I can’t get no) Satisfaction/ Cops and robbers/ Down the road apiece/ Mercy, mercy/ Fannie Mae
Un disco nuovo? Neanche a parlarne, quello c’è stato lo scorso anno ed era Blue & lonesome, che segnava il ritorno al blues dei loro albori. E gli albori, le “prime volte” di una band di puristi blues catturata durante le esibizioni nei programmi della Bbc fra il 1963 e il 1965, è questo eccellente On air (****). Meritorio per almeno due ragioni: perché dà conto del loro orgoglioso apprendistato con brani della tradizione nera americana (poche, in questa fase, le composizioni originali, Satisfaction che qui ascoltate in una scintillante e ancora grezza versione live è del 1965), e perché negli studi di Abbey Road hanno demixato e remixato il suono originale degli Stones, gettandocelo addosso in tutto il suo ruvido splendore.
JAZZ
Bill Charlap Trio – Curtains/ There’s a small hotel/ Bon ami/ Sophisticated lady
Lo so, invecchio. Sono curioso, almeno credo, ma la mia curiosità è diventata selettiva. Tra la novità assoluta e il nome nuovo (nuovo per me) che mi porta a battere sentieri già noti, a volte scelgo la seconda soluzione. Per dire che Bill Charlap, 51 anni, pianista di Brooklyn che ha lavorato con Gerry Mulligan, Phil Woods, Betty Carter e Tony Bennett (e che è cugino di Dick Hyman, confezionatore delle colonne sonore di tanto Woody Allen), mi cattura subito perché mi ricorda, alla lontana, l’immenso Bill Evans. Merito della formula trio (sono con lui Peter Washington al contrabbasso e Kenny Washington alla batteria, che non sono parenti). Merito del suo pianismo senza fronzoli, emotivo senza debordare, di una sorgiva eleganza aristocratica. Ascoltarlo in Uptown, downtown (****) alle prese con standard immensi (There’s a small hotel, Sophisticated lady) e con pagine meno scontate (Curtains di Gerry Mulligan, Bon ami di Jim Hall) è un piacere intenso quanto discreto. La ricerca della “next big thing” è rimandata.
CLASSICA
Ripassando Andrea Chénier
Prima della Scala, d’accordo, lo abbiamo detto, ridetto e sottolineato. E in passato? Rendo omaggio ai grandi interpreti scegliendo Luciano Pavarotti e Montaserrat Caballé (l’edizione è quella del 1984, con l’Orchestra National Philharmonic diretta da Chailly), Carlo Bergonzi (1970, New Philharmonia diretta da Anton Guadagno) e Beniamino Gigli e Maria Caniglia, per me la più bella interpretazione di sempre (1941, Orchestra e Coro del Teatro alla Scala, direttore Oliviero De Fabritiis).